2021-01-15
Ora il Colle dice sì alla caccia al parlamentare
Dopo aver bocciato a dicembre il ricorso a «maggioranze raccogliticce e precarie», Sergio Mattarella dà carta bianca a Giuseppi. Ma quando il centrodestra ha cercato un sostegno più ampio in Aula, il Quirinale ha messo il veto sulle avventure al buio.Inutile far finta che non sia così: al di là dei giocatori in campo, c'è un dominus della crisi che risiede al Colle, e a cui la Costituzione attribuisce una latitudine assai estesa di poteri. In questi casi, non manca mai chi (troppo furbo o troppo ingenuo) cerca di minimizzare, di ridurre tutto a moral suasion, di sottolineare un presunto ruolo meramente notarile del presidente della Repubblica. Ma tutti sanno che non è così. E che, quando una crisi matura, e perfino nel caso in cui non venga esplicitamente formalizzata, da quel momento il presidente ha diritto di vita e di morte: può dettare i tempi, concedere o negare giorni preziosi, dare agibilità politica a un premier zoppicante oppure negargliela. Questo prima ancora che una crisi sia ufficializzata. Se poi si valica quella soglia, a quel punto il potere del Colle diventa addirittura assoluto: può respingere le dimissioni, rinviare alle Camere, reincaricare, incaricare altri, sciogliere le Camere, e così via. Nessuna ipotesi gli è preclusa. E allora vale la pena di ricordare come Sergio Mattarella si sia comportato nelle due occasioni in cui, in questa legislatura, sia stato chiamato a questa prova: subito dopo il voto della primavera del 2018, a causa del lungo stallo postelettorale; e poi alla fine dell'estate del 2019, dopo la deflagrazione del Conte uno. Della prima occasione, tutti ricordano il flop dell'incarico a Carlo Cottarelli. Ma pochi rammentano che, in quella lunga fase in cui furono abbozzate tante esplorazioni, la più frettolosa (si potrebbe dire: quella fatta tanto per lasciare a verbale che anche quel tentativo era stato esperito) fu quella affidata sul lato destro alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, che dovette subito constatare la difficoltà di un governo tra centrodestra e M5s. Non solo. Ben più curiosamente, il capo dello Stato non concesse (nonostante diverse voci lo sollecitassero in questa direzione) l'incarico a una personalità indicata dal solo centrodestra (che alle urne era risultato come la prima coalizione) affinché potesse andarsi a cercare in Parlamento i voti mancanti (servivano 50 deputati e 20 senatori: e tutti sanno che, in un contesto simile, sarebbe stato altamente probabile recuperarli). Paragonando la situazione di allora a quella di ora, il doppio standard balza agli occhi: al centrodestra, tre anni fa, non si consentì di cercare responsabili, mentre lo si permette oggi a Conte, con le modalità e i tempi che vedremo tra poco. Eppure - per definizione - i cosiddetti responsabili, qualunque cosa si pensi di questa non propriamente nobile fauna parlamentare, non dovrebbero ricevere un trattamento diverso a seconda del tipo di governo (di centrodestra o di centrosinistra) a cui sono pronti a fare da stampella. Il secondo precedente ha a che fare con la crisi dell'estate 2019, quella della rottura tra Lega e 5 stelle. Giova ricordare che quasi tutti gli osservatori davano come molto probabile e perfino inevitabile (per quanto sgradito ai commentatori progressisti) lo sbocco elettorale; che lo stesso Nicola Zingaretti, oltre a escludere l'intesa con i grillini, veniva accreditato di una preferenza per le urne; e che, appena tre mesi prima, alle Europee, Pd e M5s erano risultati i grandi sconfitti. Eppure, dalla sala parto del Quirinale venne improvvisamente fuori la soluzione giallorossa. Ovviamente nessuno può affermare con certezza che Sergio Mattarella sia stato l'artefice di quel governo: ma certo si può sostenere che il Quirinale abbia seguito molto da vicino l'improvvisa conversione del Pd (verso i 5 stelle) e dei grillini (verso il Pd). Veniamo alla situazione di queste ore. Il capo dello Stato, dando le carte, ha consegnato almeno due preziosi jolly a Conte. Il primo è quello dei tempi: all'avvocato di Volturara Appula non è stato affatto ingiunto di presentarsi ad horas alle Camere, cosa che lo avrebbe messo in evidente imbarazzo, perché senza numeri al Senato. Invece, gli si è consentito di assumere l'interim del dicastero lasciato da Teresa Bellanova, e le comunicazioni di Conte alle Camere avverranno realisticamente lunedì. Dopo quelle comunicazioni, si voterà. E cosa si voterà? Delle risoluzioni, una di maggioranza e una di opposizione. Attenzione: dal punto di vista strettamente formale, a Conte basterà avere una maggioranza, cioè prevalere numericamente sull'opposizione anche senza arrivare a 161 (soglia della maggioranza assoluta). Naturalmente, arrivare o no a 161 avrà un valore politico fortissimo. In ogni caso, il punto vero è che - da ieri a lunedì - al premier è stato regalato un fazzoletto di cinque giorni preziosissimi per fare campagna acquisti, per sfilare senatori allo stesso Matteo Renzi, per cercare convertiti e convertendi sulla via di Damasco.Non solo: l'altro jolly è proprio quello di consentire la caccia ai mitici responsabili. Eppure, tramite Marzio Breda, a metà dicembre, era giunto dal Quirinale un segnale completamente diverso, con l'esclusione di un «disco verde a maggioranze raccogliticce e precarie», accreditando cioè l'idea di una valutazione non solo strettamente numerica dell'eventuale sostegno a un esecutivo. Improvvisamente, invece, da due giorni il pool dei quirinalisti fa sapere che, se Conte trovasse una maggioranza purchessia, il Quirinale non potrebbe che prenderne atto, limitandosi ad auspicare («ecco i paletti del Colle», sussurrano i quirinalisti) che ci sia una qualche omogeneità politica dei nuovi arrivati, insomma che il pacco sia impreziosito dal fiocco dell'eventuale formazione di un nuovo gruppo parlamentare. E Conte ringrazia.