2022-01-12
Ora il Parlamento può tornare centrale. Modifichi in Aula i decreti di Draghi
Giuseppe Conte e Mario Draghi (Matteo Minnella/Pool/nsidefoto/Mondadori Portfolio via Getty Images)
Nei prossimi mesi all’esame delle Camere i tre provvedimenti di queste settimane. Deputati e senatori non siano meri notai.Ex malo bonum: da un problema può scaturire un’opportunità. Da anni, giustamente quanto purtroppo inutilmente, si denuncia da più parti una crescente compressione del ruolo del Parlamento e una simmetrica espansione fuori misura del potere del governo. Gli strumenti di questa deriva? Uso e abuso della decretazione d’urgenza, reiterazione dei decreti legge, abitudine a varare decreti omnibus, il tutto con la frusta della fiducia addirittura per stroncare sul nascere ogni possibilità emendativa da parte delle Camere. Nel biennio Covid, questa tendenza è stata addirittura esasperata. Durante il governo di Giuseppe Conte, ciò è avvenuto attraverso l’abuso dei Dpcm: veri e propri atti amministrativi per mezzo dei quali si è finito per incidere perfino su libertà e diritti costituzionali. E con il paradosso che in quel caso non c’è stata nemmeno una parvenza di passaggio parlamentare. Con il governo di Mario Draghi, si è per lo meno ripristinato un elemento minimo di decoro, riducendo al minimo l’uso dei Dpcm e tornando allo strumento del decreto legge, criticabile quanto si vuole, ma almeno dotato di una sicura valenza normativa primaria, sancita dalla Costituzione. E però resta il punto di fondo: un ruolo ancillare, subordinato, passivo da parte delle Camere. Non si tratta - in questa sede - di stabilire il dosaggio delle responsabilità (quanta colpa del governo, quanta del Parlamento), né di impancarci a giudicare quanto le Camere si siano progressivamente abituate a usare l’«alibi» della prepotenza del governo per giustificare la loro progressiva inerzia. Rimane uno stato di fatto che è sotto gli occhi di tutti. E allora dov’è - adesso - l’opportunità di invertire il corso delle cose? Ci sono da convertire ben tre decreti legge: quello varato il 24 dicembre, quello varato il 29 dello stesso mese, e infine quello varato il 5 gennaio. Secondo Costituzione, le Camere possono e devono discutere, modificare e approvare i decreti legge entro 60 giorni, trasformandoli in legge (e questa trasformazione si definisce, appunto, «conversione»). A quanto pare, per evidenti ragioni di calendario, sembra probabilissimo che la conversione dei tre provvedimenti avverrà dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. A quel punto, il calendario parlamentare sarà sgombro, e le due Camere potranno concentrarsi su quei tre decreti. Ecco, il nostro auspicio è che stavolta il processo di conversione sia vero e non virtuale, che le Camere colgano appieno l’occasione di esaminare i decreti, e non solo di approvarli a scatola chiusa. Ci sono da modificare nodi solo apparentemente piccoli: si pensi al tema delle isole. Occorre poi assolutamente intervenire su questioni ormai esplosive, come quelle delle quarantene: tra positivi asintomatici e persone a vario titolo bloccate a causa di un contatto, siamo a 7,7 milioni di italiani variamente limitati nelle loro possibilità di lavoro e di movimento: un’autentica follia, che sta già terremotando luoghi di lavoro e servizi essenziali. E volendo, con un minimo di coraggio politico, ci sarebbe anche l’occasione di affrontare un punto di fondo: un necessario cambio di paradigma complessivo rispetto alla «raffreddorizzazione» del Covid indotta dalla variante Omicron. Che senso ha protrarre un paradigma chiusurista nel momento in cui la malattia tende invece a depotenziarsi e a endemizzarsi? Non è solo la Gran Bretagna di Boris Johnson, a guida conservatrice, ma pure la Spagna di Pedro Sanchez, saldamente collocato a sinistra, a indicare un necessario e radicale cambio di direzione. Ecco, su tutto questo il Parlamento ha l’occasione di intervenire: c’è davvero da augurarsi che la colga, e che non prevalgano la timidezza, il piccolo cabotaggio, la propensione a fungere solo da luogo di ratifica delle decisioni assunte dal governo. E se questo è vero per i tre decreti legge citati, a maggior ragione dovrebbe esser valido per la legge delega sul fisco. Qui è direttamente la Costituzione a prescrivere che sia il Parlamento a dettare preventivamente al governo i principi e criteri direttivi a cui il governo dovrà poi attenersi nel successivo varo dei cosiddetti decreti delegati. Dunque, sarebbe assurdo se le Camere assegnassero al governo una delega vaga e amplissima, praticamente in bianco. Anche perché in quel caso, diversamente da quanto accade per i decreti legge, sui decreti delegati le Camere non hanno quasi più voce in capitolo, eccezion fatta per un parere (non vincolante) da esprimere in Commissione alla fine dell’iter. Esemplifichiamo scegliendo il tema più rovente incluso nella delega fiscale, quello del catasto: se le Camere (saggiamente) lo espungono, tolgono un’arma dalle mani del governo; ma se invece si limitano a consegnare all’esecutivo una vaga delega a intervenire, poi non avranno alcuno strumento per tutelare i cittadini ove il governo varasse un decreto delegato volto a colpire ancora la proprietà immobiliare. Meglio pensarci prima, e meglio soprattutto che il Parlamento faccia il Parlamento.