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2018-05-30
Soldi dall’indagato per mafia al commissario che ci insulta
ANSA
L'uomo che si augura che i mercati insegnino agli italiani a votare non ce l'ha con i nostri connazionali in quanto tali, ma solo con i cosiddetti populisti. Infatti negli anni Novanta Günther Oettinger, commissario europeo al Bilancio e dirigente della Cdu di Angela Merkel, venne attenzionato in Germania per lo scambio di amorosi sensi con equivoci personaggi calabresi che 30 anni fa finanziavano le sue campagne elettorali.
Quindi a dare lezioni di voto ai nostri connazionali è un signore che ama la 'nduja, ma anche, sembra, i soldini degli italiani, senza preoccuparsi troppo della provenienza.
A gennaio in Germania è stato arrestato Mario Lavorato. Negli anni Novanta Oettinger definiva «il mio (ristorante, ndr) italiano» la pizzeria di questo sessantaduenne calabrese. All'epoca Lavorato era indagato in Germania e il telefono del suo locale era intercettato. Qui Oettinger e i suoi amici si recavano per mangiare in allegria, ma anche per cercare finanziamenti. Nella pizzeria sarebbe persino stata organizzata una «serata calabrese» a sostegno della Cdu. Negli stessi anni Lavorato venne coinvolto in un'indagine italiana, l'operazione Galassia, ma venne assolto dalle accuse di mafia. Dopo questo incidente di percorso avrebbe continuato indisturbato a fare il plenipotenziario delle 'ndrine in Germania, offrendo a prezzi stracciati ai lavoratori antipasti gustosi, dai pomodori ripieni alle melanzane. In Calabria, a Mandatoriccio mare, in provincia di Cosenza, Lavorato ha inaugurato anche il Villaggio camping da Mario, che ha un occhio di riguardo per la clientela tedesca, in particolare per le famiglie di Stoccarda, accolte da striscioni con scritto Guten tag.
A gennaio i carabinieri del Ros e i magistrati della Dda di Catanzaro, coordinati dal procuratore Nicola Gratteri, hanno realizzato l'operazione Stige che ha portato all'arresto di 170 persone, tra cui Lavorato. L'indagine ha sbaragliato la cosca di Cirò Marina (Crotone) Farao-Marincola che costringeva i ristoratori italiani della zona di Stoccarda ad acquistare dai suoi uomini vini, prodotti per la pizza e prodotti ortofrutticoli e pescato. E il loro plenipotenziario sarebbe stato proprio Lavorato, che è finito in manette con l'accusa di associazione mafiosa finalizzata all'estorsione. Ma dietro a quei commerci c'erano anche altri affari. Per esempio gli investigatori hanno messo sotto controllo un Inter Club della cittadina tedesca di Fellbach, che fungeva anche da centro di stoccaggio di banconote contraffatte provenienti dall'Italia. Secondo un'ipotesi investigativa il denaro contraffatto veniva realizzato a Mandatoriccio, il paese natio di Lavorato. Ma il suo coinvolgimento in questo traffico illecito non è ancora stato accertato. L'uomo a Fellbach era di casa al ristorante Gallo nero e in un altro locale chiamato Pizza presto.
Nella veste di locandiere conobbe il futuro commissario europeo Oettinger, all'epoca governatore del Baden-Wurttemberg. La vicenda emerse durante la cosiddetta operazione antimafia Galassia.
Nel 1994 il nome di Lavorato finì sui giornali tedeschi perché aveva finanziato con migliaia di marchi la campagna elettorale di Oettinger.
All'epoca gli inquirenti erano convinti che i soldi utilizzati dal presunto 'ndranghetista non fossero frutto della sua attività di pizzaiolo, ma provenissero dal traffico di droga e dal riciclaggio. Nella sua cassaforte e sul conto bancario di Lavorato venne trovato un milione di marchi. Ma furono le intercettazioni telefoniche a destare il maggiore scalpore. Infatti registrarono la voce di Oettinger.
L'allora ministro della Giustizia del Baden-Wurttemberg, il cristiano democratico Thomas Schaeuble (Cdu) informò il collega di partito delle indagini sul suo amico italiano, di cui era venuto a conoscenza, e gli consigliò di non chiamare più il ristorante. Anche il ministro dell'Interno, il socialdemocratico Frieder Birzele (Spd), mise in guardia Oettinger da quelle relazioni pericolose. Le due segnalazioni diventarono di pubblico dominio e a causa delle polemiche venne istituita una commissione d'inchiesta. Secondo il Corriere della Calabria «però la maggioranza dei commissari giunse alla conclusione che era “giustificato e necessario" informare Oettinger, perché “la strumentalizzazione dei politici" appartiene alla tipica procedura della criminalità organizzata perché “è pratica comune usare la conoscenza con i politici per aumentare il loro prestigio e mostrare presunta influenza"». Da allora Oettinger ha sottolineato più volte di non avere più avuto alcun contatto con Mario Lavorato.
Nel 2009 quest'ultimo è stato uno dei fondatori della Armig, un'associazione senza scopo di lucro italo-tedesca nata come centro di cultura tricolore. Ma in pochi anni, secondo gli investigatori tedeschi, si sarebbe trasformata in «un'associazione a delinquere, formatasi per porre in essere il reato di riciclaggio».
Nel 2014 la Armig avrebbe registrato un forte incremento. Infatti in quell'anno si sono associati numerosi gastronomi della regione e, «grazie al diretto intervento di Mario Lavorato sono stati convinti a diventare soci anche (...) altre persone importanti della Calabria e del Principato di Monaco con probabili collegamenti alla 'ndrangheta». Secondo la polizia criminale tedesca l'associazione calabrese sarebbe riuscita a intessere rapporti stabili «con esponenti della finanza e della politica tedesca».
Giacomo Amadori
Il ricatto dell’Ue: ci dà 2 miliardi in più basta che votiamo come dicono i mercati
Dopo settimane di bastonate da parte dell'Unione europea, ecco arrivare la carota per il nostro Paese. Le indiscrezioni degli scorsi giorni sono state confermate dalla conferenza stampa svoltasi ieri a Bruxelles: l'Italia beneficerà di maggiori fondi nel campo della coesione e dello sviluppo territoriale previsti budget Ue per il settennato 2021-2027. Un pilastro del bilancio europeo che vale complessivamente 367 miliardi di euro. Se le proposte illustrate ieri dalla Commissione europea verranno approvate, Roma riceverà 38,6 miliardi, 2,3 in più rispetto al precedente esercizio 2014-2020 (+6,4%). Buone notizie, verrebbe da pensare. Ma la benevolenza della Commissione è tutto fuorché gratuita.
L'annuncio da parte di Bruxelles arriva nello stesso giorno dell'ennesima, clamorosa gaffe proprio dello stesso Commissario europeo che guida l'ufficio che si occupa di redigere budget, il tedesco Günther Oettinger. «I mercati spingeranno gli italiani a non votare per i populisti», ha dichiarato Oettinger nel corso di un'intervista rilasciata alla Deutsche Welle. Inizialmente il giornalista Bernd Thomas Riegert aveva twittato una sintesi: «I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto». Sintesi che si è precipitato a smentire, con un autodafè cui ha fatto seguito una versione più aderente alla cronaca, che però non ha spostato di un millimetro la sostanza.
Parole che hanno immediatamente suscitato l'unanime indignazione da parte del mondo politico italiano. Durissimo il leader della Lega, Matteo Salvini. «Pazzesco, a Bruxelles sono senza vergogna», scrive Salvini su Facebook. «Se non è una minaccia questa… Io non ho paura, siamo più forti, prima gli italiani!». Drastico anche Luigi Di Maio, che su Twitter definisce «assurde» le parole di Oettinger. «Questa gente», aggiunge il capo politico del Movimento, «tratta l'Italia come una colonia estiva dove venire a passare le vacanze. Ma tra pochi mesi nascerà un governo del cambiamento e in Europa ci faremo finalmente rispettare». Ci prova anche Maurizio Martina a condannare le dichiarazioni del Commissario tedesco: «Nessuno può dire agli italiani come votare. Meno che mai i mercati. Ci vuole rispetto per l'Italia».
L'uscita sconsiderata di Oettinger ha costretto il presidente Jean-Claude Juncker a un'imbarazzato intervento: «Commento sconsiderato. La posizione ufficiale della Commissione è la seguente: compete agli italiani e soltanto a loro decidere sul futuro del loro Paese, a nessun altro». Poche ore dopo, arrivano le scuse dell'improvvido tedesco: «In riferimento agli attuali sviluppi di mercato in Italia, non volevo essere irrispettoso e mi scuso per questo».
La minaccia di Oettinger era arrivata con un tempismo perfetto ma, nella loro brutale franchezza, aiutano a comprendere le reali intenzioni della Commissione. La distribuzione dei fondi segue infatti una precisa logica politica, distante anni luce dalle reali necessità dei Paesi membri. Non per niente gli aumenti più sostanziosi riguardano quelle realtà a rischio di nuove elezioni, cioè Spagna (+1,6 miliardi pari al 5% in più rispetto al 2014-2020) e l'Italia, oppure la Grecia, che ad agosto uscirà dal programma di sorveglianza speciale della Troika. Bruxelles prova nervosamente a tenere il controllo della situazione, alternando ingerenze e gratificazioni.
Ne sanno qualcosa i paesi dell'Est, costretti a subire pesanti riduzioni sulle somme assegnate. Le più penalizzate risultano l'Ungheria del «ribelle» Viktor Orbán, la Lituania, l'Estonia, la Repubblica Ceca, tutte oggetto di un taglio del 24% rispetto al precedente settennato. Seguono Polonia (-23%) e Lettonia (-13%). Sulla carta la colpa di questa emorragia di denaro è da attribuire alla nuova metodologia adottata dalla Commissione, che assegna più fondi ai Paesi che con maggiori flussi migratori e una disoccupazione più elevata. Nella realtà, i Paesi orientali e in particolare il gruppo «Visegrad» (cioè Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) sono da mesi nel mirino di Bruxelles per l'insofferenza dimostrata riguarda ai temi dell'immigrazione e della giustizia. Un segnale che è in atto una crisi a questo livello è senza dubbio la decisione di rafforzare il vincolo tra l'entità degli stanziamenti e il rispetto dello stato di diritto negli Stati membri. Con le nuove regole annunciate all'inizio del mese in occasione della presentazione della bozza di budget, la Commissione potrà disporre del potere quasi illimitato di sospendere, ridurre o addirittura revocare le somme stanziate nel caso vengano riscontrate gravi violazioni in questo senso.
La Polonia ha già reagito duramente alla proposta di ridurre le dotazioni future. Joanna Kopcinska, portavoce dell'esecutivo guidato da Mateusz Morawiecki, ha dichiarato ieri a un'emittente radiofonica nazionale che «la ripartizione dei fondi è inaccettabile per i Paesi dell'Europa centrale». A metà mese il ministro polacco per gli Affari europei, Konrad Szymanski, aveva annunciato che Varsavia non avrebbe tollerato tagli «rivoluzionari» al budget. Raggiunto dalla Verità, l'eurodeputato Stanislaw Zóltek ha espresso tutto il proprio disappunto per le decisioni della Commissione. «È del tutto evidente», spiega Zóltek, «che l'intenzione della Commissione non è solo quella di colpire i paesi del blocco orientale, ma anche dare una sorta di contentino a quei paesi come l'Italia e la Spagna che con le loro crisi politiche minacciano la sopravvivenza dell'euro». «Sono favorevole ai tagli», conclude l'eurodeputato, «ma questo sistema non riduce realmente il budget, piuttosto assegna premi e penalità ai singoli membri. Così facendo la Commissione, anziché dimostrare imparzialità, punta a far rimanere allineati i paesi alla propria ideologia infetta».
Antonio Grizzuti
Spread a 300 e Moody’s ci tiene sulla corda
Piazza Affari deraglia nuovamente, con le banche ancora una volta sotto attacco. Lo spread, il differenziale sul decennale che ha superato per la prima volta negli ultimi cinque anni il muro dei 300 punti base e il rendimento del biennale che è schizzato fino al 2,72%, ha spinto la volatilità sul listino milanese, con il Ftse mib scivolato indietro del 2,65% a 21.350 punti sui nuovi minimi annui.
Molto male gli istituti di credito, con sospensioni a ripetizione durante la seduta per eccesso di ribasso. A fare peggio di tutti, alla chiusura, è stato BancoBpm, che lascia sul campo il 6,37% a 2,1 euro, seguita da Banca Generali (-6,09% a 20,04 euro) e Unicredit (-5,61% a 13,97 euro). A rendere così sensibile il comparto sono proprio le esposizioni verso il rischio sovrano italiano, che nel caso dell'istituto nato dalla fusione tra Bpm e Banco Popolare si attestano al 327% del capitale Cet1, secondo quanto rilevato dal direttore degli Studi economici della Ieseg school of management in una analisi basata sui risultati degli esercizi condotti nel giugno 2017 dall'Autorità bancaria europea in tema di trasparenza. Sono ben dieci le banche italiane la cui esposizione supera il parametro utilizzato per valutare la loro solidità: da Iccrea (620,8%) a Ubi (141%), passando per Monte dei Paschi (206%) e per Unicredit e Intesa Sanpaolo (entrambe al 145%). Tra le altre big del listino, spicca la flessione del 2,27% di Telecom Italia, scesa sotto quota 70 centesimi ad azione, e Leonardo, che perde il 5,39% a 8,3 euro. Pochi i rialzi e concentrati nel settore dell'energia, sostenuto oggi dal recupero del petrolio dopo la debolezza degli ultimi giorni, con il prezzo del Brent in crescita di un punto percentuale in area 76 dollari per barile. A giovarne sono state Eni (+0,13% a 15,09 euro), Tenaris (+0,54% a 15,78 euro) e Saipem, maglia rosa del Ftsemib con un progresso del 3,22% a 3,61 euro.
Al di là dei numeri asciutti la giornata di Borsa è stata caratterizzata dalla spada di Damocle firmata Moody's.
Gli ultimi sviluppi della situazione politica italiana «non cambiano la nostra recente decisione di mettere sotto osservazione il rating del debito italiano per un downgrade», ha spiegato ieri l'agenzia di rating tramite una nota, dopo che venerdì aveva comunicato di aver in corso una revisione sul suo giudizio dell'Italia, attualmente valutata Baa2. «Revisione che terminerà quando sarà più chiara la direzione della politica italiana», tanto che letteralmente Moody's avverte che il rating sovrano dell'Italia «verrà ridotto se la nostra conclusione sarà che chiunque componga il prossimo governo italiano metterà in campo politiche di bilancio inadeguate a mettere il debito italiano in una rotta discendente di lungo periodo. La mancanza di un'agenda di riforme sufficiente ad assicurare crescita di lungo termine sarà ugualmente negativa per il rating», spiega ancora l'agenzia internazionale. Tradotto, significa che Moody's sospenderà il giudizio fino a che l'eventuale nuovo governo Cottarelli farà i compiti assegnati dall'Europa: riforme e taglio del debito. È chiaro che i mercati sanno che in caso di declassamento l'Italia sarà fuori dal programma di Quantitative easing e non potrà più usufruire dello scudo di Mario Draghi. La minaccia è patente: o un governo filoeuropeista o sfiliamo la copertura della Bce. Le conseguenze sono facilmente immaginabili. A cominciare dal comparto bancario. Le turbolenze dei mercati di questi giorni, se prolungate, rischiano di creare problemi sul fronte della raccolta e della capacità di erogare prestiti proprio nel momento in cui le banche italiane stavano uscendo dalla crisi riducendo i due principali fattori di rischio: crediti deteriorati ed esposizione ai titoli di Stato mentre il patrimonio si è rafforzato con le grandi operazioni, private e con il sostegno pubblico, su Mps e le venete. L'irrompere della tecnologia e una redditività ancora scarsa per le piccole impongono di proseguire nel contenimento delle spese e dei costi del personale oltre che trovare nuovi fonti di reddito offrendo servizi aggiuntivi. L'ingresso dei giganti del web nel comparto della finanza, da Paypal a Google passando per Amazon, impone di non innalzare barriere alla concorrenza in una sterile difesa delle proprie posizioni ma di valorizzare il grande patrimonio informativo sulle imprese offrendo nuovi servizi. Alla concorrenza firmata Silicon valley si aggiunge così l'instabilità continua delle norme sempre più stringenti in tema di patrimonializzazione degli istituti. Il prossimo 28 giugno a Bruxelles si deciderà il futuro dell'unione bancaria e c'è da scommettere che in tema di sofferenze le nostre banche ne usciranno ulteriormente penalizzate. Difficile sopportare uno spread così elevato.
Gianluca De Maio
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Negli anni Novanta il commissario al Bilancio Günther Oettinger finì sui giornali perché un presunto 'ndranghetista, arrestato pochi mesi fa dalla Dda di Catanzaro, finanziò la sua campagna elettorale.Il politico Cdu destina più risorse all'Italia e poi minaccia: «La Borsa vi indicherà chi scegliere alle urne».Intanto, l'agenzia di rating Moody's minaccia il downgrade ma aspetta «evoluzioni politiche». I bancari affondano Piazza Affari.Lo speciale contiene tre articoliL'uomo che si augura che i mercati insegnino agli italiani a votare non ce l'ha con i nostri connazionali in quanto tali, ma solo con i cosiddetti populisti. Infatti negli anni Novanta Günther Oettinger, commissario europeo al Bilancio e dirigente della Cdu di Angela Merkel, venne attenzionato in Germania per lo scambio di amorosi sensi con equivoci personaggi calabresi che 30 anni fa finanziavano le sue campagne elettorali. Quindi a dare lezioni di voto ai nostri connazionali è un signore che ama la 'nduja, ma anche, sembra, i soldini degli italiani, senza preoccuparsi troppo della provenienza. A gennaio in Germania è stato arrestato Mario Lavorato. Negli anni Novanta Oettinger definiva «il mio (ristorante, ndr) italiano» la pizzeria di questo sessantaduenne calabrese. All'epoca Lavorato era indagato in Germania e il telefono del suo locale era intercettato. Qui Oettinger e i suoi amici si recavano per mangiare in allegria, ma anche per cercare finanziamenti. Nella pizzeria sarebbe persino stata organizzata una «serata calabrese» a sostegno della Cdu. Negli stessi anni Lavorato venne coinvolto in un'indagine italiana, l'operazione Galassia, ma venne assolto dalle accuse di mafia. Dopo questo incidente di percorso avrebbe continuato indisturbato a fare il plenipotenziario delle 'ndrine in Germania, offrendo a prezzi stracciati ai lavoratori antipasti gustosi, dai pomodori ripieni alle melanzane. In Calabria, a Mandatoriccio mare, in provincia di Cosenza, Lavorato ha inaugurato anche il Villaggio camping da Mario, che ha un occhio di riguardo per la clientela tedesca, in particolare per le famiglie di Stoccarda, accolte da striscioni con scritto Guten tag. A gennaio i carabinieri del Ros e i magistrati della Dda di Catanzaro, coordinati dal procuratore Nicola Gratteri, hanno realizzato l'operazione Stige che ha portato all'arresto di 170 persone, tra cui Lavorato. L'indagine ha sbaragliato la cosca di Cirò Marina (Crotone) Farao-Marincola che costringeva i ristoratori italiani della zona di Stoccarda ad acquistare dai suoi uomini vini, prodotti per la pizza e prodotti ortofrutticoli e pescato. E il loro plenipotenziario sarebbe stato proprio Lavorato, che è finito in manette con l'accusa di associazione mafiosa finalizzata all'estorsione. Ma dietro a quei commerci c'erano anche altri affari. Per esempio gli investigatori hanno messo sotto controllo un Inter Club della cittadina tedesca di Fellbach, che fungeva anche da centro di stoccaggio di banconote contraffatte provenienti dall'Italia. Secondo un'ipotesi investigativa il denaro contraffatto veniva realizzato a Mandatoriccio, il paese natio di Lavorato. Ma il suo coinvolgimento in questo traffico illecito non è ancora stato accertato. L'uomo a Fellbach era di casa al ristorante Gallo nero e in un altro locale chiamato Pizza presto. Nella veste di locandiere conobbe il futuro commissario europeo Oettinger, all'epoca governatore del Baden-Wurttemberg. La vicenda emerse durante la cosiddetta operazione antimafia Galassia.Nel 1994 il nome di Lavorato finì sui giornali tedeschi perché aveva finanziato con migliaia di marchi la campagna elettorale di Oettinger. All'epoca gli inquirenti erano convinti che i soldi utilizzati dal presunto 'ndranghetista non fossero frutto della sua attività di pizzaiolo, ma provenissero dal traffico di droga e dal riciclaggio. Nella sua cassaforte e sul conto bancario di Lavorato venne trovato un milione di marchi. Ma furono le intercettazioni telefoniche a destare il maggiore scalpore. Infatti registrarono la voce di Oettinger. L'allora ministro della Giustizia del Baden-Wurttemberg, il cristiano democratico Thomas Schaeuble (Cdu) informò il collega di partito delle indagini sul suo amico italiano, di cui era venuto a conoscenza, e gli consigliò di non chiamare più il ristorante. Anche il ministro dell'Interno, il socialdemocratico Frieder Birzele (Spd), mise in guardia Oettinger da quelle relazioni pericolose. Le due segnalazioni diventarono di pubblico dominio e a causa delle polemiche venne istituita una commissione d'inchiesta. Secondo il Corriere della Calabria «però la maggioranza dei commissari giunse alla conclusione che era “giustificato e necessario" informare Oettinger, perché “la strumentalizzazione dei politici" appartiene alla tipica procedura della criminalità organizzata perché “è pratica comune usare la conoscenza con i politici per aumentare il loro prestigio e mostrare presunta influenza"». Da allora Oettinger ha sottolineato più volte di non avere più avuto alcun contatto con Mario Lavorato.Nel 2009 quest'ultimo è stato uno dei fondatori della Armig, un'associazione senza scopo di lucro italo-tedesca nata come centro di cultura tricolore. Ma in pochi anni, secondo gli investigatori tedeschi, si sarebbe trasformata in «un'associazione a delinquere, formatasi per porre in essere il reato di riciclaggio». Nel 2014 la Armig avrebbe registrato un forte incremento. Infatti in quell'anno si sono associati numerosi gastronomi della regione e, «grazie al diretto intervento di Mario Lavorato sono stati convinti a diventare soci anche (...) altre persone importanti della Calabria e del Principato di Monaco con probabili collegamenti alla 'ndrangheta». Secondo la polizia criminale tedesca l'associazione calabrese sarebbe riuscita a intessere rapporti stabili «con esponenti della finanza e della politica tedesca».Giacomo Amadori<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ottinger-mercati-italia-2573352976.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-ricatto-dellue-ci-da-2-miliardi-in-piu-basta-che-votiamo-come-dicono-i-mercati" data-post-id="2573352976" data-published-at="1766461641" data-use-pagination="False"> Il ricatto dell’Ue: ci dà 2 miliardi in più basta che votiamo come dicono i mercati Dopo settimane di bastonate da parte dell'Unione europea, ecco arrivare la carota per il nostro Paese. Le indiscrezioni degli scorsi giorni sono state confermate dalla conferenza stampa svoltasi ieri a Bruxelles: l'Italia beneficerà di maggiori fondi nel campo della coesione e dello sviluppo territoriale previsti budget Ue per il settennato 2021-2027. Un pilastro del bilancio europeo che vale complessivamente 367 miliardi di euro. Se le proposte illustrate ieri dalla Commissione europea verranno approvate, Roma riceverà 38,6 miliardi, 2,3 in più rispetto al precedente esercizio 2014-2020 (+6,4%). Buone notizie, verrebbe da pensare. Ma la benevolenza della Commissione è tutto fuorché gratuita. L'annuncio da parte di Bruxelles arriva nello stesso giorno dell'ennesima, clamorosa gaffe proprio dello stesso Commissario europeo che guida l'ufficio che si occupa di redigere budget, il tedesco Günther Oettinger. «I mercati spingeranno gli italiani a non votare per i populisti», ha dichiarato Oettinger nel corso di un'intervista rilasciata alla Deutsche Welle. Inizialmente il giornalista Bernd Thomas Riegert aveva twittato una sintesi: «I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto». Sintesi che si è precipitato a smentire, con un autodafè cui ha fatto seguito una versione più aderente alla cronaca, che però non ha spostato di un millimetro la sostanza. Parole che hanno immediatamente suscitato l'unanime indignazione da parte del mondo politico italiano. Durissimo il leader della Lega, Matteo Salvini. «Pazzesco, a Bruxelles sono senza vergogna», scrive Salvini su Facebook. «Se non è una minaccia questa… Io non ho paura, siamo più forti, prima gli italiani!». Drastico anche Luigi Di Maio, che su Twitter definisce «assurde» le parole di Oettinger. «Questa gente», aggiunge il capo politico del Movimento, «tratta l'Italia come una colonia estiva dove venire a passare le vacanze. Ma tra pochi mesi nascerà un governo del cambiamento e in Europa ci faremo finalmente rispettare». Ci prova anche Maurizio Martina a condannare le dichiarazioni del Commissario tedesco: «Nessuno può dire agli italiani come votare. Meno che mai i mercati. Ci vuole rispetto per l'Italia». L'uscita sconsiderata di Oettinger ha costretto il presidente Jean-Claude Juncker a un'imbarazzato intervento: «Commento sconsiderato. La posizione ufficiale della Commissione è la seguente: compete agli italiani e soltanto a loro decidere sul futuro del loro Paese, a nessun altro». Poche ore dopo, arrivano le scuse dell'improvvido tedesco: «In riferimento agli attuali sviluppi di mercato in Italia, non volevo essere irrispettoso e mi scuso per questo». La minaccia di Oettinger era arrivata con un tempismo perfetto ma, nella loro brutale franchezza, aiutano a comprendere le reali intenzioni della Commissione. La distribuzione dei fondi segue infatti una precisa logica politica, distante anni luce dalle reali necessità dei Paesi membri. Non per niente gli aumenti più sostanziosi riguardano quelle realtà a rischio di nuove elezioni, cioè Spagna (+1,6 miliardi pari al 5% in più rispetto al 2014-2020) e l'Italia, oppure la Grecia, che ad agosto uscirà dal programma di sorveglianza speciale della Troika. Bruxelles prova nervosamente a tenere il controllo della situazione, alternando ingerenze e gratificazioni. Ne sanno qualcosa i paesi dell'Est, costretti a subire pesanti riduzioni sulle somme assegnate. Le più penalizzate risultano l'Ungheria del «ribelle» Viktor Orbán, la Lituania, l'Estonia, la Repubblica Ceca, tutte oggetto di un taglio del 24% rispetto al precedente settennato. Seguono Polonia (-23%) e Lettonia (-13%). Sulla carta la colpa di questa emorragia di denaro è da attribuire alla nuova metodologia adottata dalla Commissione, che assegna più fondi ai Paesi che con maggiori flussi migratori e una disoccupazione più elevata. Nella realtà, i Paesi orientali e in particolare il gruppo «Visegrad» (cioè Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) sono da mesi nel mirino di Bruxelles per l'insofferenza dimostrata riguarda ai temi dell'immigrazione e della giustizia. Un segnale che è in atto una crisi a questo livello è senza dubbio la decisione di rafforzare il vincolo tra l'entità degli stanziamenti e il rispetto dello stato di diritto negli Stati membri. Con le nuove regole annunciate all'inizio del mese in occasione della presentazione della bozza di budget, la Commissione potrà disporre del potere quasi illimitato di sospendere, ridurre o addirittura revocare le somme stanziate nel caso vengano riscontrate gravi violazioni in questo senso. La Polonia ha già reagito duramente alla proposta di ridurre le dotazioni future. Joanna Kopcinska, portavoce dell'esecutivo guidato da Mateusz Morawiecki, ha dichiarato ieri a un'emittente radiofonica nazionale che «la ripartizione dei fondi è inaccettabile per i Paesi dell'Europa centrale». A metà mese il ministro polacco per gli Affari europei, Konrad Szymanski, aveva annunciato che Varsavia non avrebbe tollerato tagli «rivoluzionari» al budget. Raggiunto dalla Verità, l'eurodeputato Stanislaw Zóltek ha espresso tutto il proprio disappunto per le decisioni della Commissione. «È del tutto evidente», spiega Zóltek, «che l'intenzione della Commissione non è solo quella di colpire i paesi del blocco orientale, ma anche dare una sorta di contentino a quei paesi come l'Italia e la Spagna che con le loro crisi politiche minacciano la sopravvivenza dell'euro». «Sono favorevole ai tagli», conclude l'eurodeputato, «ma questo sistema non riduce realmente il budget, piuttosto assegna premi e penalità ai singoli membri. Così facendo la Commissione, anziché dimostrare imparzialità, punta a far rimanere allineati i paesi alla propria ideologia infetta». Antonio Grizzuti <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ottinger-mercati-italia-2573352976.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="spread-a-300-e-moodys-ci-tiene-sulla-corda" data-post-id="2573352976" data-published-at="1766461641" data-use-pagination="False"> Spread a 300 e Moody’s ci tiene sulla corda Piazza Affari deraglia nuovamente, con le banche ancora una volta sotto attacco. Lo spread, il differenziale sul decennale che ha superato per la prima volta negli ultimi cinque anni il muro dei 300 punti base e il rendimento del biennale che è schizzato fino al 2,72%, ha spinto la volatilità sul listino milanese, con il Ftse mib scivolato indietro del 2,65% a 21.350 punti sui nuovi minimi annui. Molto male gli istituti di credito, con sospensioni a ripetizione durante la seduta per eccesso di ribasso. A fare peggio di tutti, alla chiusura, è stato BancoBpm, che lascia sul campo il 6,37% a 2,1 euro, seguita da Banca Generali (-6,09% a 20,04 euro) e Unicredit (-5,61% a 13,97 euro). A rendere così sensibile il comparto sono proprio le esposizioni verso il rischio sovrano italiano, che nel caso dell'istituto nato dalla fusione tra Bpm e Banco Popolare si attestano al 327% del capitale Cet1, secondo quanto rilevato dal direttore degli Studi economici della Ieseg school of management in una analisi basata sui risultati degli esercizi condotti nel giugno 2017 dall'Autorità bancaria europea in tema di trasparenza. Sono ben dieci le banche italiane la cui esposizione supera il parametro utilizzato per valutare la loro solidità: da Iccrea (620,8%) a Ubi (141%), passando per Monte dei Paschi (206%) e per Unicredit e Intesa Sanpaolo (entrambe al 145%). Tra le altre big del listino, spicca la flessione del 2,27% di Telecom Italia, scesa sotto quota 70 centesimi ad azione, e Leonardo, che perde il 5,39% a 8,3 euro. Pochi i rialzi e concentrati nel settore dell'energia, sostenuto oggi dal recupero del petrolio dopo la debolezza degli ultimi giorni, con il prezzo del Brent in crescita di un punto percentuale in area 76 dollari per barile. A giovarne sono state Eni (+0,13% a 15,09 euro), Tenaris (+0,54% a 15,78 euro) e Saipem, maglia rosa del Ftsemib con un progresso del 3,22% a 3,61 euro. Al di là dei numeri asciutti la giornata di Borsa è stata caratterizzata dalla spada di Damocle firmata Moody's. Gli ultimi sviluppi della situazione politica italiana «non cambiano la nostra recente decisione di mettere sotto osservazione il rating del debito italiano per un downgrade», ha spiegato ieri l'agenzia di rating tramite una nota, dopo che venerdì aveva comunicato di aver in corso una revisione sul suo giudizio dell'Italia, attualmente valutata Baa2. «Revisione che terminerà quando sarà più chiara la direzione della politica italiana», tanto che letteralmente Moody's avverte che il rating sovrano dell'Italia «verrà ridotto se la nostra conclusione sarà che chiunque componga il prossimo governo italiano metterà in campo politiche di bilancio inadeguate a mettere il debito italiano in una rotta discendente di lungo periodo. La mancanza di un'agenda di riforme sufficiente ad assicurare crescita di lungo termine sarà ugualmente negativa per il rating», spiega ancora l'agenzia internazionale. Tradotto, significa che Moody's sospenderà il giudizio fino a che l'eventuale nuovo governo Cottarelli farà i compiti assegnati dall'Europa: riforme e taglio del debito. È chiaro che i mercati sanno che in caso di declassamento l'Italia sarà fuori dal programma di Quantitative easing e non potrà più usufruire dello scudo di Mario Draghi. La minaccia è patente: o un governo filoeuropeista o sfiliamo la copertura della Bce. Le conseguenze sono facilmente immaginabili. A cominciare dal comparto bancario. Le turbolenze dei mercati di questi giorni, se prolungate, rischiano di creare problemi sul fronte della raccolta e della capacità di erogare prestiti proprio nel momento in cui le banche italiane stavano uscendo dalla crisi riducendo i due principali fattori di rischio: crediti deteriorati ed esposizione ai titoli di Stato mentre il patrimonio si è rafforzato con le grandi operazioni, private e con il sostegno pubblico, su Mps e le venete. L'irrompere della tecnologia e una redditività ancora scarsa per le piccole impongono di proseguire nel contenimento delle spese e dei costi del personale oltre che trovare nuovi fonti di reddito offrendo servizi aggiuntivi. L'ingresso dei giganti del web nel comparto della finanza, da Paypal a Google passando per Amazon, impone di non innalzare barriere alla concorrenza in una sterile difesa delle proprie posizioni ma di valorizzare il grande patrimonio informativo sulle imprese offrendo nuovi servizi. Alla concorrenza firmata Silicon valley si aggiunge così l'instabilità continua delle norme sempre più stringenti in tema di patrimonializzazione degli istituti. Il prossimo 28 giugno a Bruxelles si deciderà il futuro dell'unione bancaria e c'è da scommettere che in tema di sofferenze le nostre banche ne usciranno ulteriormente penalizzate. Difficile sopportare uno spread così elevato. Gianluca De Maio
(IStock)
Senza il pandoro, così come senza il panettone, non sarebbe Natale. È però un fatto che il pandoro è considerato un di più, un elemento dolce ancillare del panettone. Se il pandoro può mancare sulla tavola natalizia, non lo può il panettone. In realtà questa subordinazione del pandoro al panettone è abbastanza ingiusta. Il pandoro non è un dolce meno saporito del panettone, da un punto di vista tecnico non è meno complesso e dal punto di vista gustativo come il panettone soddisfa il bisogno di abbondanza, così il pandoro soddisfa quello di leggerezza, offrendo al gusto un sapore univoco non complicato da sospensioni come sono le uvette e i canditi nel panettone tradizionale e tutte quelle che passano per la mente del creatore nel panettone di ricerca. E leggera è anche la consistenza, che ricorda più una torta, un pan di Spagna o una torta paradiso, più che un pane addolcito e (assai) lievitato come invece fa il panettone. Questa nettezza di gusto lo rende aperto ad abbinamenti estemporanei: tipico di bambini e golosi è il sandwich di pandoro che si realizza con due fette di pandoro e un ripieno dolce che può andare dalla tavoletta di cioccolato al torrone.
La storia anzi la probabile storia del pandoro ci porta indietro fino agli antichi Romani. Plinio il Vecchio, infatti, raccontando le abitudini culinarie dell’antica Roma parla di un panis preparato abitualmente con fior di farina, burro e olio da Virgilius Stephanus Senex. Marco Gavio Apicio parla di un pane da liberare della crosta e poi imbibire di latte, friggere e cospargere di miele, perciò dorato. Da questi esempi di panis dorato antico-romano secondo molti deriva il levà veronese, anch’esso un pane dolce, di occasione festiva, ma più dolce del suo avo, con tanto di copertura di glassa con mandorle. Pare che nella corte veneziana il levà, come altri dolci locali, fosse ricoperto di sottilissime foglie d’oro zecchino e perciò fosse chiamato pane de oro. Dal levà deriverebbe il nadalin, nome veneto del dolce natalino ossia di Natale che si chiamerebbe così proprio perché sarebbe nato a Natale del XIII secolo per festeggiare l’investitura dei Della Scala a Signori di Verona. Il nadalin presenta un impasto morbido, una cupola decorativa di crosticina e frutta secca e una forma a stella di otto punte. Dal 2012 è anche un prodotto De.Co. del Comune di Verona, con tanto di ricette ufficiali per le due versioni, quella con lievito di birra oppure quella con lievito madre.
Questi i presunti prototipi - finora - del pandoro. Zoomiamo, quindi, sul pandoro. Del pandoro come lo conosciamo oggi abbiamo una data ufficiale di nascita. È il 14 ottobre 1894, il giorno in cui il pasticcere Domenico Melegatti brevetta la ricetta e il nome del suo dolce, Pandoro, ottenendo poi l’attestato di privativa industriale del ministero di Agricoltura Industria e Commercio del Regno d’Italia qualche tempo dopo: il 20 marzo 1895 il ministero di Agricoltura Industria e Commercio del Regno d’Italia, infatti, rilascia l’«attestato di privativa industriale della durata di anni tre per un brevetto designato col titolo Pandoro (dolce speciale)». La nascita del Pandoro con tanto di data presenta anche una… annunciazione! E già, in perfetto calco del paradigma religioso natalizio di nascita precedentemente annunciata. Sul quotidiano veronese L’Arena del 21 e 22 marzo 1894 (sei mesi prima del brevetto) compare l’avviso pubblicitario di annuncio del prodotto: «Il Pasticcere Melegatti… avverte la benevola e numerosissima sua clientela di aver allestito un nuovo dolce per la sua squisitezza, leggerezza, inalterabilità e bel formato l’autore lo reputa degno del primo posto nomandolo Pan d’oro». Nel depositare il brevetto il nome perde la sua composizione triplice e diventa un tutt’uno, quel «Pandoro» che, come succede alle grande invenzioni, per antonomasia, da nome proprio poi diventerà nome generico. Oggi pandoro è un marchionimo (così si chiamano i nomi originati da marchi) ovvero un tipo di dolce che tutti i pasticceri artigianali e industriali realizzano, non solo Melegatti e non solo i pasticceri di professione, essendo tanti i cucinieri casalinghi che si dilettano a impastare e cucinare pandori e panettoni in casa per le feste natalizie. Il Pandoro di Melegatti è un dolce ispirato alla morbidezza del levà, grazie ad un impasto diverso e allo stampo di cottura, ideato sempre da Domenico Melegatti, spiega il sito Internet dell’azienda, con forma di stella troncoconica a otto punte, brevettato anch’esso. La forma a stella del pandoro ricorda certamente quella del nadalin, rispetto al quale però è assai più alto e privo di qualsiasi topping. Secondo lo studioso Andrea Brugnoli il pandoro potrebbe però trovare altre fonti, ovvero il pane di Natale del monastero di San Giuseppe a Fidenzio: nei registri dell’economato del ministero il 21 dicembre 1790 si acquistano 500 uova, tantissimo burro e tantissimo altro zucchero. Altra fonte di ispirazione per Brugnoli sarebbe il Pan d’Oro che nel 1871 Cesare Capri di Verona porta ad un’esposizione pasticcera regionale presentandolo come «panettone di pasta dolce». Non si sa e in fondo non è nemmeno così interessante saperlo, essendo il pandoro talmente perfetto da interessarci dalla sua nascita ufficiale in poi. Tornando alla questione linguistica, perché il nome pandoro passi da proprio a generico bisogna attendere il 1927. In quell’anno, entra nella quinta edizione dell’importantissimo - per la costruzione della lingua italiana - Dizionario moderno di Alfredo Panzini. La voce «pandoro» nel dizionario recita: «Dolce di lievito, ricchissimo di burro (Verona). Dal colore aurato dovuto al rosso d’uovo».
Voi siete team pandoro, team panettone o team entrambi? In tutti i casi vi, anzi ci, sarà utile una breve disamina nutrizionale del pandoro, per capire cosa mangeremo quando lo mangeremo alla tavola natalizia. Non si può certamente sostenere che il pandoro sia dietetico. Si tratta al contrario di un dolce generoso di zuccheri e grassi saturi, che sono i macronutrienti tipici delle festività, ma anche quelli che dobbiamo tenere a bada. Generoso, conseguentemente, di calorie: 100 g ne hanno tra 390 e 435. Considerato che da un pandoro di 1 kg traiamo 8 fette (sono le 8 punte) si capisce come ogni fetta pesi 125 grammi. Se ragioniamo sui 100 g, abbiamo tra i 49 e i 53 g di carboidrati di cui tra 22 e 26,5 di zuccheri. Considerato che il pandoro si mangia alla fine di un pasto in cui i primi piatti sono sontuosi e abbondanti anch’essi e che questo pasto festivo e festoso si ripete (il cenone della Vigilia, il Pranzo del Natale, il Pranzo di Santo Stefano, minimo) si capisce come introiettare ulteriori 400 calorie circa composte per lo più di carboidrati e tra questi di zuccheri sia un elemento da tenere attenzionato, cercando dunque di non mangiare troppo nel resto delle giornate festive. I carboidrati sono solo l’inizio. Abbiamo tra 20 e 21 grammi di grassi, di cui tra 10 e 13 sono saturi e sono dovuti all’abbondanza di tuorlo d’uovo e burro. Infine abbiamo tra 7 e 8 grammi di proteine che sì, abbassano lievemente l’indice glicemico del dolce e si affiancano anche all’indice lipidico, tuttavia - com’è ovvio - non li annulla. In definitiva, chi è a dieta e chi deve limitare fortemente i grassi saturi, magari perché ipercolesterolemico, ipertrigliceridico o afflitto da altra patologia del metabolismo dei grassi e in generale del metabolismo dovrebbe mangiare giusto un pezzetto, forse evitare il pandoro. Non ne deve abusare nemmeno chi ha una forma e una salute perfette, perché - ricordiamoci - un eccesso di grassi saturi fa ingrassare e aumenta il rischio cardiovascolare, oltre a sovraffaticare l’apparato digestivo. Nel caso si voglia o si desideri un consumo più virtuoso, il consiglio è quello di optare o per il panettone o per il pandoro e non mangiare entrambi alla fine dello stesso pasto, per il dispiacere del team che definiremo «entrambi e pure uno insieme all’altro». Altri consigli: mangiare mezza fetta di pandoro anziché una fetta intera, stare molto leggeri per quanto riguarda grassi e zuccheri al pasto successivo o precedente, fare una bella passeggiata dopo il pranzo della festa. Il consiglio più strong di tutti è quello di non mangiare proprio il pandoro, ma come si fa? Quello semi strong è di non mangiarlo a fine pasto, ma a merenda (con un tè o un caffè rigorosamente senza zucchero) o a colazione. Tuttavia noi preferiamo pensare che mangiare il pandoro a fine pasto vuol dire anche seguire una tradizione e quindi vi riproponiamo il «trucchetto» di mangiarne, magari, mezza fetta.
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La decisione del tribunale di La Spezia che consente a una minorenne di assumere un nome maschile è contestabile. E quando si parla di transizioni chirurgiche bisogna sapere che le difficoltà sono tantissime.
Il tributo alle vittime della strage di Bondi beach a Sydney (Ansa)
Era evidente che l’antisemitismo da un momento all’altro sarebbe esploso con morti ammazzati. Nessuno si faccia illusioni: è solo l’inizio. Sono colpevoli i giornali che hanno riportato slogan genocidi, i politici e i cardinali che ripetono le menzogne di Hamas, i media che, grazie anche al fiume di denaro che da decenni arriva dal mondo islamico, hanno demonizzato lo Stato di Israele, i governanti che hanno permesso che la bandiera delle belve di Hamas sventolasse addirittura su palazzi di sedi istituzionali, tutti coloro che l’hanno appesa o messa sui social. Chiunque gridi slogan come «globalizzare l’intifada», sta invocando più morti ammazzati.
Ancora più sconvolgente dell’attentato antisemita in Australia sono i commenti sui social ai post che danno la notizia.
L’antisemitismo si è rifugiato nelle fogne nel 1945, il nazismo gli aveva tolto ogni dignità, e nelle fogne è rimasto fino al 1975. Fino a quella data sapevamo che Israele era dalla parte della ragione, che la sua nascita non solo era legittima, ma era un raggio di giustizia nella storia. Se guardiamo una carta geografica, dal Marocco all’Indonesia è tutto islam. Ovunque sono state annientate le civiltà precedenti, al punto tale che non ce ne ricordiamo, per cui non lo riconosciamo nemmeno per quello che è: dannato colonialismo genocidiario.
Nel 1453 cade Costantinopoli, quella che noi chiamiamo Turchia era il cristiano Impero romano d’Oriente. L’Afghanistan era una culla del buddismo. Siria e Nord Africa erano culle del cristianesimo, civilissime e verdi. L’islam distrugge tutte le civiltà precedenti. Il Bangladesh, una delle culle dell’induismo, è stato reso privo di induisti nel 1971, grazie a violenze spaventose seguite dalla più grande pulizia etnica di tutta la storia dell’umanità, 10 milioni di profughi induisti hanno lasciato la terra dei loro padri. Gli induisti sono stati convinti ad andarsene con sistemi energici e creativi: donne stuprate, bambini col cranio fracassato, uomini, ragazzi e bambini costretti a calarsi le brache e, nel caso non fossero circoncisi, castrati.
Poi il popolo di Israele ritorna alla terra di suoi padri. Si tratta di un fazzoletto di terra, senza una goccia di petrolio, ma è considerato un’onta imperdonabile. Quello di Israele è l’unico popolo tra quelli occupati dall’islam che sia riuscito a riconquistare la terra dei suoi padri interamente occupata. In mano all’islam era una terra di sassi e scorpioni, quando diventa Israele diventa un giardino. Nel 1975 la narrazione cambia. Israele ha incredibilmente vinto la guerra del ’48 e quella dei 6 giorni. Riesce a vincere dopo alcune sconfitte iniziali la guerra del Kippur. L’islam perde la speranza di una vittoria militare seguita dalla distruzione di Israele, e la strategia diventa mediatica.
Attraverso la corruzione di burocrati europei e dell’Onu, testate giornalistiche, campus statunitensi, università europee e poi ogni tipo di scuola, con la complicità del Partito comunista sovietico e di tutti i suoi fratellini nel mondo occidentale, grazie a fiumi di petrodollari, Israele è stato sempre più demonizzato mentre il vittimismo palestinese è diventato una nuova religione. Questo ha portato inevitabilmente alla beatificazione anche del terrorismo contro i cristiani, contro di noi. Sacerdoti e vescovi apprezzano gli imam più violenti, ignorano i martiri cristiani della Nigeria, decine e decine di migliaia di morti, rapimenti, stupri, mutilati e feriti, chiese distrutte, scuole vandalizzate, ma ignorano anche le violenze dei palestinesi contro i cristiani. A Betlemme i cristiani erano l’80% della popolazione prima di finire sotto l’amministrazione palestinese. Ora sono il 20%. La diminuzione è ottenuta mediante una serie di angherie che finiscono per suggerire l’idea di un trasferimento altrove, in termini tecnici si chiama pulizia etnica, e mediante il rapimento di ragazzine preadolescenti, prelevate all’uscita dalla scuola, e costrette a sposare un islamico, in termine tecnico si chiama stupro etnico. L’unico Stato in Medio Oriente dove il numero di cristiani aumenta costantemente è Israele, in tutti gli altri sta drammaticamente diminuendo.
Il vittimismo palestinese è elemento fondamentale, insieme alla denatalità, per la islamizzazione dell’Europa. L’antisemitismo, manifesto dal 1975, è esploso il 7 ottobre del 2023. Le cause dell’antisemitismo sono molteplici. La più apparentemente banale è la coscienza della superiorità culturale ebraica. I numeri sono impietosi. Gli ebrei sono lo 0,2% della popolazione mondiale. Il 20% dei premi Nobel sono stati attribuiti ad ebrei. Se guardiamo solo i premi Nobel per la fisica, la statistica sale al 35%. Il 50% dei campioni di scacchi è costituito da ebrei. Tra le motivazioni di questo successo c’è una potente identità etnica, il popolo eletto, coloro che parlavano con Dio e ne hanno avuto 10 comandamenti.
Fondamentale è il maggior quantitativo di studi, tenendo presente che ogni cosa che studiamo aumenta le sinapsi che abbiamo nel cervello. La stragrande maggioranza degli ebrei conosce almeno due lingue, l’ebraico, linguisticamente complesso che si scrive da destra a sinistra, e poi la lingua gentile del popolo ospitante o comunque l’inglese. Questa ricchezza linguistica si raggiunge attraverso lo studio e quindi aumenta le sinapsi. La religione ebraica è studio. La innegabile superiorità culturale ebraica genera due sentimenti negativi, l’invidia, una delle emozioni più potentemente distruttive, e il terrore del complotto, e qui arriviamo a un’altra causa di antisemitismo.
Sono più in gamba di noi in molti campi dello scibile umano, conoscono una lingua strana con cui possono comunicare tra di loro, ergo fanno continuamente complotti a nostro danno. In questa teoria gli ebrei sono descritti come assolutamente geniali da un lato e contemporaneamente i più idioti del reame: con tutta la loro incredibile potenza, tutto quello che ottengono è di essere costantemente odiati, di subire persecuzioni come nessun altro, non poter girare per la strada con una kippà o una stella di Davide, avere uno Staterello di 19.000 chilometri quadrati senza una goccia di petrolio che tutti vogliono distruggere.
C’è un antisemitismo cristiano che ha nutrito secoli di pogrom. Molti cristiani ritengono che Gesù Cristo sia stato ucciso dagli ebrei, che sia morto per volontà del Sinedrio. Gesù Cristo è andato alla morte per prendere su di sé i nostri peccati per volontà di Dio. Il popolo eletto ha avuto il compito di custodire la sua nascita e quello di custodire la sua morte. Quello che molti rimproverano agli ebrei è il loro non convertirsi al cristianesimo. In un certo senso questo loro rifiuto è «un continuo uccidere Cristo». Noi cristiani abbiamo avuto il compito da Cristo e da San Paolo di amare gli ebrei e convertirli. Con lunghi atroci secoli di persecuzioni e di odio abbiamo reso impossibile una conversione che in realtà è ovvia.
Ora il vaso di Pandora è scoperchiato. Giustificando, anzi amando, il terrorismo palestinese abbiamo sdoganato quello contro di noi. Anche gli assassinati del Bataclan avevano «rubato la terra ai palestinesi»? Per evitarci la tentazione dell’islamofobia ci è stato celato che a molte vittime del Bataclan sono stati cavati gli occhi e tagliati i genitali, come non ci hanno raccontato le sevizie durate ore con cui sono stati massacrati i nove italiani della strage di Dacca, luglio 2016. C’era anche una donna incinta. Ci hanno nascosto che cosa le hanno fatto perché altrimenti ci viene l’islamofobia.
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Le tecnologie nucleari rappresentano un pilastro fondamentale per affiancare le fonti rinnovabili, garantendo energia continua anche quando sole e vento non sono disponibili. Oltre a fornire elettricità affidabile, il nucleare contribuisce alla sicurezza del sistema elettrico e all’indipendenza energetica nazionale, elementi essenziali per sostenere la transizione energetica.
Negli ultimi anni, i reattori modulari di nuova generazione (SMR/AMR) hanno ridefinito l’equilibrio tra costi e benefici della produzione nucleare. Pur richiedendo investimenti iniziali significativi, questi impianti offrono vantaggi strutturali che li rendono sempre più sostenibili e competitivi nel lungo periodo. I capitali richiesti sono infatti sensibilmente inferiori rispetto ai grandi impianti tradizionali: si stimano 2-3 miliardi di euro per un reattore da 300 MWe contro i 12 e i 15 miliardi di euro per produrre 1.000 megawatt di potenza (1 GWe).
La standardizzazio dei moduli e l’assemblaggio in fabbrica garantiscono efficienza industriale, riducendo tempi, costi e complessità progettuale. Inoltre, con una vita operativa prevista di oltre 60 anni e un costo globale di produzione prevedibile, il nucleare modulare assicura energia affidabile a costi stabili, riducendo l’esposizione alla volatilità dei mercati energetici.
Il nucleare è già una realtà consolidata: nell’Unione europea sono operativi circa 100 reattori, con oltre 12 Paesi che stanno rilanciando questa tecnologia. Anche in Italia, l’aggiornamento del Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030) al 2024 prevede uno scenario con una potenza nucleare installata tra gli 8 e i 16 GW al 2050, pari a circa l’11-22% del fabbisogno nazionale.
A supporto dello sviluppo della filiera nazionale, è nata Nuclitalia società costituita da Enel, Ansaldo Energia e Leonardo che si occuperà dello studio di tecnologie avanzate e dell’analisi delle opportunità di mercato nel settore del nuovo nucleare. Il suo obiettivo è valutare le tecnologie più promettenti, costruire una filiera innovativa e sostenibile e sviluppare partnership industriali e di co-design, valorizzando le competenze delle industrie italiane. Inoltre, Nuclitalia monitora e partecipa attivamente ai programmi internazionali di R&D sulle tecnologie di IV generazione, per garantire un approccio integrato e avanzato al nucleare del futuro.
In sintesi, il nucleare modulare offre all’Italia la possibilità di affiancare le rinnovabili con energia stabile e programmabile, favorendo sicurezza energetica e sviluppo industriale. Con SMR e AMR, il Paese può costruire una filiera nazionale competitiva e sicura, contribuendo in modo concreto alla transizione energetica e all’indipendenza energetica.
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