2023-05-06
L’Oms dichiara la fine emergenza e Schillaci archivia l’era Speranza
Il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus (Ansa)
L’Organizzazione mondiale della sanità ritiene conclusa l’epidemia: «Ha causato almeno 20 milioni di morti nel mondo». Il ministro dirama la circolare con i nuovi criteri di monitoraggio: addio alla giungla di 21 indicatori.La parola fine è arrivata. L’Oms si è decisa a chiudere il capitolo emergenza sanitaria mondiale del Covid, archiviando tre anni che hanno devastato popolazioni per malattia, morti, misure e restrizioni applicate. Fosse dipeso dal direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, la decisione avrebbe tardato ancora ma il Comitato tecnico dell’organizzazione «ha raccomandato» di girare pagina e così è stato. «Questo è un momento da celebrare ma è anche un momento per riflettere. Deve restare l’idea della potenziale minaccia di altre pandemie», ha tenuto subito a far sapere Ghebreyesus, aggiungendo che «il virus è qui per rimanere. Sta ancora uccidendo e sta ancora cambiando». Come non bastasse, ha promesso: «Non esiterò a proclamare una nuova emergenza, se la situazione dovesse cambiare». La sua narrazione non cambia, teme che le persone si abituino a una sacrosanta normalità mentre «resta il rischio di nuove varianti emergenti che possono causare nuove ondate di casi e morti». Senza essere tormentati da previsioni catastrofiche, ma certo pretendendo che gli Stati sappiano organizzare dei piani pandemici fondati sulla scienza, possiamo dire che adesso si è finalmente concluso uno stato di emergenza che si era protratto oltre il dovuto. Doveva chiudersi nell’ottobre scorso, poi la decisione fu rimandata perché si guardava alla Cina temendo un’esplosione di contagi il tutto il mondo e l’arrivo di nuove, preoccupanti varianti. Così non è stato, i ripetuti allarmi rientrarono ma altro tempo è dovuto passare perché venisse calato il sipario su una rappresentazione del virus non più reale. Il Covid è diventato endemico, resterà come altre malattie e come tale va affrontato senza più allarmi ingiustificati in una situazione epidemiologica completamente cambiata. Da più di tre anni, eravamo in stato di emergenza. Da quel 30 gennaio 2020, in cui l’epidemia diventò un gravissimo problema di sanità pubblica, definito pandemia a distanza di poco più di un mese, l’11 marzo. Ieri sono tornate a circolare le cifre del disastro Covid, almeno 20 milioni di morti nel mondo e 765 milioni di persone infettate. «Ora abbiamo strumenti e tecnologie per prepararci a pandemie meglio e riconoscerle prima, ma globalmente una mancanza di coordinamento potrebbe inficiare tali strumenti. Sono state perse vite che non dovevano essere perse, promettiamo ai nostri figli e nipoti che non faremo mai più gli stessi errori», ha dichiarato Ghebreyesus, che vuole che nessun Paese «abbassi la guardia» e segua scrupolosamente il nuovo piano di preparazione strategica contro la pandemia per il 2023-2025, aggiornato questa settimana.Intanto, in Italia, si è chiusa un’altra fase. Quella legata all’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, e ai suoi 21 indicatori del monitoraggio del rischio sanitario Covid stabiliti con decreto il 30 aprile 2020. Non sono più attuali, in questa fase tre dell’epidemia (che forse nemmeno più dovrebbe essere definita in questo modo). Era necessario passare a un «sistema facilmente flessibile ed adattabile rispetto alla circolazione virale», si legge nel decreto ministeriale del 6 marzo a firma Orazio Schillaci, pubblicato due giorni fa sulla Gazzetta Ufficiale. Un monitoraggio semplificato, «maggiormente sostenibile e senza la previsione di livelli di soglia né di valutazione del rischio, che garantisca comunque un’attenta osservazione dell’andamento epidemico allo scopo di identificare tempestivamente i cambiamenti nelle caratteristiche della diffusione dei casi di malattia e nell’impatto sui servizi assistenziali, fornendo un’adeguata e sollecita informazione a tutti gli organi competenti».Stop alla marea di indicatori pretesi da Speranza, che obbligarono le Regioni a valutare infinite variabili per poi sottostare ad algoritmi finali che decidevano la matrice del rischio. Ovvero la permanenza o meno in una fascia di colore, di sopravvivenza o di nuovi lockdown, decisa sempre prima del fine settimana con enormi difficoltà organizzative per i governatori e per i cittadini che si vedevano imporre misure più restrittive. Le Regioni chiesero a Speranza di rivedere parametri giudicati «inadeguati», e con enorme impatto sulle economie locali, riducendoli a pochi indicatori del rischio Covid, ma l’ex ministro rimase fermo nell’imposizione.Ieri, è stata diramata la nuova circolare che ha spiegato quali sono i nuovi parametri. Gli aspetti monitorati riguarderanno la diffusione (incidenza complessiva per fascia di età e sesso; trasmissibilità; proporzione di reinfezioni tra i casi diagnosticati e notificati; tasso di esecuzione del test diagnostico) e l’impatto sulla salute della popolazione e sui servizi sanitari (tasso di occupazione letti in area medica, in terapia intensiva, proiezione di tassi di occupazione nei successivi 30 giorni). L’analisi delle informazioni, per il monitoraggio settimanale, rimane affidata alla Cabina di regia costituita il 29 maggio 2020 e «la cui operatività andrà regolata con successivi atti normativi».
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