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2021-12-14
Se Omicron perfora i vaccini in commercio fissarsi con il pass è un insulto alla logica
Getty Images
Ricapitoliamo. Nelle intenzioni dei suoi infaticabili e petulanti propagandisti, il green pass (prima in versione «base» e poi in formato «super») avrebbe dovuto conseguire tre obiettivi. Primo: doveva fermare la diffusione dei contagi. E invece i contagi hanno ricominciato a galoppare. Secondo: doveva (Mario Draghi dixit) offrire «la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose». E invece ha contribuito a creare proprio tra i dotati di carta verde un senso di falsa e infondata sicurezza, come se il rischio della contagiosità non ci fosse più con il magico lasciapassare in mano o sullo smartphone. Terzo: doveva favorire (ricordate la teoria della cosiddetta «spinta gentile»?) un poderoso aumento delle vaccinazioni. E invece l’analisi di Mario Menichella e Paolo Becchi, pubblicata sul sito di Nicola Porro e rilanciata dalla Verità, e basata su un esame comparativo della situazione di diversi paesi europei (con e senza green pass), ha mostrato una tendenza contraria: e cioè un effetto di disincentivo e perfino di rigetto davanti a un’imposizione di stato, una sorta di obbligo stabilito surrettiziamente.
Non solo: più passano i giorni e più si esaminano i dati sull’andamento dei contagi, più si comprende - anche logicamente - che il green pass fa acqua da tutte le parti. Come strumento di sanità pubblica (intrinsecamente non lo è, com’è chiaro: ma così ci è stato di fatto venduto e presentato) si è rivelato inutile, e anzi perfino controproducente. E la tendenza non potrà che essere confermata dall’inevitabile diffusione di altre varianti. È già così con la variante Delta, e non c’è motivo di credere che le cose cambieranno con Omicron: che al momento non risulta dominante in Italia, ma, sulla base di ciò che accade in altri paesi, potrebbe esserlo presto. E se fosse confermata, con questa o altre varianti, una significativa «perforabilità» dei vaccinati (in termini di contagio: cioè di possibilità di essere infettati e quindi poi anche di infettare gli altri), la conclusione dell’inutilità della carta verde sarebbe ulteriormente corroborata.
Attenzione, è proprio il guru dei mainstream media non solo italiani, Anthony Fauci, a rivelare un dato scomodissimo per gli ayatollah nostrani del green pass, quando spiega che il booster serve a risollevare il numero degli anticorpi, contrastando così la perdita di efficacia delle precedenti inoculazioni causata da Omicron. Occhio a un dato che, se confermato, ma vista la fonte perché dubitarne, sarebbe clamoroso al riguardo: il 75% dei casi Usa della variante riguarderebbero proprio persone vaccinate, a testimonianza del fatto che le due dosi di per sé non bastino.
E allora perché questa insistenza da parte delle autorità politiche e sanitarie italiane sul green pass? Per un verso, per una classica attitudine del potere a non smentirsi, a non fare autocritica. Ma, per altro verso, può esserci anche qualcosa di più, che ha a che fare con il dibattito in corso da settimane sulla proroga o meno dello stato d’emergenza. Non è ancora chiaro - infatti - che strada prenderà il governo. Ma può anche accadere che l’esecutivo cerchi qualche tortuosa via giuridica per tenersi consistenti poteri emergenziali anche senza la proroga di un formale stato d’emergenza (anche se ieri sera l’esecutivo sembrava orientato a una proroga formale ed espressa fino a fine marzo).
A pensarci bene, assistiamo da mesi a un surreale climax. Nel penultimo decreto green pass era stata sdoganata una stravagante nozione di urgenza differita nel tempo (come si sa, invece, un decreto-legge dovrebbe intervenire per fronteggiare un’emergenza presente). Più recentemente, con le norme relative al super green pass, l’urgenza non era solo differita cronologicamente, ma addirittura ipotetica ed eventuale. In zona bianca, come ciascuno comprende, l’emergenza non esiste: eppure dal 6 dicembre scorso, per effetto delle ultime norme, si preclude l’accesso a numerosi eventi e luoghi pure a cittadini sani e dotati di tampone negativo. Ecco, se questa è la tendenza, c’è da temere che non ci sia due senza tre. Dopo l’urgenza differita e l’urgenza ipotetica, perché stupirsi dei poteri d’emergenza de facto, perfino senza una formale emergenza de iure?
Questa piccola divagazione serviva per tornare proprio al famigerato green pass, che a questo punto si ripresenta nella sua reale dimensione: il proverbiale cavallo di Troia per «trasportare» l’emergenza nel futuro, e anche nel tempo teoricamente normale e ordinario. E non a caso, pure il vecchio green pass (che sembrava destinato a «morire» a fine2021) pare implicitamente e pacificamente confermato oltre quella data e destinato a convivere con il nuovo lasciapassare (quello in versione «super»).
Già il 26 novembre scorso, su queste colonne, anticipavamo un possibile esito della partita: e cioè che tutto venisse - per l’appunto - buttato in politica, usando un organo (la cabina di regia) totalmente informale, tecnicamente fuori dalla Costituzione, e dunque tale da rappresentare un «perfetto» paravento per dare copertura politica a soluzioni ingiustificabili giuridicamente. Ciò che non avevamo previsto si è aggiunto - ad aggravare le cose - nelle ultime ore: la naturalezza, la nonchalance, con cui molti attori della politica e dei media spiegano che il protrarsi o no dell’emergenza, in una forma o nell’altra, potrebbe essere funzionale come carta da giocare per la corsa al Quirinale dell’uno o dell’altro protagonista. Difficile dare torto al direttore di Atlantico Federico Punzi: «Non provano nemmeno più a nasconderlo: il dibattito sullo stato d’emergenza non segue logiche sanitarie ma squisitamente politiche». Per il green pass, è già così.
La nuova variante arriva in Cina. Prima vittima in Uk
Mentre in Italia i primi casi di variante Omicron stanno emergendo in questi giorni, in Gran Bretagna la situazione appare più complicata e ieri c’è stata la prima vittima per la nuova variante. Sul fronte nazionale il primo caso in Toscana è stato individuato a Siena, su una turista proveniente proprio dalla Gran Bretagna, che era in vacanza. La donna, vaccinata ed asintomatica, è stata ricoverata all’ospedale Santa Maria alle Scotte per un’altra patologia ed è stata riconosciuta come positiva. Sempre ieri sono stati scoperti due casi di variante Omicron a Venezia. In questo caso si tratta di due coniugi di Mira, nel Veneziano, che erano rientrati da una vacanza in Sudafrica. Sottoposti a quarantena, come previsto nel caso di rientro dal Sudafrica, marito e moglie non hanno avuto contatti con altre persone, sono in isolamento e non dimostrano alcun sintomo.
Più complicata, invece, la situazione del Regno Unito, dove ieri si è registrata la prima vittima dopo il contagio da variante sudafricana. Lo ha annunciato il primo ministro Boris Johnson, che da mercoledì ha previsto nuove restrizioni, mentre il ministro della Sanità britannico, Sajid Javid, ha segnalato come la Health security agency parli di un 20% per cento dei contagi causato da Omicron. Secondo le statistiche, però, a Londra la percentuale della variante sale al 44 per cento dei nuovi casi segnalati. Tanto che Javid, si è detto preoccupato per l’incremento rapido dei contagi, che sembrano raddoppiare nell’arco di due o tre giorni e che potrebbero «aumentare drammaticamente» nelle prossime settimane, con ricoveri e decessi. Il sistema sanitario nazionale Nhs si sta preparando per l’emergenza, mentre ormai è corsa alla terza dose, offerta anche ai quarantenni, per cui ci sono state ieri così tante prenotazioni che il sito del governo è andato in tilt.
Secondo i calcoli degli specialisti inglesi, se si proseguisse con questo ritmo, la variante Omicron finirebbe per superare in tempi rapidi la variante Delta e per diventare dominante. É sufficiente guardare a numeri per rendersene conto. Nelle ultime 24 ore nel Regno Unito sono stati registrati 1.576 nuovi casi di Covid da variante Omicron e in totale si è arrivati a 4.713 persone che hanno manifestato di aver contratto questa nuova forma.
Sul fronte internazionale, comunque, non è solo la Gran Bretagna a segnalare qualche preoccupazione. In Norvegia, ad esempio, le misure per frenare la diffusione della variante Omicron sono state inasprite dal governo proprio ieri pomeriggio. La situazione appare grave, con una diffusione dei contagi elevata, che va affrontata per tempo per evitare problemi, come ha spiegato il premier Jonas Gahr Store all’agenzia di stampa Ntb. Anche perché in Norvegia l’aumento non riguarda solo i contagi ma anche i ricoveri e questo è l’aspetto che preoccupa maggiormente. Anche in Cina, poi, nella città di Tianjin è stato scoperto il primo caso di Omicron su un paziente in arrivo dall’Occidente.
Nel frattempo, però, dal Sudafrica arrivano segnali che invitano a non farsi prendere dal panico. Secondo la dottoressa Angelique Coetzee, responsabile dell'Associazione medica sudafricana la variante Omicron risulta «leggera». Dopo aver seguito per un mese i nuovi casi e i loro sviluppi, l’epidemiologa conferma ciò che aveva anticipato un paio di settimane fa e cioè che l’Occidente sta reagendo in modo eccessivo all’arrivo di Omicron, che contagia molto ma ha effetti lievi e non preoccupanti. A suo parere si tratterebbe, infatti, di una variante abbastanza «mite» del Coronavirus, che presenta tassi inferiori in termini di ospedalizzazione.
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Anthony Fauci: «Negli Usa il 75% di contagiati dalla sudafricana erano inoculati». Così, mantenere il certificato è una presa in giro.Nel Regno Unito il ceppo dilaga. Ma da Pretoria continua a filtrare ottimismo sulla sua pericolosità: «In Europa esagerate».Lo speciale contiene due articoli.Ricapitoliamo. Nelle intenzioni dei suoi infaticabili e petulanti propagandisti, il green pass (prima in versione «base» e poi in formato «super») avrebbe dovuto conseguire tre obiettivi. Primo: doveva fermare la diffusione dei contagi. E invece i contagi hanno ricominciato a galoppare. Secondo: doveva (Mario Draghi dixit) offrire «la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose». E invece ha contribuito a creare proprio tra i dotati di carta verde un senso di falsa e infondata sicurezza, come se il rischio della contagiosità non ci fosse più con il magico lasciapassare in mano o sullo smartphone. Terzo: doveva favorire (ricordate la teoria della cosiddetta «spinta gentile»?) un poderoso aumento delle vaccinazioni. E invece l’analisi di Mario Menichella e Paolo Becchi, pubblicata sul sito di Nicola Porro e rilanciata dalla Verità, e basata su un esame comparativo della situazione di diversi paesi europei (con e senza green pass), ha mostrato una tendenza contraria: e cioè un effetto di disincentivo e perfino di rigetto davanti a un’imposizione di stato, una sorta di obbligo stabilito surrettiziamente.Non solo: più passano i giorni e più si esaminano i dati sull’andamento dei contagi, più si comprende - anche logicamente - che il green pass fa acqua da tutte le parti. Come strumento di sanità pubblica (intrinsecamente non lo è, com’è chiaro: ma così ci è stato di fatto venduto e presentato) si è rivelato inutile, e anzi perfino controproducente. E la tendenza non potrà che essere confermata dall’inevitabile diffusione di altre varianti. È già così con la variante Delta, e non c’è motivo di credere che le cose cambieranno con Omicron: che al momento non risulta dominante in Italia, ma, sulla base di ciò che accade in altri paesi, potrebbe esserlo presto. E se fosse confermata, con questa o altre varianti, una significativa «perforabilità» dei vaccinati (in termini di contagio: cioè di possibilità di essere infettati e quindi poi anche di infettare gli altri), la conclusione dell’inutilità della carta verde sarebbe ulteriormente corroborata. Attenzione, è proprio il guru dei mainstream media non solo italiani, Anthony Fauci, a rivelare un dato scomodissimo per gli ayatollah nostrani del green pass, quando spiega che il booster serve a risollevare il numero degli anticorpi, contrastando così la perdita di efficacia delle precedenti inoculazioni causata da Omicron. Occhio a un dato che, se confermato, ma vista la fonte perché dubitarne, sarebbe clamoroso al riguardo: il 75% dei casi Usa della variante riguarderebbero proprio persone vaccinate, a testimonianza del fatto che le due dosi di per sé non bastino. E allora perché questa insistenza da parte delle autorità politiche e sanitarie italiane sul green pass? Per un verso, per una classica attitudine del potere a non smentirsi, a non fare autocritica. Ma, per altro verso, può esserci anche qualcosa di più, che ha a che fare con il dibattito in corso da settimane sulla proroga o meno dello stato d’emergenza. Non è ancora chiaro - infatti - che strada prenderà il governo. Ma può anche accadere che l’esecutivo cerchi qualche tortuosa via giuridica per tenersi consistenti poteri emergenziali anche senza la proroga di un formale stato d’emergenza (anche se ieri sera l’esecutivo sembrava orientato a una proroga formale ed espressa fino a fine marzo). A pensarci bene, assistiamo da mesi a un surreale climax. Nel penultimo decreto green pass era stata sdoganata una stravagante nozione di urgenza differita nel tempo (come si sa, invece, un decreto-legge dovrebbe intervenire per fronteggiare un’emergenza presente). Più recentemente, con le norme relative al super green pass, l’urgenza non era solo differita cronologicamente, ma addirittura ipotetica ed eventuale. In zona bianca, come ciascuno comprende, l’emergenza non esiste: eppure dal 6 dicembre scorso, per effetto delle ultime norme, si preclude l’accesso a numerosi eventi e luoghi pure a cittadini sani e dotati di tampone negativo. Ecco, se questa è la tendenza, c’è da temere che non ci sia due senza tre. Dopo l’urgenza differita e l’urgenza ipotetica, perché stupirsi dei poteri d’emergenza de facto, perfino senza una formale emergenza de iure?Questa piccola divagazione serviva per tornare proprio al famigerato green pass, che a questo punto si ripresenta nella sua reale dimensione: il proverbiale cavallo di Troia per «trasportare» l’emergenza nel futuro, e anche nel tempo teoricamente normale e ordinario. E non a caso, pure il vecchio green pass (che sembrava destinato a «morire» a fine2021) pare implicitamente e pacificamente confermato oltre quella data e destinato a convivere con il nuovo lasciapassare (quello in versione «super»). Già il 26 novembre scorso, su queste colonne, anticipavamo un possibile esito della partita: e cioè che tutto venisse - per l’appunto - buttato in politica, usando un organo (la cabina di regia) totalmente informale, tecnicamente fuori dalla Costituzione, e dunque tale da rappresentare un «perfetto» paravento per dare copertura politica a soluzioni ingiustificabili giuridicamente. Ciò che non avevamo previsto si è aggiunto - ad aggravare le cose - nelle ultime ore: la naturalezza, la nonchalance, con cui molti attori della politica e dei media spiegano che il protrarsi o no dell’emergenza, in una forma o nell’altra, potrebbe essere funzionale come carta da giocare per la corsa al Quirinale dell’uno o dell’altro protagonista. Difficile dare torto al direttore di Atlantico Federico Punzi: «Non provano nemmeno più a nasconderlo: il dibattito sullo stato d’emergenza non segue logiche sanitarie ma squisitamente politiche». 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Sempre ieri sono stati scoperti due casi di variante Omicron a Venezia. In questo caso si tratta di due coniugi di Mira, nel Veneziano, che erano rientrati da una vacanza in Sudafrica. Sottoposti a quarantena, come previsto nel caso di rientro dal Sudafrica, marito e moglie non hanno avuto contatti con altre persone, sono in isolamento e non dimostrano alcun sintomo. Più complicata, invece, la situazione del Regno Unito, dove ieri si è registrata la prima vittima dopo il contagio da variante sudafricana. Lo ha annunciato il primo ministro Boris Johnson, che da mercoledì ha previsto nuove restrizioni, mentre il ministro della Sanità britannico, Sajid Javid, ha segnalato come la Health security agency parli di un 20% per cento dei contagi causato da Omicron. Secondo le statistiche, però, a Londra la percentuale della variante sale al 44 per cento dei nuovi casi segnalati. Tanto che Javid, si è detto preoccupato per l’incremento rapido dei contagi, che sembrano raddoppiare nell’arco di due o tre giorni e che potrebbero «aumentare drammaticamente» nelle prossime settimane, con ricoveri e decessi. Il sistema sanitario nazionale Nhs si sta preparando per l’emergenza, mentre ormai è corsa alla terza dose, offerta anche ai quarantenni, per cui ci sono state ieri così tante prenotazioni che il sito del governo è andato in tilt. Secondo i calcoli degli specialisti inglesi, se si proseguisse con questo ritmo, la variante Omicron finirebbe per superare in tempi rapidi la variante Delta e per diventare dominante. É sufficiente guardare a numeri per rendersene conto. Nelle ultime 24 ore nel Regno Unito sono stati registrati 1.576 nuovi casi di Covid da variante Omicron e in totale si è arrivati a 4.713 persone che hanno manifestato di aver contratto questa nuova forma. Sul fronte internazionale, comunque, non è solo la Gran Bretagna a segnalare qualche preoccupazione. In Norvegia, ad esempio, le misure per frenare la diffusione della variante Omicron sono state inasprite dal governo proprio ieri pomeriggio. La situazione appare grave, con una diffusione dei contagi elevata, che va affrontata per tempo per evitare problemi, come ha spiegato il premier Jonas Gahr Store all’agenzia di stampa Ntb. Anche perché in Norvegia l’aumento non riguarda solo i contagi ma anche i ricoveri e questo è l’aspetto che preoccupa maggiormente. Anche in Cina, poi, nella città di Tianjin è stato scoperto il primo caso di Omicron su un paziente in arrivo dall’Occidente. Nel frattempo, però, dal Sudafrica arrivano segnali che invitano a non farsi prendere dal panico. Secondo la dottoressa Angelique Coetzee, responsabile dell'Associazione medica sudafricana la variante Omicron risulta «leggera». Dopo aver seguito per un mese i nuovi casi e i loro sviluppi, l’epidemiologa conferma ciò che aveva anticipato un paio di settimane fa e cioè che l’Occidente sta reagendo in modo eccessivo all’arrivo di Omicron, che contagia molto ma ha effetti lievi e non preoccupanti. A suo parere si tratterebbe, infatti, di una variante abbastanza «mite» del Coronavirus, che presenta tassi inferiori in termini di ospedalizzazione.
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.
L’intesa riguarda l’acquisto di un’area di 15.000 metri quadrati dal Consorzio ZAI e prevede un investimento complessivo di circa 20 milioni di euro. Si tratta di un progetto greenfield, cioè realizzato ex novo, che darà vita a un centro di manutenzione pensato fin dall’origine per rispondere alle esigenze della logistica ferroviaria europea e alla crescita del traffico merci su rotaia.
Il nuovo impianto sarà concepito secondo un modello open access, dunque accessibile a locomotive di diversi costruttori. L’hub ospiterà cinque binari dedicati alla manutenzione leggera e un binario riservato al tornio per la riprofilatura delle ruote, consentendo di effettuare test e interventi su locomotive multisistema e in corrente continua, compatibili con i principali sistemi di segnalamento europei. L’obiettivo è garantire elevati livelli di affidabilità e disponibilità operativa dei mezzi attraverso ispezioni programmate e interventi rapidi lungo l’intero ciclo di vita dei veicoli.
La scelta di Verona si lega alla centralità del corridoio Verona–Brennero, infrastruttura destinata a un deciso aumento della capacità ferroviaria con l’apertura della Galleria di Base del Brennero, prevista per il 2032. Il nuovo hub si inserirà inoltre in una rete già consolidata, integrandosi con il Rail Service Center di Siemens Mobility a Novara, operativo dal 2015 sul corridoio TEN-T Reno-Alpi e oggi punto di riferimento per la manutenzione di oltre 120 locomotive di operatori europei.
«Questo investimento rappresenta un ulteriore passo nel nostro impegno a favore di un trasporto merci sempre più sostenibile», ha dichiarato Pierfrancesco De Rossi, Ceo di Siemens Mobility in Italia. Secondo De Rossi, il nuovo hub di Verona è «una scelta strategica che conferma la fiducia di Siemens Mobility nel Paese e nel suo ruolo centrale nello sviluppo del settore», con l’obiettivo di rafforzare la posizione dell’Italia nella rete logistica europea e sostenere il passaggio verso modalità di trasporto meno impattanti.
Il progetto nasce dall’integrazione delle competenze delle due aziende. Siemens Mobility porterà a Verona l’esperienza maturata nella manutenzione delle locomotive dedicate al trasporto merci, mentre RAILPOOL contribuirà con il know-how sviluppato a livello europeo, facendo leva su sei officine di proprietà e su una rete di supporto che può contare su oltre 4.500 parti di ricambio disponibili a magazzino.
«Con il nuovo centro di manutenzione di Verona ampliamo il nostro potenziale manutentivo in una delle aree logistiche più strategiche d’Europa», ha spiegato Alberto Lacchini, General Manager di RAILPOOL Italia. Si tratta, ha aggiunto, di un investimento che riflette «un impegno di lungo periodo nel fornire soluzioni di leasing affidabili e complete», in grado di rispondere a esigenze operative in continua evoluzione.
La collaborazione tra Siemens Mobility e RAILPOOL si inserisce in un percorso avviato nel 2024, quando le due società hanno sottoscritto un accordo quadro per la fornitura a RAILPOOL di circa 250 locomotive, incluse le varianti multisistema Vectron oggi operative in 16 Paesi lungo i principali corridoi ferroviari europei.
Sul valore dell’investimento è intervenuta anche Barbara Cimmino, vice presidente di Confindustria per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti e presidente dell’Advisory Board Investitori Esteri. «L’investimento di Siemens Mobility in Veneto è un segnale significativo per la competitività italiana», ha affermato, sottolineando come il progetto confermi la centralità del Paese nella logistica ferroviaria europea e nei processi di transizione sostenibile. Un’iniziativa che, secondo Cimmino, evidenzia il contributo degli investitori internazionali nel rafforzare le filiere strategiche e la capacità dell’Italia di offrire ecosistemi solidi e competenze tecniche avanzate.
Per Siemens Mobility, la manutenzione delle locomotive resta una delle attività centrali anche in Italia, all’interno di una rete globale che comprende oltre 100 sedi in più di 30 Paesi e circa 7.000 specialisti. L’apertura del nuovo hub di Verona consolida questo presidio e rafforza il ruolo del Paese come snodo industriale e logistico in una fase di forte crescita del trasporto merci su ferro.
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