2023-09-16
Open Arms, De Falco fa il comizio. I legali di Salvini: «Accuse politiche»
Show dell’ex M5s al processo contro il leader leghista, presente in aula: «Non si fanno arrostire le persone sulle navi». Ora tocca a Richard Gere. Intanto l’Ong batte la bandiera di Panama per evitare i divieti.Mentre all’orizzonte c’è la testimonianza hollywoodiana di Richard Gere, l’udienza di ieri del processo di Palermo per il caso Open Arms, nel quale Matteo Salvini è accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio per aver non aver fatto attraccare subito, nell’agosto 2019, i 147 migranti che erano sul taxi del mare, ha visto come protagonista Gregorio De Falco, l’ex senatore pentastellato e già capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno, durante il naufragio della Concordia (l’uomo che richiamò Francesco Schettino). «Scrissi al ministro della Difesa (Elisabetta Trenta, ndr) di non firmare un ulteriore decreto che si profilava all’orizzonte e che fonti di stampa davano già per diramato dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Le chiesi di non firmare un ulteriore decreto di interdizione, perché avrebbe costituito un aggiramento del provvedimento giudiziario». Trenta rispose «che anche l’allora ministro Danilo Toninelli», ha detto De Falco, «non avrebbe voluto firmare quel decreto di interdizione». Per comprendere le parole di De Falco bisogna contestualizzarle. La crisi di governo (il primo di Giuseppe Conte) era nel suo momento clou. Solo pochi giorni prima, proprio De Falco aveva invitato i suoi colleghi di partito a non votare il decreto Sicurezza: «Questa», disse, «è una norma criminogena, che porta alla morte di centinaia di persone e bambini. Chiedo ai colleghi di votare secondo coscienza, una sola volta, e non di votare secondo ordini di scuderia. Chiedo di avere la schiena dritta». Poi, il 17 agosto, quando la Open Arms era sotto embargo, se la prese proprio con il ministro dell’Interno: «Salvini consente lo sbarco dei minori, ma si nasconde inventando una competenza del presidente del Consiglio che non esiste e che il Sicurezza bis vuole solo che venga informato». E agli atti del processo c’è uno scambio di email tra Conte e Salvini che dimostra l’attività di informazione svolta dal ministro nei confronti del presidente del Consiglio. Lo stesso Conte, quando ha testimoniato, ha confermato di aver chiesto lo sbarco immediato dei soli minori soccorsi dalla Open Arms, ammettendo di non aver sollecitato, invece, lo sbarco degli altri migranti che erano a bordo della nave spagnola. «Sia il decreto Sicurezza bis di Salvini che le sue attuazioni in realtà sono un vero e proprio travisamento delle convenzioni internazionali», ha detto in udienza De Falco, aggiungendo che secondo lui era una «aberrazione». Stando a De Falco, «quando una nave ha soccorso naufraghi, il comandante ha l’obbligo di completare il soccorso e lo Stato costiero ha l’obbligo dell’accoglienza. Questo perché il soccorso marittimo si esaurisce quando le persone vengono portate in un posto sicuro, che dalla normativa deve essere il più vicino». Ed ecco le valutazioni dell’ex grillino: «Il salvataggio è la parte che riguarda il togliere le persone dallo stato di pericolo, mentre il soccorso riguarda quanto si fa prima e dopo il salvataggio. Il soccorso non si esaurisce con la fase del salvataggio. Questo dicono le norme. Quindi non aveva senso mandarla in Spagna a centinaia di miglia di distanza. E se fosse stata una nave panamense si mandava a Panama?». Coincidenza la nuova nave di Open Arms, la The back lash, ha cambiato bandiera, ammainando quella spagnola e issando proprio quella di Panama, Paese notoriamente molto parco nei controlli. L’ultima trovata delle Ong, in pratica, per sfuggire ai divieti. Tra l’equipaggio della Open Arms, però, in quel momento, stando alle informazioni arrivate al Viminale, c’erano dei sospettati di aver favorito l’ingresso di clandestini in Italia. Delle verifiche sullo stato di presunta pericolosità, quindi, erano non solo legittime, ma anche necessarie. Da quel momento, dimenticando di essere in un’aula di tribunale, De Falco ha cominciato a comiziare nel vecchio stile grillino: «Non si devono fare arrostire le persone a bordo delle navi, non si deve fare politica sulla pelle delle persone». Ed è arrivato ad affermare: «La Guardia costiera libica è costituita da delinquenti». Per De Falco non si può considerare un approdo sicuro un posto dove «i migranti sono schiavizzati e le donne violentate». Avrebbe continuato se non fosse intervenuto il difensore di Salvini, l’avvocato Giulia Bongiorno: «È gravissimo quello che sta dicendo». Al termine dell’udienza, fonti della difesa del capo del Carroccio hanno commentato con i giornalisti: «È l’ennesima udienza che dimostra che sul banco degli imputati c’è una linea politica e non una condotta. De Falco ha ricordato che Conte aveva indicato come linea politica del governo che i migranti dovevano sbarcare solo dopo la redistribuzione, dunque era condivisa e legittima l’attesa di qualche giorno». Salvini era in aula. Al suo arrivo è stato accolto da uno striscione di sostegno: «Unico a fermare i clandestini, giù le mani da Salvini». Era attaccato all’ingresso del Pagliarelli, dove ad attenderlo c’erano anche i deputati leghisti Marianna Caronia e Vincenzo Figuccia e l’ex parlamentare Francesco Scoma. «Ringrazio chi è venuto davanti al palazzo di giustizia a portare un apprezzato sostegno prima dell’udienza del processo. Tornerò in questa splendida città il prossimo 6 ottobre ad ascoltare le testimonianze di Richard Gere, che mi accusa di avere agito in maniera criminale», ha commentato Salvini all’uscita. L’attore di Hollywood, che era in vacanza in Italia, affittò un’imbarcazione e il 9 agosto raggiunse la nave spagnola. «Molte di queste persone», disse Gere, «hanno viaggiato sulle barche, sono state riportate in Libia, torturate e poi di nuovo si sono messe in cammino. Se non ci fosse stata Open Arms sarebbero morte». Ora dovrà riferire davanti ai giudici sulle condizioni in cui trovò i migranti.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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