2022-03-08
«Oseghale è il killer della mia Pamela e l’ha anche stuprata»
Il nigeriano condannato in Cassazione per l’omicidio ma non per gli abusi sessuali. Alessandra Verni, madre della vittima: «Mi batterò».Due giorni fa ha compiuto 43 anni, amari. La Cassazione ha rinviato parzialmente a un secondo appello il verdetto definitivo su Innocent Oseghale, il nigeriano che il 30 gennaio di quattro anni fa a Macerata ha ucciso e fatto a pezzi sua figlia: Pamela Mastropietro. Ma per la Suprema corte forse non l’ha violentata. Alessandra Verni è una donna minuta, con occhi d’infinito dolore, e vive nuove angosce. Accetta di parlare di Pamela e di questa sentenza che mette in forse l’ergastolo dell’assassino di sua figlia.Come sta Alessandra?«Male, ho un’angoscia continua dentro. Quando vado a lavorare sento le quattro mura del negozio come una gabbia, eppure le persone con me sono gentili. Io mi sforzo di comunicare, facendo il mio lavoro di parrucchiera ed estetista mi prendo cura di loro. Questo mi dà un po’ di forza. Ho anche un altro progetto…».Quale?«Me lo ha ispirato Pamela, ne sono convinta. Un giorno passeggiavo in un bosco e mi è venuto incontro un cavallo. A Pamela piacevano i cavalli. Ho così cominciato un corso per operatrice di “pet therapy” e tra i cinque animali che si usano a me tocca di lavorare con i cavalli. È un segno».Assomiglia tanto a Pamela. Sua figlia vive in lei?«Pamela era bella, al contrario di me. È sempre con me, prego tanto per lei e la sento qui».È passata una settimana dal verdetto della Cassazione. Qual è il suo stato d’animo?«Amareggiato. Come si fa a mettere in dubbio la violenza sessuale subita da Pamela? Una ragazza sola, spaventata, senza soldi, senza telefono, con una grave patologia psichiatrica. I colpi in testa, i segni di costrizione su un braccio e tutto il resto non bastano? La Cassazione ha condannato per molto meno: basta una pacca sul sedere! Voglio capire cosa ha spinto i cinque magistrati della Corte a ordinare un appello bis su questo aspetto. Oseghale però - è ora accertato senza nessun dubbio - è l’assassino di mia figlia, colui il quale ha compiuto uno scempio orribile su Pamela: ha fatto il corpo in 25 pezzi, le ha tagliato la testa. Un orrore infinito: ha infierito sui genitali, le ha tolto il sangue e poi ha lavato tutto con la candeggina. Infine ha lasciato Pamela sul ciglio di una strada dentro due trolley. Oseghale era arrivato sui famosi barconi, aveva chiesto il diritto di asilo: glielo avevano rifiutato perché ha mentito». Lei non ha potuto partecipare all’udienza in Cassazione. Come ha trascorso l’attesa? «Sono stati momenti di ansia, sfociati poi nell’aver saputo dai giornalisti l’esito dell’udienza, visto che i nostri avvocati non erano stati neanche avvisati». Pamela che ragazza era? Si è parlato di un suo disagio psichico: era reale?«Era fragile. Sia perché molto sensibile sia perché, purtroppo, affetta da una patologia psichiatrica grave. Aveva - così dicono i medici - dei distacchi autistici dalla realtà. È stata descritta, da qualche idiota, ed anche trattata in certi frangenti, come una ragazza “facile”. Era solo una ragazza fragile. E nei processi questo è venuto fuori».Lei ha sempre sostento che non si sono cercati i complici di Oseghale. Ne è ancora convinta?«Ciò che hanno fatto a Pamela non ha paragoni nel mondo. Oseghale ha sempre sostenuto di non aver mai fatto nulla di simile prima, e di non aver toccato, in vita sua, neanche un animale. E allora come ha fatto a ridurre così il corpo di mia figlia? E perché poi ha lasciato i trolley dove aveva messo Pamela sul ciglio di una strada, tornando beatamente a casa sua, anzi, fermandosi prima in un bar? E perché non si è disfatto subito dei suoi vestiti che, invece, i carabinieri hanno trovato a casa sua quando l’hanno arrestato? Era convinto che non lo scoprissero. E perché? Perché quei trolley li avrebbe dovuti prendere qualcun altro».Secondo lei non si è indagato né su chi si è approfittato di Pamela (il tassista che l’ha ospitata e «usata» a casa propria) né sulla Pars, che gestisce la comunità dove stava Pamela per curarsi. È così? «Ripensare a tutto questo è dolore su dolore. Sui “due del giorno prima”, il procedimento è stato archiviato perché mia figlia, morta ammazzata, non li ha querelati. Perché la legge non consente a me di chiedere giustizia per lei? Nonostante i miei appelli per cambiare le norme non si è mosso nessuno, nemmeno chi si riempie la bocca di lotta contro la violenza sulle donne. Sulla comunità continuo a chiedere senza avere risposta: possibile che una ragazza in quello stato se ne sia potuta andar via liberamente da lì? Loro dicono che, essendo maggiorenne, poteva fare ciò che voleva. E io grido: Pamela poteva e doveva essere fermata».La Cassazione ha ordinato un processo bis per lo stupro. Teme l’assoluzione di Oseghale? Se non c’è stata violenza qual è il movente per l’assassinio? Non c’è una contraddizione? «Certo che vi è una contraddizione. Quale sarebbe stato il movente, un raptus? Un litigio per i gusti musicali? Come sempre, sarò a Perugia alle nuove udienze. E continuerò a combattere».Lei più volte ha sostenuto che Pamela, Desiré Mariottini e centinaia di altre ragazze sono state oggetto della violenza di immigrati e della tratta delle bianche. Lo Stato le è stato vicino?«Che una immigrazione irregolare e incontrollata ci abbia portato in casa dei criminali è evidente. Anche nella vicenda di Pamela tutti quelli che, a vario titolo, sono entrati nelle indagini, sono risultati in gran parte spacciatori, ma tutti richiedenti asilo. In Ucraina, dove in questi giorni vi è davvero la tragedia della guerra, gli uomini sono rimasti a combattere, scappano le donne e i bambini. Quanto alla mafia nigeriana, rimarrà un mistero se Oseghale ne facesse parte o no. Desmond e Awelima, che erano stati indagati assieme a lui, poi usciti dal processo, intercettati in cella dicono che in Nigeria lui, quello che ha fatto a Pamela, lo aveva fatto altre volte. Uno di loro ha pure affermato di essere un rogged; nel gergo vuol dire mafioso. Quanto allo Stato, stendiamo un velo pietoso: vicinanza formale all’inizio, evidentemente ipocrita e strumentale, poi hanno definito quello che ci è successo solo un “casino”. Chi ci ha dato la forza è stata la gente comune, tantissima». Restiamo sulla mafia nigeriana: se potesse parlare con Luciana Lamorgese, ministro dell’Interno, cose le direbbe a proposito dell’immigrazione incontrollata?«La mafia nigeriana c’è in Italia, e non lo dico io. Sono convinta che la presenza incombente della mafia nigeriana, così come di altre organizzazioni criminali, sia conseguenza dell’immigrazione irregolare ed incontrollata. Anche la famosa integrazione a me sembra che serva più a far guadagnare chi dovrebbe facilitarla che a risolvere il problema. Parlare alla Lamorgese? Beh, avrei da dirle tante cose, ma la lista dei politici a cui rivolgere i miei pensieri sarebbe lunga». Infine con suo fratello, l’avvocato Marco Valerio Verni, state pensando a una fondazione che protegga ragazze come Pamela, come Desiré. A che punto è il progetto?«Personalmente ho in progetto un’associazione di sostegno per le famiglie vittime di queste violenze inaudite e per sostenere le ragazze e proteggerle. Sento che devo farlo per non rendere vano il sacrificio di Pamela. Anche mio fratello ha il progetto di creare un osservatorio su questa criminalità violenta. È necessario. Le prime vittime, ad esempio, della mafia nigeriana sono le nigeriane stesse. Poi potremmo parlare di Saman o di altre. Ma lo comprenderanno gli idioti?».
Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)