2024-09-02
L’onda verde affonda il lavoro. Boom di cassa nel settore auto
Mentre il tasso di penetrazione dei veicoli elettrici in Europa è sotto lo zero, la filiera che produce pezzi (anche per i big tedeschi) si è dovuta rifugiare nella Cig: + 28% in 7 mesi. La via d’uscita? Cancellare l’obiettivo 2035.Accecata dal miraggio verde l’Europa è finita in un vicolo senza uscita, ingranare la retromarcia ha costi insostenibili per qualsiasi Stato. Potrebbe darsi che per parcheggiare l’auto elettrica ci tocchi di pagare uno sproposito di tasse. «Il sistema non tiene», sostiene Gianclaudio Torlizzi, consulente strategico del ministro della difesa Guido Crosetto e uno dei massimi esperti con la sua T-Commodity dei mercati delle materie prime e dei sistemi complessi. «Si rischia di distruggere un intero comparto industriale e di obbligare gli Stati a spese fuori controllo: siamo nella singolare situazione che oltre a sussidiare l’acquisto delle auto elettriche con gli incentivi ora le finanze pubbliche debbano sostentare le aziende che hanno perso lavoro e valore a causa proprio della scarsa domanda di auto a batteria con l’aggravante di perdere il gettito delle accise sui combustibili fossili. Siamo in mezzo al guado: andare avanti costa moltissimo, tornare indietro è insostenibile». La scelta della trazione elettrica con la morte annunciata al 2035 del motore endotermico ha messo in gravissima crisi la prima industria del continente: quella dell’auto. I dati che si stanno accumulando sono catastrofici. Pur di farsi rieleggere però Ursula von der Leyen, che ha accattonato i voti dei Verdi, ha proclamato: «Il green deal non si tocca, le scadenze saranno tutte rispettate». Il primo potentissimo allarme arriva dalla sua Germania: le case automobilistiche tedesche hanno piani d’investimento per 900 miliardi sull’elettrico, ma stanno tutte tornando indietro. Le auto a pila non si vendono e quelle che si vendono sono cinesi, ma tutto il mercato dell’auto è in panne. Con l’aggravante che si è chiesto di sviluppare i motori a gasolio Euro7 che potrebbero avere al massimo dieci anni di vita. Nessuno ci mette un euro su questa ricerca e a cascata tutta la filiera dell’automotive, dall’elettronica ai tubi di scarico, si ferma. Le macchine alla spina - nei primi sette mesi di quest’anno - in Europa sono ferme alla quota d’immatricolazioni del 13,8% e in Italia al 3,9%; per gli altri modelli la produzione è in caduta libera. Nei primi sei mesi del 2024 in Italia si è contratta del 32%, in Francia del 7,6%, in Germania del 6%. Con questi numeri - come certifica uno studio di AlixPartners per Anfia (l’associazione dei componentisti) e Ucimu (l’associazione delle macchine utensili) ampiamente ripreso da Il Sole 24 Ore - uno dei settori trainanti della nostra industria, quello della componentistica per auto che vale l’8% del Pil e raggruppa in 2.200 aziende 168.000 occupati, è destinato da qui al 2030 a dimezzarsi. Intanto, nei primi sette mesi dell’anno le ore di cassa integrazione sono aumentate del 28% (mentre nello stesso arco di tempo quelle dell’intero comparto auto crescevano del 18%). Il flop dei veicoli a pila e le incertezze sui motori endotermici porteranno da qui a sei anni a una contrazione di fatturato di 7 miliardi nel settore, a meno 40.000 posti di lavoro, con un’azienda su due che chiuderà. Torna profetico lo studio di tre anni fa della Deutsche Bank quando il capo economista Eric Heymann affermò: «Il green deal provocherà una caduta del benessere con una notevole emorragia di posti di lavoro, l’industria dell’auto in Germania perderà 840.000 occupati; se si vuole attuare il green deal bisogna imporre un’eco-dittatura». A rafforzare questa previsione ci sono i dati del comparto della componentistica che in Italia è fortemente integrato con l’industria tedesca, che oggi è in profondissima crisi: da una parte non vende macchine elettriche, dall’altra la Cina, per ritorsione ai dazi che l’Ue ha messo sulle auto a pila, sovrattassa i diesel europei. L’anno scorso la Cina ha comprato auto sopra i 2,5 litri di cilindrata per 1,2 miliardi di dollari e i tedeschi hanno esportato più di 80.000 supercar. Il polo italiano della componentistica è nato attorno alla Fiat ma Carlos Tavares, ad di Stellantis che ha perso consistenti quote di mercato e di fatto fa il concessionario della cinese Leapmotor per le macchine a pila, oggi dice: «Dobbiamo abbattere i costi del 40%: chiudete in Italia e andate in Marocco». C’è una via d’uscita? Sottolinea Gianclaudio Torlizzi: «Bisogna subito revocare la scadenza del 2035, poi impostare un piano industriale. Consapevoli che i costi infrastrutturali dell’elettrico sono pesantissimi. C’è un grafico che non fa dormire la notte i signori dell’auto: la penetrazione delle macchine a pila in un anno (lo pubblichiamo qui sotto, ndr). È un fallimento madornale. Ci pensino bene i governi prima di finanziare quello che appare in maniera sempre più nitida un pozzo senza fondo. Potrebbe essere colmato solo se la Bce intervenisse emettendo debito da lei garantito che non grava sui singoli Stati. Non c’è una sola economia in Ue capace di reggere il fallimento dell’auto elettrica e se ne esce solo smontando il green deal. Ma la Bce non lo può fare perché non è la banca centrale dello Stato europeo. L’auto a pila fa luce sulla debolezza strutturale dell’Europa e rivela anche perché non si può avere una difesa comune: non ci sono le risorse senza una vera unità economica. Non credo che ci sia un governo disposto a dire ai cittadini; chiudo gli ospedali per fabbricare auto elettriche. L’unica speranza è che arrivino i cinesi a produrre in Europa, anche se loro si fanno tutto in casa. Dunque per la componentistica le prospettive sono nere». A rafforzare l’opinione di Torlizzi c’è uno studio fatto dall’Università del Nevada che spiega: in Europa si sono fatti 100 regolamenti e zero incentivi, in America 5 protocolli e 740 miliardi di dollari d’investimenti. Così gli Usa continuano ad andare in macchina e l’Europa resta a piedi.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)