2023-02-08
Aspettando Zelensky, Orbán spacca l’Ue
Verso il Consiglio europeo, i 27 divisi tra chi guarda a Occidente chi a Oriente. Budapest rilancia il dibattito sulle sanzioni. Incertezza sulla possibile presenza del presidente ucraino a Bruxelles. E intanto i francotedeschi trattano a Washington sui dossier economici.Un grande classico: quando il gioco si fa duro, l’Ue si fa molle. E soprattutto si fa strabica: con una parte dei ventisette che guarda verso Ovest (un po’ in chiave atlantica e un po’ alla ricerca di una corsia preferenziale economica) e un’altra parte che guarda verso Est. Comunque la si pensi, non sembra il modo migliore di preparare il Consiglio europeo di giovedì e venerdì, mentre nubi sempre più fosche si addensano sul futuro del conflitto tra Russia e Ucraina, questione che sarà ovviamente il primo tema all’ordine del giorno del vertice straordinario dei capi di Stato e di governo Ue. Tra l’altro (per evidenti ragioni di sicurezza, fino all’ultimo non ci saranno certezze al riguardo), a Bruxelles potrebbe esserci la prima uscita europea del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dopo la recente trasferta americana a Washington. Se alla fine il leader ucraino deciderà di raggiungere Bruxelles, potrebbe mettere in agenda due appuntamenti: un discorso all’Europarlamento e poi la partecipazione da ospite al Consiglio europeo. Va ribadito che il portavoce del Consiglio, Barend Leyts, si è limitato a parlare di un invito a Zelensky a partecipare di persona a un «futuro Consiglio europeo», senza specificare quale, e aggiungendo che «per motivi di sicurezza, non saranno fornite ulteriori informazioni».In ogni caso, mentre si avvicina per un verso il 24 febbraio (primo anniversario dell’invasione russa) e per altro verso il prevedibile momento di scontri sul campo ancora più duri, la strategia di Zelensky è chiara: chiedere ad alta voce sostegno ai partner europei, incalzarli affinché alle promesse (convinte di alcuni, più esitanti di altri) seguano i fatti. Ed è immaginabile che, se sarà confermato, il discorso del leader ucraino sarà ad alta intensità emotiva. E i 27? Rischiano ancora una volta, pur a fronte delle retoricissime e stentoree dichiarazioni comuni, di essere divisi nella sostanza. Sul fronte che guarda ad Est, già si muove Viktor Orbán, che sembra preparare una sorta di contraerea rispetto all’eventuale presenza di Zelensky. Il suo portavoce, Zoltan Kovacs, ha reso noti alcuni contenuti di una videoconferenza preparatoria - in vista del vertice di giovedì e venerdì - tra il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e i premier di Ungheria (Orban stesso), Polonia, Belgio, Finlandia, Malta, ed il capo di Stato bulgaro Rumen Radev. E qual è stato l’aspetto rimarcato dal portavoce del governo di Budapest riferendo le parole del suo primo ministro? Orbán da un lato «ha affermato che l’accesso ai fondi Ue di coesione e ricostruzione dovrebbe essere reso molto più rapido e semplice per gli Stati membri dell’Ue»; poi, passando al delicatissimo tema della guerra, Orbán «ha nuovamente chiesto un cessate il fuoco immediato e colloqui di pace, nonché un dibattito politico sostanziale sulle sanzioni di Bruxelles, che stanno distruggendo l’economia europea». E di nuovo, comunque la si pensi, ecco l’elemento di discussione fortissima: le sanzioni, rimesse in discussione da Budapest. Non è difficile immaginare la scena già in questa videoconferenza preparatoria: Varsavia totalmente schierata in senso atlantista, Budapest altrettanto nettamente collocata in direzione opposta, e il tentennante Michel di mezzo. Immaginate una replica allargata a ventisette, nel Consiglio vero e proprio, magari alla presenza di uno Zelensky a quel punto attonito, chiamato ad assistere in prima fila a nuove fibrillazioni. D’altra parte - divisioni a parte - resta un punto politico su cui proprio gli eurolirici più accesi sarebbero chiamati a dare una risposta convincente: possibile che l’Ue, oggettivamente enorme sostenitrice dell’Ucraina (Bruxelles stima quasi 50 miliardi di aiuti complessivi per Kiev, tra sostegno economico, assistenza umanitaria, supporto militare), non sappia né chiedere né offrire uno straccio di strategia? Qual è il punto di caduta? Quali le strade per eventualmente arrivare a un cessate il fuoco? Quale l’obiettivo più desiderabile dal punto di vista di chi sostiene Kiev (ad esempio, il ritorno alla situazione territoriale precedente rispetto al 24 febbraio 2022)? Nessuno azzarda risposte a Bruxelles, e tutto pare avvolto nella nebbia, sollevando inevitabili interrogativi nell’opinione pubblica europea, anche nella parte che più calorosamente supporta Kiev. Intanto, a testimonianza del fatto che ognuno già giochi per sé su plurimi tavoli, prosegue la missione statunitense dei francotedeschi (il ministro dell’Economia di Parigi, Bruno Le Maire, e il suo omologo di Berlino, Robert Habeck) di cui ha scritto ieri su queste colonne Claudio Antonelli. La dinamica politica è fin troppo scoperta: in una raffica di colloqui con i massimi rappresentanti economici dell’amministrazione Usa (a partire dagli effetti dell’Inflation reduction act lanciato da Joe Biden), Francia e Germania danno la sensazione di pensare più a sé che agli altri venticinque partner Ue: l’asse francotedesco è tornato, o forse non è mai andato via.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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