2025-02-26
L’Osce: «Denatalità, l’immigrazione non è la soluzione»
L’ente intergovernativo smentisce la bufala: «Gli stranieri non risolvono il problema e minano la coesione sociale».Le parole più giuste da utilizzare sono quelle del grande demografo francese Arsène Dumont, l’uomo che già nel XIX secolo (il suo saggio Spopolamento e civiltà è del 1890) intravvide le cause profonde di un cambiamento demografico che allora cominciava appena a manifestarsi. «Una società senza figli diventa decadente e tossica», ecco l’inappellabile sentenza che condanna una civiltà «individualista e autolesionista». Dovrebbe in effetti sconcertare che questa analisi sia riportata nel rapporto sulla demografia appena pubblicato dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), la maggiore struttura intergovernativa del Vecchio continente che conta 57 Paesi membri. La rappresentante speciale dell’assemblea parlamentare dell’Osce per il cambiamento demografico e la sicurezza, Gudrun Kugler (studiosa austriaca), evidenzia ha presentato un report intitolato Cambiamento demografico nella regione dell’Osce: analisi, impatto e possibili soluzioni di una mega tendenza che rimodella la società. Ventidue pagine di dati e analisi che giungono a conclusioni con cui non è facile venire a patti.Rispetto ad altre indagini simili, questo lavoro sembra concentrarsi soprattutto sulle ragioni culturali che stanno alla base del crollo demografico. Ragioni che sono ben riassunte dall’ex rabbino capo della Gran Bretagna, sir Jonathan Sacks: «La catena generazionale», ha detto Sacks, «è caratterizzata dal restituire ai propri genitori i loro sacrifici ripagandoli alla generazione successiva: spezzare questo legame, porta le generazioni in squilibrio. La genitorialità comporta un enorme sacrificio: di denaro, attenzione, tempo ed energia emotiva. Dove oggi, nella cultura europea con il suo consumismo e la sua gratificazione immediata, dove troverà spazio il concetto di sacrificio per il bene delle generazioni non ancora nate?». Rispondere è particolarmente doloroso.La crisi demografica, sostiene il report dell’Osce, «è quindi una questione di cultura e identità: chi siamo come società, dove andiamo, quali sono i nostri obiettivi, su cosa siamo d’accordo, in cosa ci aspettiamo che gli immigrati si integrino? E sì, attualmente molte delle nostre società sono a corto di risposte, per non parlare di risposte consensuali».I numeri, lo sappiamo, sono spaventosi. «Il cambiamento demografico è un megatrend che modificherà radicalmente le nostre società», dice il rapporto. «Colpisce tutto, e dovrebbe essere trattato come una questione politica primaria: saremo testimoni del rimodellamento del panorama sociale, economico e politico della nostra regione, con un impatto sulla struttura sociale, infrastrutture, forza lavoro, pensionamento, vecchiaia e salute, finanze statali e sicurezza, quasi ogni aspetto della vita». L’inverno della natalità, in sostanza, «spezzerà il sistema». «In linea con le tendenze diffuse», prosegue la ricerca, «la regione dell’Osce presenta tassi di natalità inferiori al livello di ricambio (2,1 figli per donna), con le notevoli e positive eccezioni dei Paesi dell’Asia centrale, come Uzbekistan, Tagikistan, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan, con una vasta popolazione di individui giovani e un significativo potenziale umano. In tutta Europa, tutti i Paesi hanno avuto tassi di fertilità bassi per decenni, con nazioni come Malta, Spagna e Italia che registrano costantemente alcune delle cifre più basse. Il tasso di Malta è al minimo a 1,08. Negli ultimi tempi si è osservato il calo più drammatico del tasso di fertilità in Europa settentrionale e meridionale». Secondo la relatrice Gudrun Kugler, «il cambiamento demografico modificherà radicalmente le nostre società, ma non siamo adeguatamente preparati. Il calo dei tassi di natalità e l’invecchiamento della popolazione esercitano un’immensa pressione sui nostri sistemi economici e sociali. Ad esempio, in Austria, entro il 2042, ci saranno solo due individui in età lavorativa per ogni pensionato, mettendo a dura prova i sistemi pensionistici e il mercato del lavoro».Si torna alle questioni culturali: senza un cambio di mentalità, l’Europa è destinata a diventare una terra desolata. Ed è qui che l’Osce affonda il dito nella piaga, smontando uno dei grandi miti contemporanei: «Alcuni sostengono che l’immigrazione sia il modo per proteggere le economie dalla carenza di manodopera», si legge nel report. «L’immigrazione può fornire lavoratori e offrire sollievo, ma il sollievo è solo temporaneo e comporta conseguenze complesse e non intenzionali. Le sfide all’integrazione delle persone provenienti da culture straniere sono molteplici e ampiamente conosciute, inclusa la difficoltà di mantenere la coesione sociale e la fiducia all’interno della comunità, con ulteriori possibili pericoli sotto forma di estremismo e antisemitismo e l’aumento della criminalità come della violenza di genere. Inoltre, la migrazione non risolve il problema demografico nel lungo termine: è una realtà spesso trascurata che anche gli immigrati invecchiano e alla fine avranno bisogno di sostegno».In estrema sintesi, l’Osce demolisce la tesi sostenuta quasi all’unanimità dai partiti progressisti e persino da illustri esponenti delle gerarchie cattoliche secondo cui l’ingresso di stranieri è la medicina per guarire la catastrofe demografica. Con l’arrivo di immigrati, dice l’Osce, «il numero di anziani nella società non diminuisce nel lungo periodo (come potrebbe accadere in Paesi a bassa immigrazione come il Giappone e l’Ungheria). Ciò crea un bisogno perpetuo di crescita esponenziale e insostenibile del numero di nuovi immigrati semplicemente per mantenere un effetto a breve termine sulla struttura per età di una popolazione. Con tassi di natalità già al di sotto del livello di sostituzione in Paesi come India, Bangladesh, Nepal e gran parte del Sudest asiatico, e con l’Africa che tende nella stessa direzione, anche il bacino di potenziali migranti si ridurrà. Inoltre, poiché queste regioni continuano a diventare più ricche, l’attrattiva di spostarsi verso Paesi più sviluppati diminuirà. Alla fine, le nazioni rimarranno senza potenziali immigrati per sostenere le loro economie che invecchiano e saranno costrette a confrontarsi direttamente con i loro bassi tassi di natalità».Non soltanto l’immigrazione massiccia non è profittevole, ma è anche eticamente molto discutibile. Secondo l’Osce «ci sono preoccupazioni etiche sull’incoraggiare la migrazione da società che invecchiano - già evidenti in alcune parti dell’India e dell’America Latina - che probabilmente diventeranno una questione globale nel prossimo futuro. La fuga dei cervelli compromette lo sviluppo dei Paesi di origine, privandoli dei talenti autoctoni e comportando una perdita di investimenti nel capitale umano (istruzione, formazione, ecc.). Tali danni spesso mettono in ombra i potenziali benefici delle rimesse. Dobbiamo tenere presente che la continua fuga di cervelli delle persone più istruite in una nazione in via di sviluppo ne impedirà l’ulteriore sviluppo ed eserciterà pressioni sociali, spesso con conseguente separazione familiare senza assistenza e solidarietà intergenerazionale per gli anziani che restano nel Paese di origine».Non è aprendo le frontiere che cureremo il nostro male. E se da un lato è positivo che la retorica dell’accoglienza venga colpita al cuore, dall’altro non è affatto consolante sentire la verità. In fondo, se bastasse fare entrare gente dall’esterno per salvarci, sarebbe tutto più facile. Guardare in faccia alla realtà e doloroso, perché siamo costretti a trovare una risposta alla domanda fatale: che cosa ci rende decadenti e tossici?
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.