2020-11-04
Ora anche la sinistra lo ammette. Servono 10 miliardi di scostamento
Stefano Fassina boccia i piani giallorossi: «Dl Ristori insufficiente, via l'Irpef alle partite Iva». Il viceministro Antonio Misiani conferma: «Pronto un secondo decreto». Ma il governo vuole cavarsela con soli 2 miliardi, tolti da altre voci.Sono 17.000 i lavoratori che non hanno mai ricevuto nulla. Mentre sono state finalmente rimborsate le aziende che avevano anticipato la cassa. Difficilmente però lo rifarannoLo speciale contiene due articoliIn modo sempre più insistente, la realtà - ospite spesso indesiderata - comincia a bussare rumorosamente alle porte dei giallorossi. I quali, dopo una lunga fase in cui si sono attestati sulla linea della denial strategy, cioè di una pervicace strategia della negazione, iniziano a rendersi conto di dover rivedere i loro piani economici. Il primo a sollecitare un cambio di direzione è stato Stefano Fassina, esponente eurocritico di Leu, che non fa parte del governo e, nella maggioranza, si è spesso ritagliato il ruolo del battitore libero. Ieri su Twitter è stato molto esplicito: «Insieme al dpcm con le ulteriori chiusure, il governo Conte chieda un ulteriore scostamento di bilancio di 10 miliardi per cancellare l'Irpef alle partite Iva boccheggianti, allargare il reddito di emergenza e finanziare il contributo affitti. È urgente. Il decreto Ristori è insufficiente». E, al di là della condivisibilità o meno dell'una o dell'altra priorità selezionata, quello di Fassina è un primo richiamo - dentro il perimetro della coalizione giallorossa - all'inadeguatezza di ciò che è stato stanziato finora. Se però ci avviciniamo alle stanze del Mef, persiste ancora la logica di una lentezza esasperante, di risorse centellinate come se tutto procedesse più o meno su binari ordinari. Si ricorderà la vaghezza con cui Roberto Gualtieri si era espresso nel weekend e poi a inizio settimana: «Il governo darà tutto il sostegno necessario nella misura in cui sarà necessario». Il che, però, parametrato all'esiguità degli indennizzi fissati dal primo decreto Ristori, non era certo granché rassicurante. Ieri è stato il turno del suo viceministro e collega di partito Antonio Misiani, a due riprese, fare un passettino in avanti. Prima, ospite di Agorà su Rai 3, ha comunicato l'intenzione di procedere a un secondo decreto Ristori: «Cercheremo di aprire un confronto anche con le forze d'opposizione, in maniera preventiva e anche nel percorso di discussione parlamentare». Poi Misiani ha ribadito il concetto ai cosiddetti Stati generali della green economy: «Il governo è intervenuto con un massiccio stanziamento di risorse e continueremo a farlo anche nell'immediato; siamo al lavoro per un nuovo decreto per sostenere quelle attività produttive che saranno colpite dalle misure del nuovo dpcm». E ancora: «Ci aspettano mesi difficili prima della disponibilità di un vaccino: dovremo continuare a progettare il futuro e dare al Paese una nuova prospettiva».Altrettanto vaga la grillina Laura Castelli, pure lei viceministro al Mef: «Anche questa volta il dpcm sarà accompagnato da un decreto legge che dispone ristori per le aziende e le filiere che subiranno limitazioni alle loro attività. Ci stiamo già lavorando e sarà pronto a breve». E poi ancora promesse dai contorni indistinti: «Dobbiamo sconfiggere questo virus senza lasciare nessuno indietro. Per questo continueremo a mettere in campo tutte le risorse necessarie per sostenere l'economia, per accompagnare la ripresa e per assicurare alle famiglie ciò di cui hanno bisogno».Ma tutte queste belle parole a quali stanziamenti corrisponderebbero? E qui arrivano le dolenti note: il primo decreto Ristori ha una dimensione di 5 miliardi (ma solo una metà è destinata alle aziende da indennizzare), mentre l'aggiunta che il governo prepara dovrebbe corrispondere appena ad altri 2 miliardi, essenzialmente destinati a interventi ulteriori relativi ai territori dove scatteranno le nuove misure restrittive. E sullo sfondo resta il tema di coprire anche le attività i cui codici Ateco sono rimasti clamorosamente esclusi dal primo intervento. Come si vede, una coperta cortissima, che tra l'altro dovrebbe coprire problemi antichi. Come conferma Arcelormittal, che dal 16 novembre prorogherà la Cig per sei settimane a 8.173 dipendenti dell'ex Ilva di Taranto. Ma in ogni caso, quando e come intenderebbe procedere il governo? Quanto ai tempi, si pensa alla giornata di giovedì per un Cdm. Più complesso il resto: realisticamente, questo secondo decreto finirebbe per convergere nel cammino parlamentare del primo decreto Ristori. Quindi è molto probabile che, dopo il varo formale del secondo decreto, ci sarà un emendamento (governativo o comunque di maggioranza) che ne riproporrà pari pari il contenuto applicandolo al primo decreto, per irrobustirlo. Altro tema da chiarire: questi (pochi) soldi in più da dove arriverebbero? Secondo le indiscrezioni raccolte dalla Verità, il governo non vorrebbe procedere a un nuovo scostamento di bilancio (tesi Fassina), ma per il momento continuerebbe nel solito gioco, e cioè riproporre somme già stanziate e non ancora utilizzate, insomma la consueta partita di giro.E qui si torna al doppio punto critico più volte evidenziato dalla Verità, sia durante la prima fase della pandemia (marzo-aprile) sia adesso nella seconda. Primo: gli stanziamenti ipotizzati in prima battuta sono assolutamente insufficienti. La scorsa primavera, Gualtieri era incredibilmente partito da una valutazione di soli 3,5 miliardi, cifra che fu poi costretto a moltiplicare per 30. Qui si rischia la stessa deriva: come se il Mef pensasse di poter gestire con pochi spiccioli un lunghissimo semestre invernale. Secondo: gli stanziamenti non vanno solo irrobustiti, ma vanno calati tutti insieme nell'economia reale, affinché siano davvero percepiti. Servirebbe però una strategia degna di questo nome: ristori veri e corrispondenti alla realtà, poi ripescare l'idea di un anno bianco fiscale (o almeno di un semestre senza tasse), e infine predisporre tagli fiscali che aiutino la ripresa, quando l'incubo sarà passato. Ma di tutto questo non c'è traccia. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ora-anche-la-sinistra-lo-ammette-servono-10-miliardi-di-scostamento-2648609503.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cig-290-000-pratiche-ferme-allinps" data-post-id="2648609503" data-published-at="1604434881" data-use-pagination="False"> Cig, 290.000 pratiche ferme all’Inps Il governo continua a puntare sulla cassa integrazione per cercare di rispondere alle esigenze economiche delle imprese. L'esecutivo ha infatti prolungato la misura, senza però fare i conti con i dati dei mesi precedenti. Stando ai numeri pubblicati da Repubblica, che si rifanno a quanto comunicato dall'Inps il 23 ottobre, sono 17.000 i lavoratori che devono ancora ricevere la cassa integrazione, a fronte di 267.645 trattamenti da pagare. Questo numero risulta essere di molto maggiore rispetto a chi sta ancora aspettando, perché un singolo lavoratore può essere oggetto anche di più «trattamenti». E l'Inps non ha epurato i dati dai doppioni. A questi si devono anche aggiungere 270.000 domande che non sono ancora state processate (che sommate ai 17.000 lavoratori in attesa fa la bellezza di 287.000). In questo caso le aziende che sono nel limbo non possono né anticipare di tasca loro, né inviare il modello Sr41, dato che non hanno ricevuto nessun feedback positivo da parte dell'Inps. I soli dati di ottobre mostrano come ci siano 117.000 domande per 740.000 lavoratori ferme. Se poi si vanno ad analizzare i dati della Cig, si scopre come aspettano di essere esaminate ancora 27.000 domande per 95.000 lavoratori. Questi dati, come sottolinea Repubblica, si riferiscono esplicitamente al Cura Italia (marzo). E se si pensa che nei decreti successivi la macchina si sia rodata velocizzando lo smaltimento delle pratiche, ci si sbaglia. I dati che hanno a oggetto il decreto Rilancio e Agosto mostrano come ci siano ancora 67.000 domande in attesa per 229.000 beneficiari. Fino a giugno 2020, stando alla relazione annuale dell'Inps, sono state 800.000 le aziende che hanno richiesto la cassa integrazione per cercare di sopravvivere. E tra queste ci sono anche le realtà che hanno anticipato il pagamento per non far rimanere i propri lavoratori senza uno stipendio. Stando agli ultimi dati pubblicati dall'Inps sono circa 3 milioni i lavoratori che hanno ottenuto una cassa integrazione anticipata dalla propria azienda a fronte di indennità mensili a conguaglio per 8 milioni di euro. Somme che, stando a quanto riportato dall'Istituto nazionale di previdenza sociale, sono state pienamente rimborsate alle aziende. «L'Inps da inizio pandemia ha erogato un totale di circa 20 milioni di prestazioni di cassa integrazione, in particolare 12 in modo diretto e 8 a conguagli, dopo anticipo delle aziende, a beneficio di 6,5 milioni di lavoratori», si legge nella nota del 20 ottobre. Da sottolineare che, vista la situazione economica, il prolungamento della cassa integrazione per i prossimi mesi e i tempi un po' troppo lunghi con cui sono arrivati gli accrediti (ricordiamo che 17.000 lavoratori non hanno ancora visto da inizio pandemia a oggi i soldi spettanti per la prima Cig) e i rimborsi alle aziende che avevano anticipato immediatamente la liquidità, la situazione è molto critica per i mesi a venire. C'è anche la possibilità concreta che molte società, che nella prima ondata sono venute incontro ai propri lavoratori, adesso non riescano più a far fronte a una nuova cassa integrazione finanziata di tasca propria. Questo significa che l'Inps dovrà iniziare, non solo a smaltire le pratiche vecchie, ma anche ad accelerare i tempi con cui vengono processate le nuove arrivate, se non si vuole incrementare il numero di lavoratori senza un reddito a fine mese.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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