2023-12-09
Sberla Usa all’Onu: «Hamas è ancora al comando di Gaza. Nessuna tregua»
Antonio Guterres, segretario generale dell'Onu (Getty Images)
Bocciata la richiesta di Nazioni unite e terroristi per il cessate il fuoco. Bibi Netanyahu stronca l’Anp: «Non sarà nel futuro della Striscia».Pressioni dall’alta finanza per lo stop alle donazioni alle università d’élite negli Usa, finanziate anche dal Qatar, ambigue sull’antisemitismo.Lo speciale contiene due articoli.La tensione diplomatica attorno a Israele cresce sempre di più. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan continua a sparare a zero e questa volta coinvolge anche Stati Uniti e Occidente: «Israele sta commettendo terrorismo di Stato e l’Occidente dov’è? Dove sono gli Usa? La realtà è chiara, circa 17.000 persone sono state uccise, come possiamo accettarlo?». Poi ha aggiunto: «Siamo sicuri che la Palestina emergerà vincitrice, la vittoria della Palestina significa la vittoria della pace a livello mondiale, significa ristabilire i diritti umani». L’Iran, invece, ha paragonato il governo israeliano all’Isis, spiegando che «Il regime occupante e dell’apartheid è molto più avanti nella competizione con l’Isis a livello di vari tipi di crimini», ha scritto su X il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian, commentando la foto dei prigionieri palestinesi inginocchiati e seminudi catturati dall’esercito israeliano. «Il continuo sostegno della Casa Bianca per i crimini di guerra del regime israeliano porterà a un collasso strutturale delle istituzioni internazionali», ha concluso il ministro della Repubblica islamica. Anche l’Unione Europea esprime critiche, anche se naturalmente più misurate. «Il nuovo insediamento ebraico noto come “Basso Acquedotto” a Gerusalemme est è una provocazione da parte d’Israele perché autorizzato in piena guerra; l’Ue ha sempre denunciato gli insediamenti in Cisgiordania come illegali e contrari al diritto internazionale», ha detto un alto funzionario europeo alla vigilia del Consiglio affari esteri. «In Cisgiordania - prosegue - vi sono delle violenze da parte dei coloni e l’Idf non sta facendo abbastanza per garantire la sicurezza e lo abbiamo fatto presente a Tel Aviv, vediamo quale sarà la risposta». L’Europa è pronta a muoversi anche con gli aiuti: presto darà 125 milioni di euro a organizzazioni umanitarie che operano sia a Gaza che in Cisgiordania. Intanto, il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha convocato d’urgenza il Consiglio di sicurezza invocando l’art. 99 della Carta, per votare la bozza di risoluzione presentata dagli Emirati Arabi Uniti che chiede il cessate il fuoco umanitario a Gaza. Il voto però è stato rimandato al tardo pomeriggio di ieri (23:30 ora italiana). «Serve tempo per negoziare, un veto sarebbe un fallimento del Consiglio di sicurezza», ha commentato l’ambasciatore francese all’Onu, Nicolas de Riviere. Usa e Gran Bretagna, che hanno potere di veto, si sono opposti al testo. «Gli occhi del mondo e gli occhi della storia guardano. È tempo di agire» l’appello di Guterres intervenendo al Consiglio di sicurezza. «La gente di Gaza sta guardando nell’abisso. La comunità internazionale deve fare tutto il possibile per porre fine a questa dura realtà». Infine, ancora una volta ha ribadito: «La brutalità perpetrata da Hamas non potrà mai giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese. Siamo tutti consapevoli che Israele ha iniziato la sua operazione militare in risposta ai brutali attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre», ha ricordato allo stesso tempo, condannando senza riserve questi attacchi e dicendosi «sconvolto dalle notizie di violenza sessuale». Ferma e convinta la posizione degli Stati Uniti: «Hamas continua a rappresentare una minaccia per Israele, per questo motivo, mentre gli Stati Uniti sostengono con forza una pace duratura in cui sia gli israeliani che i palestinesi possano vivere in pace e sicurezza, non appoggiamo le richieste di un cessate il fuoco immediato», ha detto il vice ambasciatore Usa presso le Nazioni unite, Robert Wood.L’ambasciatore israeliano, Gilad Erdan, nel suo intervento ha risposto direttamente a Guterres che nel riunire il consiglio ha invocato per la prima volta l’Articolo 99 della Carta Onu. «La guerra in Ucraina non è una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale?». «I milioni di sfollati siriani e i bambini i cui cadaveri sono stati trovati con la schiuma alla bocca a Douma non simboleggiano una minaccia alla stabilità regionale? Guardare migliaia di bambini yemeniti morire in guerra mentre decine di migliaia muoiono di fame non è abbastanza degno per l’invocazione dell’Articolo 99? » ha aggiunto. «Il vero percorso per garantire la pace è solo attraverso il sostegno alla missione di Israele e non chiedendo un cessate il fuoco» la chiosa. Uno stop alla guerra è stato invece chiesto al Consiglio sicurezza Onu da Hamas, per porre fine «alla guerra brutale» e di salvare la Striscia di Gaza «prima che sia troppo tardi». Nelle ultime settimane, discutendo sul post guerra a Gaza, il leader dell’Anp Mohammad Shtayyeh si era detto disponibile a governare Gaza insieme ad Hamas come partner minore, soluzione a cui si è opposto con forza Bibi Netanyahu chiarendo anche che «Hamas non ci sarà più. Il fatto stesso che l’Autorità palestinese abbia fatto una proposta simile non fa che rafforzare la mia convinzione: l’Autorità palestinese non è la soluzione». Sul campo si combatte ferocemente. L’ala militare di Hamas, la brigata Ezzedin al-Qssam, ha affermato di aver sventato un tentativo israeliano di liberare uno degli ostaggi il quale - ha aggiunto - «è rimasto ucciso» nell’operazione. Israele però non ha confermato né smentito la notizia. Il ministero della Salute di Hamas conta più di 17.000 vittime dall’inizio del conflitto, numeri impossibili da verificare. Dal canto loro, le forze di difesa israeliane, per ridurre al minimo i morti, hanno annunciato che non attaccheranno 150 siti nella Striscia di Gaza che saranno considerati rifugi per i civili. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/onu-israele-tregua-2666506858.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mezza-wall-street-taglia-i-fondi-agli-atenei-anti-israele" data-post-id="2666506858" data-published-at="1702120110" data-use-pagination="False"> Mezza Wall Street taglia i fondi agli atenei anti Israele Anche Wall Street non ci sta più: dopo le prese di posizione marcatamente anti Israele nei campus delle più prestigiose università americane, è infatti iniziato il fuggi fuggi dei finanziatori più influenti, incoraggiato dai colossi della finanza. La tensione, alta fin da subito, in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso, ha continuato a crescere in assenza di prese di posizioni forti e inequivocabili degli atenei contro l’incitamento all’odio antisemita. Sotto accusa sono le più prestigiose ed esclusive università americane, come Harvard, Yale, Penn, Columbia, nelle quali viene formata la futura classe dirigente statunitense. Molti ex allievi ebrei di Harvard hanno denunciato il clima di antisemitismo, sostenendo che le autorità universitarie «hanno fatto un pessimo lavoro nel proteggere gli studenti ebrei mentre le tensioni nei campus aumentavano». Il miliardario Marc Rowan, uno dei co-fondatori del private equity Apollo, ha invece invitato tutti i finanziato della Penn a donare un solo dollaro fino alle dimissioni della rettrice. E la protesta si sta espandendo a macchia d’olio. Rowan, infatti, secondo le indiscrezioni, è entrato in contatto con «mezza Wall Street» per discutere lo stop alle donazioni agli atenei in questione. Tra le dozzine di ricchi finanziatori in agitazione figurano anche Bill Ackman, ceo dell’hedge fund Pershing Square e Leon Cooperman, laureato alla Columbia University e amministratore delegato di Omega Advisors, che già a fine ottobre dichiarò: «Questi ragazzi nei college hanno merda nel cervello. Sospenderò le mie donazioni». Il noto investitore Steve Eisman ha invece riferito di aver chiesto alla Penn di rimuovere il nome della sua famiglia da una borsa di studio. La rivolta dei pezzi da novanta della finanza statunitense, spesso membri di spicco della comunità ebraica, avrebbe effetti potenzialmente catastrofici per i campus: basti pensare che solo l’anno scorso i finanziamenti dei filantropi, indispensabili per gli atenei privati, hanno raggiunto i 59,5 miliardi di dollari. Somme da capogiro, che negli ultimi anni arrivano, sebbene in misura minore, anche da investitori controversi, come il Qatar. L’emirato, che ospita gran parte della leadership di Hamas, è il maggior finanziatore straniero delle università d’élite americane, con 4,7 miliardi di dollari erogati negli ultimi 20 anni. Così, paradossalmente, gli atenei diventati templi woke (in cui è vietato discostarsi dalla narrazione imposta su razzismo, colonialismo e gender) sono divenuti anche cavallo di Troia del soft power qatariota, in una spirale di pressioni anti occidentali che pervade gli ambienti liberal progressisti Usa. Ma se prima gli atenei delle élite potevano contare sul flusso costante di denaro proveniente dalla lobby ebraica, la virata filo palestinese, quando non palesemente filo Hamas dei campus, e l’ambiguità dei rettori si apprestano a provocare un terremoto nei centri del sapere americani. Se gli enormi buchi nei bilanci possono essere infatti riempiti da entità straniere, a essere intaccato per sempre potrebbe essere il prestigio, che i miliardi degli emirati non possono comprare.