2022-03-30
Oltre 45.000 tra bar e ristoranti hanno dovuto chiudere in due anni
Drammatico rapporto della Federazione pubblici esercizi. Persi 57 miliardi di euro e 194.000 posti di lavoro. La colpa non è del contagio in sé, ma di come è stata gestita la pandemia con limitazioni senza ristori adeguati.La sensazione è che sia stata la gestione della pandemia e non il Covid-19 in sé a causare la chiusura nel 2020 e nel 2021 in Italia di 45.144 fra bar e ristoranti. Si tratta di una cifra monstre, solo parzialmente compensata dall’iscrizione nei due anni della pandemia al registro delle imprese di 18.132 società che operano nel settore della somministrazione al pubblico di cibo e bevande. Pallottoliere alla mano, il saldo è negativo per 27.012 società, aziende che il settore ha perso per strada, con un pesante impatto sui livelli occupazionali. I dati arrivano dalla Fipe, la federazione italiana dei pubblici esercizi che ogni anno stila un rapporto dettagliato sul settore della ristorazione. Bar e ristoranti hanno sofferto in egual misura. Nel 2020 il mondo della ristorazione ha registrato 11.820 chiusure con sole 5.313 nuove aperture, con un saldo negativo di 6.507 unità. Per i bar, nell’anno della pandemia, le cessazioni sono state 10.247, con solo 3.778 nuove aperture (saldo negativo per 6.469 realtà). Nel 2021, la musica non è cambiata. In Italia hanno abbassato la serranda 12.382 ristoranti, mentre ne sono stati aperti 5.325 (7.057 non sono stati rimpiazzati). Nel caso dei bar le chiusure sono state 10.269 a fronte di 3.502 nuove aperture e un saldo negativo di 6.767 imprese mai riaperte. Dal bollettino di guerra della Fipe emerge che a colpire più duramente è stata la gestione della pandemia più che il virus. È la stessa federazione a renderlo noto nel rapporto. «La dinamica imprenditoriale dei pubblici esercizi nel 2021 è stata caratterizzata dagli effetti delle restrizioni imposte per contenere la diffusione della pandemia», si legge. «Il forzato rallentamento delle attività ha determinato un forte calo nella nascita di nuove imprese e un aumento del numero di chiusure. La riduzione delle nuove iscrizioni va tenuta in grande considerazione perché è principalmente nelle nuove imprese che si realizza la prospettiva di innovazione del settore e di sviluppo dell’occupazione», fanno notare dalla Fipe.D’altronde, non è un segreto che il mondo dei bar e, in particolar modo, quello dei ristoranti siano stati molto più duramente colpiti di altri settori. Mentre altri esercizi (anche non necessari) avevano le serrande alzate, per mesi i ristoratori hanno chiesto di poter riaprire, consapevoli di poter offrire un distanziamento sufficiente grazie ai tavoli a cui far sedere gli avventori. Ma, le richieste sono state vane. Così, fanno notare dalla Fipe, nel biennio 2020-2021 la spesa delle famiglie nella ristorazione è diminuita di 57 miliardi di euro, con una perdita di 194.000 posti di lavoro (243.000 in totale, di cui 49.000 recuperati) nel settore rispetto al 2019. Il momento più buio è stato nel 2020, quando grazie al doppio lockdown di inizio e fine anno, si è registrata una contrazione dei consumi pari a 33 miliardi di euro.Del resto, come sarebbe stato possibile tenere aperto, viste le chiusure forzate e nemmeno un euro di sconto sulle tasse da pagare e sugli affitti? Non stupisce che, secondo il rapporto, nel 2021 oltre il 71% delle imprese della ristorazione dichiara di aver registrato una contrazione del fatturato rispetto al 2020. Tra queste ben il 32% ha lamentato una diminuzione che va oltre il 20%. E ancora. Basti pensare a quando, grazie agli orari imposti dal lockdown, ristoranti e pub potevano stare aperti solo di giorno essendo obbligati a dire addio alla maggior parte dei ricavi: quelli che di norma si realizzano a cena o dopo cena. Come spiega la Fipe, non sorprende che le complicazioni legate all’obbligo di green pass e il calo della domanda a seguito delle restrizioni siano stati tra i fattori che nel 2021 hanno maggiormente condizionato la dinamica del fatturato dei pubblici esercizi. Senza trascurare quel 30,7% di aziende che ha segnalato i condizionamenti psicologici dovuti alla recrudescenza della pandemia, fattore particolarmente importante proprio nella seconda parte dell’anno, quando molte altre attività hanno comunque potuto continuare a lavorare e diversi clienti erano ancora timorosi di bere un drink o andare a cena fuori.Con queste premesse, continua il rapporto, risulta ovvio che i volumi di attività raggiunti nel 2019 siano ancora ben lontani. Quasi l’86% delle imprese fa sapere che anche nel 2021 i ricavi sono rimasti sotto i livelli pre-pandemici. Tra queste, il 75% denuncia un calo superiore al 10%. In media tra il 2021 e il 2019 è stata registrata una riduzione del fatturato del 13%. Ciliegina sulla torta, i ristori. Dopo due anni di odissea, per ristoratori e baristi i rimborsi sono stati a dir poco ridicoli. Nel 2020 un quarto delle aziende del settore non ha ricevuto un euro a causa di meccanismi errati che hanno limitato la distribuzione delle risorse. Inoltre, chi ha ricevuto qualcosa ritiene l’importo deludente e di certo non adeguato a compensare mesi e mesi di chiusura forzata senza la benché minima comunicazione per i lavoratori, fattore che ha causato solo maggiore incertezza.
Marta Cartabia (Imagoeconomica)
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