2024-05-31
Odiano Palahniuk perché non si fa ingabbiare
Lo scrittore, nelle librerie con la sua ultima opera, non frigna su razzismo o minoranze. E non politicizza la sua omosessualità. Per questo, l’autore di «Fight Club» ora viene snobbato: i suoi scritti non offrono materiale per presunti antifa o militanti Lgbt.Se tutti ti detestano forse sei sulla buona strada. Il senso del percorso artistico e intellettuale di Chuck Palahniuk si potrebbe sintetizzare anche così: lo scrittore di Portland ha fatto della sua carriera un Fight club, uno scontro all’ultimo sangue contro tutto e tutti. Le sue opere colpiscono al cuore e allo stomaco, ma anche se sferra dei colpi micidiali ne esce quasi sempre ferito pure lui. Del resto è inevitabile, quando versi tutta l’anima in libro. Palahniuk è stato idolatrato dopo che il film con Brad Pitt e Edward Norton tratto dal suo capolavoro è divenuto un oggetto di culto. Poi, nemmeno troppo lentamente, la venerazione si è trasformata in astio. Chuck è stato accusato di essere troppo commerciale: ha scritto un graphic novel per dare seguito alla storia di Tyler Durden ed ecco che gli appioppavano l’etichetta di venduto. Il successo dei Novanta e dei primi Duemila si è rivoltato in invidia e disprezzo. I critici da qualche tempo lo liquidano con sufficienza. In effetti, Palahniuk non è adatto all’accademia contemporanea, le sue creazioni sono quanto di più lontano dalla cultura woke. Nei suoi romanzi non si frigna sul razzismo sistemico, non si glorificano acriticamente le minoranze, non si scomoda il patriarcato né si trovano genuflessioni al me too. Dunque non c’è materiale a sufficienza per attirare studiosi postcoloniali o militanti arcobaleno. Anzi, non sono pochi i lettori impegnati a puntare il dito contro Chuck trattandolo da bollito reazionario. Lo incolpano di aver dato argomenti e sostegno agli Incel, i rabbiosi celibi involontari del web, giovani maschi astiosi e isolati, misogini e fascistoidi che trovano in Fight Club una sorta di vangelo. In realtà, Palahniuk si è limitato a dare voce agli uomini spappolati dalla modernità, a raccontare la crisi della mascolinità e la caricaturale ipertrofia del femminile in cui siamo immersi (satirizzata in Beautiful You, divertente racconto in cui mariti e fidanzati vengono sostituiti da efficacissimi sex toys). No, nei libri di Palahniuk davvero non ci sono elementi per alimentare le cosiddette «guerre culturali» che dilaniano anche in queste settimane le università statunitensi. Ci sono, piuttosto, gli antichi temi della letteratura americana dei grandi: una critica serrata del consumismo, un potente affresco della lotta di classe ai tempi del liberismo trionfante, una attenzione amorevole alla persona e ai legami sociali. È vero, i suoi libri sono intrisi di violenza ultramoderna e spietata (perfettamente emblematica dell’Occidente odierno, frustrato e rancoroso). Ma la satira sociale che contengono è di impronta novecentesca e forse anche precedente. Si nota nel nuovo romanzo, Non per sempre ma per ora appena pubblicato da Mondadori), in cui i rimandi a Dickens - soprattutto a livello linguistico - sono numerosi. Anche se, appunto, si tratta forse dell’opera più violenta e brutale uscita negli ultimi decenni. È una violenza talmente estrema da risultare cartoonesca, è così ossessiva e continua che a un certo punto il lettore smette di preoccuparsene. Ed ecco che, solo grazie allo stile, Palahniuk ci ha offerto un quadro del nostro presente, così assurdamente spiegato che ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. I protagonisti sono due ragazzini viziosi e perversi, ricchi sfondati eredi di una dinastia antica e feroce, coinvolta nelle maggiori cospirazioni di tutte le ere, dall’omicidio Kennedy in su. I due orrendi infanti si dedicano alle sevizie e all’omicidio, non ne fanno nemmeno un hobby ma solo un inefficace antidoto alla noia. Sono la caricatura delle giovani generazioni viziate e insensibili dei nostri paraggi e, al contempo, la rappresentazione appena iperbolica dei rapporti di classe sotto l’Impero (più volte evocato). Palahniuk non risparmia nessuno: i complottisti e i complottardi, il potere e gli attivisti che vorrebbero contrastarlo. Ecco perché riesce antipatico a molti: perché il suo pensiero si dipana libero e tagliente, colpisce dove vuole. Non può diventare, il suo romanzo, un manifesto degli antifa che occupano strade e atenei, e nemmeno una storia «identitaria» per un gruppo sociale preciso. Per inciso, Chuck è legato da vent’anni a un uomo, è gay, ma non si avvolge nella bandiera degli oppressi. Parlando a Esquire dice: «Invecchio in questa cultura dove se non sei completamente allo scoperto in ogni aspetto della tua vita pubblica e personale, allora sei in qualche modo danneggiato, ti vergogni. [...] Ci si aspetta che io esca automaticamente allo scoperto in una esplosione di gioia, sventolando bandiere, cosa che è completamente in contrasto con l’intero modo in cui sono stato cresciuto. [...] Quindi sono fottuto in ogni caso. Sto solo cercando di essere una persona e vivere una vita. E mi dispiace: semplicemente non sono pronto per dichiararmi completamente allo scoperto e mettere tutto lì». Questo è uno dei motivi per cui lo odiano: non politicizza il suo corpo e la sua esistenza, anche se le sue opere sono tutte politiche. Preferisce siano le sue storie a parlare, è sensibile ma non fa la vittima, è coraggioso ma non fa il martire. È radicalmente diverso dai nostri scrittori che ogni giorno si magnano e si atteggiano a perseguitati. Anche perché, probabilmente, è più bravo di tutti loro messi assieme.
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