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2018-12-11
Otto indagati per la strage allo show di Sfera Ebbasta. L’ipotesi: rapina andata male
ANSA
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Riduci
Un giovane avrebbe usato spray urticante nel tentativo di derubare altri teenager. Avviso di garanzia a gestori del locale e titolari delle mura. Oggi le autopsie.Da Laura Boldrini al Pd, l'opposizione usa il disastro della Lanterna Azzurra per attaccare Matteo Salvini. Sono loro però che volevano i trapper al 1° maggio, con i testi pieni di sessismo per acchiappare gli adolescenti.Il trapper la stessa sera si esibiva anche a Rimini: perché chi ha i diritti sui ticket non vieta la pratica?Lo speciale contiene tre articoli.L'inchiesta sulla strage della Lanterna Azzurra di Corinaldo è un macabro vaso di Pandora. Si comincia a capire che nelle discoteche gli adolescenti sono in balia di spacciatori, di bande violente, che succede di tutto: l'alcol scorre senza freni e i pifferai magici sfruttano questi quasi bambini fino all'ultimo centesimo. Ieri pomeriggio il Procuratore capo di Ancona, Monica Garulli; il Procuratore dei minori, Giovanna Lebboroni; il sostituto Paolo Gubinelli e Cristian Carrozza, comandante dei Carabinieri, hanno fatto il punto sulle indagini - che sono all'inizio - invitando chiunque sappia qualcosa a farsi avanti. Al momento ci sono otto indagati: i quattro proprietari dell'immobile e i tre gestori della Lanterna Azzurra (Carlo Capone, Quinto Cecchini e Francesco Bertozzi, soci e amministratore della Magic Srl) accusati di concorso in omicidio plurimo colposo aggravato. Un diciassettenne di Corinaldo - di cui nessuno riveal nome né nazionalità - è accusato invece di omicidio preterintenzionale, lesioni colpose e dolose. Secondo l'accusa è lui, noto come pusher, che ha sparso lo spray urticante per coprirsi la fuga dopo aver tentato di strappare la catenina a un ragazzo. Ma non sarebbe stato (solo) il suo spray a generare il panico. La quantità di liquido vaporizzata sarebbe poca. I carabinieri hanno ritrovato la bomboletta: un flacone da 15 millilitri. Gli indagati non sarebbero i soli responsabili della morte di Asia Nasoni, Emma Fabini, Benedetta Vitali, Mattia Orlandi, Daniele Pongetti tutti tra 14 e 16 anni e mamma Eleonora Girolomini (39 anni) che lascia quattro bimbi. L'inchiesta è destinata ad allargarsi ad almeno altre due persone: un uomo di 27 anni di Fano e la sua fidanzata, una cameriera. Sono stati fermati con l'accusa di detenzione di droga. Avvisi di reato sarebbero pronti anche per i buttafuori della Lanterna Azzurra. I filoni d'inchiesta sono due: il primo riguarda le misure di sicurezza, l'organizzazione della serata, il numero di biglietti venduti, la somministrazione di alcol a minori, lo spaccio di droga; il secondo (in capo alla Procura dei minori) riguarda lo spaccio e la rapina che alcuni ragazzi avrebbero subito oltre alla causa che ha scatenato il panico. «La situazione», ha precisato Giovanna Lebboroni, «è molto fluida, siamo in presenza di più cause. Anche nei confronti del ragazzo non abbiamo assunto per ora alcuna misura cautelare: lo accusano in tre, ma molti aspetti vanno verificati». A cominciare dall'analisi di centinaia di filmati registrati dai telefonini degli adolescenti che per ore hanno atteso invano Sfera Ebbasta. La Procura - che ha disposto per oggi le autopsie sulle povere vittime - vuole sapere come mai la balaustra all'esterno del locale abbia ceduto, se vi siano state fughe di gas o di altro, se le uscite di sicurezza hanno funzionato e se vi era sovraffollamento. Si sta indagando per capire se a Corinaldo abbia agito la «banda delle discoteche». C'è la testimonianza di uno studente dell'alberghiero di Osimo che ai carabinieri ha raccontato di aver visto entrare nel locale tre giovani incappucciati e con il viso coperto da mascherine antismog. Potrebbero essere i componenti della banda delle rapine in discoteca col peperoncino? Si cerca anche di capire se la banda, qualora abbia effettivamente agito alla Lanterna Azzurra, avesse altri complici. La dottoressa Lebboroni è convinta che qualcosa del genere sia accaduto. Potrebbe essere successo che la banda sia entrata in azione nella discoteca - favorita anche da qualche palo - e abbia sparso in più punti lo spray urticante. Anche se è stata ritrovata una sola bomboletta. Si sa che in tutto il Nord Italia ci sono stati almeno una trentina di colpi messi a segno con queste modalità e il dj della Lanterna Azzurra, Marco Cecchini, figlio di uno dei gestori, ha raccontato che a un ragazzo è stata scippata la catenina d'oro e in diversi hanno detto che un giovane con un cappellino in testa è salito su di un cubo e ha sparso il gas urticante: esistono filmati che lo ritraggono ma non c'è la prova che sia il ragazzino, poco più grande delle vittime, finito indagato. I carabinieri lo hanno trovato da solo in un appartamento di un residence di Senigallia: aveva due etti di cocaina. Secondo i militari, il ragazzo sarebbe uso adescare adolescenti in discoteca, spacciare e poi rapinarli. Lo fa da solo? Lo fa con la complicità o peggio per conto di qualcuno? Questo è ancora da chiarire, ma nello stesso residence hanno affittato un appartamento per un mese il fanese e la ragazza fermati ieri. Coincidenza? Resta però il dubbio su cosa abbia reso irrespirabile l'aria nella discoteca. Più di un ragazzo ha parlato di un forte odore di ammoniaca, qualcuno ha anche detto che si è sentita come un'esplosione e che il locale era immerso nei fumogeni. Si sta cercando di capire se la discoteca avesse o meno dei diffusori di vapori di scena. Il ministro dell'Interno Matteo Salvini è tornato sul caso affermando: «Lo spray al peperoncino ha salvato tante donne da violenze e stupri. Chi ne abusa, per quel che mi riguarda, va arrestato anche se minorenne». E qui si inserisce il secondo filone d'indagine. Come ha detto il Procuratore Monica Garulli, si deve chiarire se l'emergenza è stata gestita con le dovute cautele, se tutto nella discoteca funzionava. E poi c'è il giallo dei biglietti venduti e della reale partecipazione di Sfera Ebbasta. Alla Siae erano stati chiesti 1.600 tagliandi, ne hanno venduti solo 466 a fronte di una capienza del locale per 871 persone. Ma c'è un altro enigma. Quel maledetto venerdì notte forse non ci doveva neppure essere un concerto, ma un dj set: si può organizzare senza chiedere nessun permesso, senza attivare nessun servizio di sicurezza. E senza neppure dare troppo conto dei biglietti davvero venduti a 30 euro l'uno. Non è escluso che gli inquirenti vogliano sapere da Sfera Ebbasta (che venerdì sera 40 minuti dopo mezzanotte era ancora all'Altromondo di Rimini) se sarebbe mai arrivato a Corinaldo e come mai sul biglietto compare solo la descrizione di «ballo con musica dal vivo». Il trapper per adesso si è limitato a farsi tatuare sulla testa sei stelle per ricordare le vittime. Altro non dice. Qualche buona notizia arriva invece dall'ospedale di Torrette, dove sono ricoverati i feriti più gravi. Quattro dei sette ragazzi tenuti in coma farmacologico hanno ripreso a respirare da soli, per tre le condizioni sono invece ancora molto critiche. Carlo Cambi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/otto-indagati-per-la-strage-allo-show-di-sfera-ebbasta-lipotesi-rapina-andata-male-2622983828.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-trap-e-una-musica-di-nefandezze-ma-fino-a-ieri-la-sinistra-lha-suonata" data-post-id="2622983828" data-published-at="1765635570" data-use-pagination="False"> La trap è una musica di nefandezze ma fino a ieri la sinistra l’ha suonata Certo, è anche una questione di leggi non rispettate, di porte di sicurezza chiuse, di troppi biglietti staccati e di mille altre violazioni piccole e grandi che - una dopo l'altra, nella loro banalità piccina - hanno prodotto l'inferno. Di tutto questo si devono occupare (e si stanno occupando) gli inquirenti. Però c'è pure qualcosa di più profondo e meno ovvio nel disastro della discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo. Ci sono dei ragazzini di 14 anni e anche meno che, all'una di notte, se ne stavano accalcati in un locale in attesa di una sottospecie di cantante chiamato Sfera Ebbasta, il quale intanto se ne stava a quasi 100 chilometri di distanza per un'altra esibizione. In questa storia orrenda senz'altro giocano un ruolo fondamentale la cupidigia e la disonestà, ma tra una tirata moralistica e l'altra la cosiddetta «opinione pubblica» ha trovato il tempo per accorgersi di un fenomeno chiamato trap e della sottocultura che esso veicola. Ora, soltanto ora, si leggono con indignazione i testi delle canzonette di Sfera e dei suoi colleghi. Ora, a carneficina avvenuta, si pontifica sul «vuoto generazionale», sui minorenni ubriachi e drogati che si stringono sotto i palchi in attesa di un pagliaccio con i denti dorati. Ora, per salvare il salvabile, c'è chi tenta di evitare l'argomento, chi sostiene che «i cantanti non hanno colpe». Eppure le cose non stanno esattamente così. Forse se in quella discoteca ci fosse stata meno gente si sarebbe evitato il peggio. Forse, se avessero fatto tutti i controlli, i manigoldi con lo spray urticante (ammesso che di quello effettivamente si tratti) non sarebbero entrati. Tutto vero. Ma è vero anche che il dramma ha a che fare con la musica trap e con i suoi contenuti. Una musica che si presenta in forma dimessa, come una reiterazione di nenie vagamente melodiche, e che però contiene un nucleo duro e nascosto di violenza. Un nocciolo che sta affiorando, ma che in tanti si ostinano a non vedere. Laura Boldrini, nelle scorse ore, ha sfruttato la tragedia di Corinaldo per attaccare Matteo Salvini. «Un Ministro dell'Interno serio si sarebbe precipitato ad Ancona dove stanotte sono morti sei giovani e ci sono decine di feriti», ha scritto su Twitter. «Salvini invece ha altre priorità: fare un comizio ai suoi militanti». Poco prima, l'ex presidente della Camera aveva scritto: «Non si può morire in un locale dove si va per passare una serata divertente e in compagnia di amici». Il fatto è che a sentire Sfera Ebbasta non si va per passare «una serata divertente con gli amici». Ci si va, per lo più, per sfasciarsi, anche perché quasi tutto ciò che questo trapper canta è un inno al degrado e all'ottundimento dei sensi. La Boldrini è sempre attenta alle manifestazioni di sessismo e odio, proprio in questi giorni sta presentando la sua proposta di legge contro il «revenge porn». Beh, è curioso che non si sia mai accorta di ciò che diceva Sfera Ebbasta a milioni di ragazzini. Nel brano Hey tipa scandiva: «Quanto sei porca/ dopo una vodka/ me ne vado e lascio un post-it sulla porta». E ancora: «Hey troia! vieni in camera con la tua amica porca/ quale? quella dell'altra volta». Adesso questi versi fanno il giro del Web e finiscono negli articoli di giornale. Tuttavia Sfera Ebbasta ha fatto in tempo a salire sul palco del concerto del primo maggio, la sinistra militante, quando ne ha avuto bisogno per attirare pubblico giovane, gli ha steso il tappeto rosso. Le femministe non hanno organizzato cortei contro il cantante machista, no. Al massimo qualcuno ha storto il naso perché Sfera sfoggiava ben due Rolex alla faccia dei comuni lavoratori. Già, ora a sinistra sono in tanti a indignarsi e a impegnarsi. C'è addirittura chi, come Gennaro Migliore del Pd, ieri se la prendeva con Salvini, accusandolo di aver causato la proliferazione di spray al peperoncino in tutto il Paese. È lo stesso Migliore che, ieri all'Aria che tira dichiarava: «Se c'è alcool all'interno di una discoteca dove ci sono quattordicenni, quella discoteca va chiusa». Ecco: ora gridano contro l'alcol, contro i gestori irresponsabili, contro il governo. Però glissano quando si tratta di affrontare il grande tema sociale e culturale. Danno la colpa a tutto e tutti, ma assolvono i cantanti, i trapper, e la loro musichetta. Sapete perché lo fanno? Perché fino all'altro giorno li hanno portati in palmo di mano. Su Repubblica, per esempio, Marco Lodoli invitava i genitori ad ascoltare il trapper Ghali, «voce di una generazione tagliata fuori». Uno che canta «Madonna che botta, mamma mia oh/ E fra, domani io lavoro, cazzo me ne/ E ho fumato tutto il giorno, cazzo me ne/ Devo restare sobrio, cazzo me ne/ Fumo e cazzo me ne» (il brano si intitola Cazzomene). Il medesimo Ghali è stato trattato come un eroe, come l'emblema della battaglia per lo ius soli. Lo hanno incensato come «l'italo tunisino» che, nei suoi pezzi, contestava i confini e il razzismo. E, come prevedibile, gli hanno perdonato i testi sull'abuso di droghe. Sempre Repubblica ha organizzato un bel forum per mettere in comunicazione i lettori e la Dark Polo Gang, un altro bel gruppetto di celebrità del trap. Di questa celebre «gang» faceva parte anche un trapper chiamato Dark Side, noto alle cronache e alle forze dell'ordine per il rapporto diciamo tormentato con gli stupefacenti. Costui, per inciso, è figlio di Francesco Bruni, noto sceneggiatore che ha collaborato con Paolo Virzì, Mimmo Calopresti e Roberto Faenza. Un pupillo dell'intellighenzia romana, alta aristocrazia de sinistra. Ciò non significa che i trapper siano «di sinistra». Tuttavia la sinistra, quando ne ha avuto bisogno, li ha sfruttati, ha lisciato i quattro peli che avevano in testa nel disperato tentativo di «parlare ai giovani». Ora i cari progressisti si sbracciano e piangono, invocano giustizia e fanno la morale. Ma se una discoteca, all'una di notte, era piena di alcol e di minorenni in disperata attesa di un buffone, è anche colpa della musica trap e del coma generazionale che ha prodotto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/otto-indagati-per-la-strage-allo-show-di-sfera-ebbasta-lipotesi-rapina-andata-male-2622983828.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="siae-nella-bufera-per-biglietti-e-doppia-data" data-post-id="2622983828" data-published-at="1765635570" data-use-pagination="False"> Siae nella bufera per biglietti e doppia data Siae tassa i biglietti per entrare a un concerto, ma non si occupa di sicurezza o comunque non spetta a loro controllare se le regole per cui i cittadini pagano vengono rispettate. La tragedia di Corinaldo al concerto di Sfera Ebbasta riporta a galla le polemiche sull'ente pubblico che gestisce i diritti d'autore e incassa su ogni biglietto staccato quasi il 20% più Iva. Ma la società - che in teoria è sottoposta alla vigilanza della presidenza del Consiglio dei ministri, del Mibact e del Mef - si tira fuori da ogni tipo di polemica, rispondendo così a chi contestava il fatto che il rapper avrebbe programmato nella stessa sera ben due concerti, alla stessa ora, a più di 80 chilometri di distanza fra loro. «Per noi la sicurezza delle persone è al primo posto ma non rientra nei nostri compiti», spiega in una nota il direttore generale Siae, Gaetano Blandini. Eppure qualcosa che non torna secondo la Procura di Ancona, che ha ricostruito che per l' evento con Sfera Ebbasta alla Lanterna Azzurra di Corinaldo sono stati stampati 1.600 biglietti «ufficiali» e di questi ne sono stati venduti 466. Il problema è che 1.600 biglietti stampati rappresentano il doppio della capienza massima consentita nel locale (871) e tre volte tanto quella consentita nella sala dove si svolgeva il concerto: 459 persone. Perché Siae ha vidimato così tanti tagliandi? I pm marchigiani hanno inoltre ribadito che le altre due sale non erano fruibili: l'altra al piano terra (con 262 posti) era adibita a deposito strumenti e quella nel seminterrato non era riservata all'evento. Non solo. Come mai Siae non si era preoccupata del fatto che l'artista avesse un concerto a Rimini alla stessa ora in cui doveva essere a Corinaldo, come stampato sui biglietti timbrati? C'è chi ha sostenuto che quello marchigiano fosse un finto concerto. Tesi smentita dallo staff del cantante. Resta un quesito: perché erano stati stampati due biglietti identici - stesso colore, stessa foto di Sfera, stessa grafica - uno per l'Altromondo (a Rimini), l'altro con la Lanterna Azzurra di Corinaldo? Entrambi privi di orario d'esibizione. Sui biglietti vidimati dalla Siae e venduti per la serata alla Lanterna, invece, l'orario indicato era quello delle 22. Eppure a quell'ora Sfera Ebbasta non aveva neppure incominciato a suonare a Rimini. «Ore mezzanotte e 56. Lanterna Azzurra, Corinaldo. Un gran cretino lancia una bomboletta di spray al peperoncino in mezzo alla sala con più di 1.500-2.000 persone tra cui io con mia figlia di 10 anni. Scene da panico. Aspettavamo questo Sfera Ebbasta ( ingresso alle 22, inizio alle 23 e all'1 non c'era ancora nessuno», ha scritto uno dei genitori sui social. «La normativa di legge», sostiene ancora Blandini, «non prevede che il rilascio delle licenze Siae sia subordinato al controllo amministrativo delle licenze di pubblica sicurezza, adempimento quest'ultimo di esclusiva competenza degli organi di polizia». Mogol, il presidente della Siae, infatti si rivolge al ministro dell'Interno Matteo Salvini. «Servono maggiori controlli preventivi». Ma forse dovrebbe essere proprio Siae a controllare - quando emette i biglietti, che i cittadini pagano - il rispetto degli orari prestabiliti di un evento e impedire (certo, incassando meno...) che ce ne sia un altro in contemporanea in una regione diversa.Alessandro Da Rold
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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