2021-10-19
Patrizia Reggiani e il vitalizio ottenuto grazie all’aiuto della rivale in amore
Maurizio Gucci e Patrizia reggiani (Ansa)
L'ex moglie di Maurizio Gucci fece fronte giudiziario comune con l'ultima amante dell'uomo per incassare 25 milioni dalle figlie.È da oggi in libreria L'ultimo dei Gucci (Bur Rizzoli, 320 pagine, 16 euro): il libro, scritto nel 1997 e giunto alla terza edizione - aggiornata fino alle ultimissime vicende del caso - racconta l'incredibile saga della famiglia fiorentina della moda e rivela particolari inediti sulla morte di Maurizio, ucciso a Milano il 27 marzo 1995, così come sulle controverse indagini che seguirono quel delitto. Scritto da Angelo Pergolini e Maurizio Tortorella, all'epoca inviati speciali del settimanale Panorama, il saggio esce proprio mentre sta per arrivare nelle sale The House of Gucci, il nuovo film di Ridley Scott con Lady Gaga nel ruolo di Patrizia Reggiani, l'ex moglie di Gucci condannata come mandante dell' omicidio: il libro americano che ha ispirato il film, a sua volta, in buona parte s'è basato proprio su L'ultimo dei Gucci. Per gentile concessione di Rizzoli, ecco parte del capitolo finale, dove si racconta lo scontro legale sull'eredità di Maurizio avvenuto nel 2020 tra Patrizia Reggiani e le due figlie, Alessandra e Allegra.Difese dall'avvocato milanese Fabio Franchini, lo stesso civilista cui Maurizio Gucci 20 anni prima aveva affidato la delicata pratica del proprio divorzio, Alessandra e Allegra erano più che certe in cuor loro che nessun tribunale avrebbe mai deciso di concedere alla madre una parte dell'eredità del padre, visto che la Cassazione aveva certificato fosse stato ucciso su suo mandato. Ma la giustizia italiana non finisce mai di sorprendere. E così, alla fine di un processo relativamente veloce, nel novembre 2020 la terza sezione civile della Cassazione ha condannato Alessandra e Allegra a pagare alla madre circa 25 milioni di arretrati, e a versarle un milione l'anno per il resto della sua vita. Quel che ancor più stupisce, però, è che davanti alla Suprema corte, a un certo punto, le pretese economiche di Patrizia Reggiani nei confronti delle figlie si siano saldate, in un paradossale patto di ferro, con quelle di Paola Franchi. Patrizia si era alleata proprio con la sua grande rivale in amore, la donna che nel 1994 aveva preso tra le mani il cuore di Maurizio tanto da convincerlo alla convivenza e all'idea di risposarsi. Nel 2001, non appena la giustizia aveva deciso in via definitiva che Patrizia fosse la mandante dell'omicidio di Maurizio, nessuno s'era sorpreso alla notizia che Paola Franchi avesse chiesto al tribunale civile di Milano un risarcimento per la morte del compagno. Nel 2014, tra danni morali e materiali, quel risarcimento era stato quantificato in 692.000 euro. Alle richieste di Paola Franchi, però, Patrizia s'era sempre opposta dal carcere con puntiglio ed efficacia, facendosi forte della sua condizione di nullatenente. Per questo, l'ultima compagna di Maurizio aveva deciso di spostare la causa per il risarcimento contro le due legittime eredi di Patrizia, le figlie. La signora Franchi aveva motivato la richiesta sostenendo, in sintonia con Patrizia, che Alessandra e Allegra avessero ereditato dal padre non soltanto il patrimonio, ma anche l'impegno a versare il vitalizio da 1 milione all'anno alla madre. Inizialmente, il tribunale di Milano aveva respinto le pretese di Paola Franchi, obiettando che l'obbligazione di Maurizio, «in quanto intimamente personale», si era «estinta con la sua morte». E la Corte d'appello aveva confermato che «anche nel caso della donazione di una rendita vitalizia, questa si era estinta per la morte dell'obbligato». Nel 2015, a sorpresa, la Cassazione aveva ribaltato la sentenza. I supremi giudici avevano notato che nei tre atti del divorzio, la Convenzione del 1992, il Promemoria del 1993 e il Protocollo del 1994, una clausola veniva sempre confermata e concedeva a Patrizia Reggiani «l'uso vita natural durante» dell'attico milanese affacciato su piazza san Babila: la proprietà dell'appartamento era allora intestata a una società svizzera poi ereditata dalle due figlie, all'epoca minorenni. Secondo la Cassazione, questo elemento indicava come l'accordo di divorzio configurasse un obbligo legale più ampio e a più ampia gittata: un obbligo cui Maurizio si era legato anche dopo la sua morte. Per i giudici, proprio quell'impegno «sopravvissuto» ora coinvolgeva le due figlie. Così ogni sentenza favorevole ad Alessandra e Allegra era stata cassata e il giudizio era stato rispedito alla Corte d'appello di Milano. Che nel gennaio 2017 aveva modificato l'orientamento e dato ragione a Paola Franchi, stabilendo che le due eredi di Maurizio dovessero versare il vitalizio alla madre perché a sua volta potesse provvedere al risarcimento della rivale. «Il comportamento penalmente sanzionato di Patrizia Reggiani», si leggeva nelle motivazioni, «non ha avuto rilievo sugli accordi con Maurizio Gucci, ed è irrilevante». La frase successiva, per Alessandra e Allegra, era stata peggio di uno schiaffo: «Ogni altra valutazione attiene all'ambito morale e non strettamente giuridico». […] Ritenendo quella sentenza un'ingiustizia, nel 2017 le due figlie di Maurizio hanno fatto nuovamente ricorso in Cassazione. E qui, con una sorpresa che probabilmente le ha tramortite, si sono trovate di fronte alla riunificazione delle cause civili e delle pretese legali avanzate nei loro confronti dalla madre e da Paola Franchi. Le due donne avevano fatto fronte comune per incassare parte dell'eredità di Maurizio Gucci: l'uomo che 22 anni prima era morto per quattro colpi di pistola sparati, in definitiva, anche a causa della loro rivalità. L'ultima battaglia legale è stata durissima. Per difendersi dalle pretese di Patrizia e Paola, Alessandra e Allegra hanno impiegato un arsenale di motivazioni. Per prima cosa, hanno ricordato ai supremi giudici che, lungo tutto il processo per la morte del padre, Patrizia si era sempre difesa dall'accusa di averne ordinato l'omicidio sostenendo che non ne avrebbe ottenuto alcun vantaggio, e anzi in quel caso avrebbe perso l'assegno vitalizio: in quel modo, secondo le figlie, Patrizia aveva riconosciuto che il milione annuale garantitole dall'ex marito era un semplice assegno di divorzio, quindi un valore non trasmissibile per via ereditaria. La Cassazione ha respinto la tesi, sostenendo fosse «equivoca» e non avesse «carattere decisivo».È stato inutile anche che l'avvocato Franchini sottolineasse che la legge italiana, all'articolo 463 del Codice civile, stabilisce che chi ha «volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta» diventa automaticamente «indegno» di esserne l'erede. Inutile, infine, che Alessandra e Allegra obiettassero che dopo la condanna e nei lunghi anni trascorsi in carcere, Patrizia non aveva mai preteso d'incassare un euro del vitalizio, dimostrando con quel comportamento di essere convinta di non averne diritto. La Cassazione ha respinto anche questa argomentazione, sostenendo riguardasse «profili morali e non giuridici» […] e il 13 novembre 2020 ha dato ragione in via definitiva a Patrizia e a Paola, condannando Allegra e Alessandra a pagare alla madre tutti gli arretrati del vitalizio paterno, compresi gli interessi. A spanne, si è trattato di 25 milioni, più l'impegno a versarle 1 milione l'anno per tutto il resto della vita. Con una piccola parte di quel patrimonio […] a sua volta Patrizia Reggiani avrebbe poi dovuto risarcire Paola Franchi, versando all'ultima compagna di Maurizio i 692.000 euro stabiliti dalla Cassazione nel 2014, con gli interessi maturati nel frattempo. […] Il risultato, però, è un paradosso giuridico che stabilisce un precedente inquietante. Perché la condanna costringe le eredi di un uomo assassinato a versare una cospicua fetta di eredità all'ex moglie che lo ha fatto uccidere. È una decisione che, nei fatti, contraddice le norme che proibiscono di ereditare per motivi d'indegnità. Senza scomodare più alte leggi morali, visto che nella Bibbia, e più precisamente nel Libro di Giobbe, sta scritto che «le colpe dei padri non devono ricadere sui figli». Ci vuole proprio la pazienza di Giobbe, oltre che la contorta logica della giustizia italiana, per accettare che le colpe di una madre possano ricadere sulle figlie.
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