Eniko Gyori (Ansa)
L’eurodeputata ungherese: «Già l’accordo commerciale con Kiev danneggia la nostra agricoltura. Col Mercosur la uccideremmo».
Eniko Gyori, ambasciatore in Italia per l’Ungheria. Per quanto tempo?
«Dal 1999 fino all’inizio del 2003»
Il che spiega il suo perfetto italiano. Da quanto tempo è a Bruxelles come europarlamentare di Fidesz? Il partito guidato dal primo ministro Viktor Orbán?
«Terza legislatura. La prima l’ho iniziata nel 2009. Ma non l’ho conclusa. Ho infatti ricoperto la carica di ministro di Stato per gli Affari europei. Rieletta nel 2019 e quindi nel 2024».
L’Ungheria ha definito grave la scelta del Consiglio europeo di procedere con il finanziamento all’Ucraina.
«Siamo preoccupati. L’Europa si sente in guerra. Lo ha ribadito Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione europea a settembre. E lo ha confermato il segretario generale della Nato, pochi giorni fa. Non è così. L’Europa non è in guerra. Addolorati che la nostra vicina Ucraina lo sia perché aggredita dalla Russia. Ma sono passati già tre anni e mezzo e non siamo arrivati a nessun risultato. Questo ci preoccupa. E facciamo un Consiglio europeo per finanziare il proseguimento della guerra? Dovremmo concentrare tutte le nostre energie ed anche i mezzi finanziari per arrivare alla pace. Come ci arriviamo?».
Appunto…
«Gli americani ci provano. Non ci si arriva in 24 ore come promesso da Trump. Giusto. Ma dovremmo supportare gli Stati Uniti. Pure Macron ha ammesso che dovremmo tornare a dialogare con Putin. Come si può arrivare alla pace senza dialogare con la controparte? All’ordine del giorno del Consiglio europeo c’era l’ipotesi di confiscare gli asset russi in Europa. Avessimo scelto questa strada ci saremmo trovati in guerra contro la Russia. Questo pericolo - anche grazie all’Ungheria - è stato evitato. Che la Russia sia l’aggressore non c’è alcun dubbio. Così come sul fatto che l’Ucraina non potrà mai vincere questa guerra. Se questi sono i presupposti dobbiamo cercare un’altra strada».
Sta dicendo che l’Unione europea cerca di sabotare il processo di pace portato avanti da Trump?
«Fatico a vedere la situazione in un altro modo. Non sono convinta che l’Europa abbia fatto del suo meglio per convincere le parti in guerra a negoziare. Finanziare l’Ucraina senza condizioni invece che convincerli a negoziare non è una buona strategia. Tutti vediamo gli scandali di corruzione. La toilette d’oro ha avuto un impatto qua».
Pure da noi… mi creda.
«In Ungheria abbiamo accolto più di un milione di profughi ucraini. Ma dopo quasi quattro anni dobbiamo ammettere che la strategia europea non ha funzionato. Il primo ministro belga si è opposto nell’interesse del suo Paese alla confisca dei beni russi a Bruxelles. Lei sa che il patrimonio privato europeo in Russia vale molto di più di quello russo in Europa?».
La confisca dei beni russi era un’illusione. Molti governi vi si cullavano. Ora che molti Paesi europei hanno scoperto la realtà, cioè si sono indebitati per far proseguire la guerra, ecco che Emmanuel Macron scopre che dobbiamo dialogare con Vladimit Putin. Un bagno di realismo?
«Purtroppo, non sono ottimista. Adesso dicono che l'Unione europea ha raggiunto un successo. Di nuovo debito comune. Come con il recovery fund. Ecco perché l’Ungheria ha dato il suo placet. A patto che non partecipasse finanziariamente».
Come la Cechia e la Slovacchia. Sa che vi invidio?
«Non ne ha motivo, mi creda. Giorgia Meloni è molto brava. E questo mi fa essere ottimista. Tre Paesi di Visegrad sono uniti. Manca la Polonia. Ma la comprendo e la rispetto. Hanno una sensibilità diversa rispetto a noi. Come i nostri partner baltici. Un primo ministro deve però comportarsi in maniera razionale. E pensare all’interesse del suo Paese. Come appunto ha fatto il primo ministro belga e anche la premier italiana».
Qual è la posizione dell’Ungheria sull’accordo di libero scambio fra Unione europea e Mercosur?
«Noi pensiamo che adesso non sia il momento. E sa perché? Perché abbiamo approvato la liberalizzazione del commercio con l’Ucraina attraverso il Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (accordo che prevede un’area di libero scambio simile che è stato concluso anche con Moldova e Georgia, ndr). Da lì arrivano prodotti agricoli come il grano. Non creda che questo non sia un problema per gli agricoltori europei. Ma sul punto se ti azzardi a dire qualcosa ti dicono che siamo cuccioli di Putin. Poi abbiamo il Green deal. Anche questo danneggia i nostri agricoltori. Se ci mettiamo anche il Mercosur finiamo per uccidere definitivamente la nostra agricoltura. L’Ucraina domani sarà una potenza agricola le cui terre sono in mano agli americani. Per questo diciamo che non è il momento di firmare l’accordo con il Mercosur. Non lo sosteniamo».
È una buona idea una volta ottenuta la pace - come speriamo - ammettere l’Ucraina dentro l’Unione europea?
«No, noi pensiamo che sicuramente non sia una buona idea. Quello che stupisce, ma davvero, è che sia stata iniziata questa procedura dell’allargamento mentre abbiamo i Paesi balcanici che aspettano da più di vent’anni. Questi Paesi hanno iniziato un loro percorso. Hanno fatto delle riforme importanti e non lo riconosciamo. Sempre ci inventiamo nuovi ostacoli per loro. Mentre la maggior parte degli Stati membri adesso vogliono aprire la porta all’Ucraina. Ma scusate, di cosa stiamo parlando? Conosciamo il territorio? Quanto è grande l’Ucraina? Dove sono i confini? Lo sappiamo? Sappiamo quanta gente ci abita? E la corruzione? Prima di tutto dobbiamo fare la pace. Dobbiamo aiutarli ad avere una partnership strategica con l’Unione europea. Questo va bene».
Con un governo filorusso in Ucraina domani, questa scelts potrebbe essere una porta di ingresso per la Russia.
«Sa quello che mi ha detto un importante politico della Macedonia qualche anno fa? “Ah, vedo che funziona così. Ti invade la Russia e allora puoi entrare nell’Unione europea. Forse diciamo ai russi che vengano a invaderci anche noi e così possiamo entrare più velocemente”. Le sembra logico?».
Da ex ambasciatore che effetto le ha fatto il documento National Security Strategy pubblicato dal presidente americano Donald Trump sul sito della Casa Bianca? Gli europeisti l’hanno preso molto male!
«Molto male. Giustamente perché il tono non era cortese. Questi americani dicono però la verità. Quello che nessuno ha detto prima perché infuriava una battaglia ideologica e culturale. Penso alla cultura woke. Una volta con una delegazione del Parlamento europeo sono stata alla Casa Bianca. C’era ancora Biden e praticamente ho toccato con mano. Dividevano il mondo tra i cattivi e i buoni. Invece dobbiamo rispettare gli altri Paesi. Anche se non sono necessariamente democrazie perfette. E vedevamo affiorare l’antisemitismo nelle università americane e adesso anche in Europa. E inoltre l’Europa che ha perso competitività. Io mi occupo di temi economici. Ci spaventa come l’Europa abbia scelto la strada sbagliata con il Green deal. Cresce il divario di competitività con Asia e con l’America. Ci spiegano perché siamo in pieno declino economico. Può piacere o non piacere quel documento. Ma è la pura verità. Per non parlare del tema immigrazione».
L’Ungheria viene multata per un milione di euro al giorno dall’Unione europea?
«Esatto. Al margine del Consiglio europeo si è tenuta una riunione di 8-9 primi ministri per parlare di immigrazione. Il tema è che molti immigrati sono già entrati. Noi da 2015 non li lasciamo entrare. E non vogliamo quote obbligatorie. Non vogliamo queste soluzioni».
Vi preoccupano i sondaggi alle prossime elezioni? Fidesz è data in calo di consensi.
«La risposta è semplice. Si devono vincere le elezioni e non i sondaggi. Ma non possiamo starcene seduti e tranquilli. Abbiamo un nuovo avversario (Peter Magyar, leader di Tisza, iscritto nel Partito popolare europeo, ndr). Animato da sentimenti di rivalsa e vendetta anche per questioni sue personali e familiari. Il Partito popolare europeo lo ha scelto. Ed ha tutto il sostegno europeo. È una strada sbagliata questa dell’interferenza dell’Unione europea, perché va contro i principi sui quali si è fondata l’Ue stessa. Io sono comunque ottimista. Bisogna lavorare molto e triplicare lo sforzo in rete. Il nostro avversario è forte ma gli ungheresi capiranno che lui non ha un progetto politico. Ma solo rivalsa e vendetta. Non è così che si conquista il voto degli ungheresi».
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L’energia solare, grazie alla sua natura rinnovabile e alla crescente efficienza dei moduli, è una soluzione flessibile e scalabile per accelerare la transizione verso l’energia pulita.
L’energia fotovoltaica rappresenta una delle principali leve della transizione energetica, grazie alla sua capacità di trasformare la luce del sole in elettricità attraverso moduli sempre più efficienti e affidabili. Nonostante la variabilità naturale legata al ciclo giorno-notte, alle stagioni e alle condizioni meteorologiche, il fotovoltaico è una fonte relativamente ubiqua e totalmente rinnovabile. Sfruttando in maniera intelligente le coperture già esistenti di edifici residenziali, industriali e amministrativi, ex-siti produttivi e terreni non coltivabili, questa tecnologia può contribuire in modo significativo alla decarbonizzazione del settore elettrico.
La riduzione dei costi di produzione dei moduli fotovoltaici negli ultimi anni è stata spettacolare, rendendo la tecnologia sempre più competitiva rispetto alle fonti fossili. Allo stesso tempo, i progressi tecnologici hanno consentito di raggiungere elevate efficienze di conversione della luce solare in elettricità, aumentando la resa energetica per metro quadrato e rendendo possibile la realizzazione di impianti su piccola e grande scala con flessibilità e semplicità d’installazione.
In Italia, Il Gruppo Enel, guidato da Flavio Cattaneo, ha attivato impianti significativi che dimostrano il valore strategico del fotovoltaico. Un esempio emblematico è l’impianto solare di Trino, il più grande del Nord Italia, che con la sua capacità di generazione copre il fabbisogno energetico di circa 48.000 famiglie con energia verde e contribuisce in maniera rilevante alla transizione energetica nazionale. Inoltre il parco di Trino è integrato a un sistema di accumulo di batterie agli ioni di litio che che garantirà l’adeguatezza del sistema elettrico e fornirà alla rete quei servizi necessari a garantire la sicurezza dell'intero sistema elettrico. Al contempo, iniziative come l’utilizzo di tracker intelligenti sviluppati con il Politecnico di Milano permettono di massimizzare la produzione anche nelle giornate meno soleggiate, ottimizzando la gestione degli impianti e garantendo maggiore affidabilità della rete.

Il fotovoltaico non si limita agli impianti a terra. Di particolare interesse sono le innovazioni come il solare galleggiante, ad esempio quello installato nella centrale idroelettrica di Venaus di Enel: situato sulla vasca di scarico della centrale, l’impianto fotovoltaico produce energia senza ulteriore consumo di suolo, riducendo l’evaporazione dell’acqua favorita dall’ombreggiamento dei pannelli, con un impatto paesaggistico minimo.
Ci sono poi soluzioni innovative che integrano l’energia solare e lo storage. Un esempio è il l’impianto presente nell’aeroporto di Fiumicino affiancato a un sistema di accumulo con batterie, nato grazie alla partnership tra Enel e ADR.
Questi progetti dimostrano come il fotovoltaico sia una tecnologia che può essere adattata a contesti diversi, combinando produzione energetica e sostenibilità. Allo stesso tempo, progetti sperimentali come l’uso dell’energia solare nello spazio aprono la strada a nuove frontiere per l’elettricità pulita, potenzialmente destinata ad alimentare grandi sistemi terrestri e satellitari.
Grazie alla scalabilità e flessibilità del fotovoltaico, città e territori possono integrare energia pulita in maniera graduale e sostenibile, riducendo le emissioni e contribuendo agli obiettivi di decarbonizzazione nazionali ed europei. Questa capacità di adattarsi a diversi contesti rende il fotovoltaico una risorsa chiave nella costruzione di un sistema elettrico moderno, sicuro e affidabile, in grado di affiancare altre fonti rinnovabili come geotermia, idroelettrico ed eolico.
Il fotovoltaico rende tangibile il potenziale del sole, integrando energia pulita in edifici, spazi industriali e terreni non coltivabili. Grazie a impianti flessibili e tecnologicamente avanzati, questa fonte contribuisce a ridurre le emissioni, sostenere la rete elettrica e accompagnare l’Italia verso un futuro energetico più sostenibile e resiliente.
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Un veicolo guidato da Canson Capital Partners, con la partecipazione di SIMEST, acquisisce il 50% di Casa del Gelato. L’operazione punta a finanziare il nuovo piano industriale e l’espansione internazionale del gruppo emiliano.
Casa del Gelato S.p.A., azienda emiliana attiva nella produzione industriale di gelato, cambia passo sul fronte della crescita. Si è chiusa infatti un’operazione straordinaria che vede l’ingresso nel capitale di un veicolo di investimento organizzato da Canson Capital Partners, al quale partecipa anche SIMEST, la società del Gruppo Cdp specializzata nel sostegno all’internazionalizzazione delle imprese italiane.
Il veicolo, capitalizzato anche grazie alle risorse della Sezione Crescita del Fondo 394/81 gestite da SIMEST in convenzione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha acquisito il 50% della società. Un passaggio che segna una tappa chiave nel percorso di sviluppo di Casa del Gelato e che punta a rafforzarne la struttura industriale e la presenza sui mercati esteri.
L’ingresso dei nuovi soci è funzionale all’attuazione del Piano Industriale 2026–2030, che prevede investimenti mirati sull’aumento della capacità produttiva, sulla realizzazione di un nuovo impianto tecnologicamente avanzato e sull’espansione internazionale. Secondo quanto indicato dalla società, l’operazione permetterà di quadruplicare l’attuale capacità produttiva e di incrementare ulteriormente la quota di fatturato generata dall’export, consolidando al tempo stesso la posizione dell’azienda sia in Italia sia all’estero.
Canson Capital Partners e SIMEST affiancheranno il management nel percorso di crescita, mettendo a disposizione competenze finanziarie, manageriali e organizzative. Il piano prevede anche la valorizzazione delle strutture esistenti, un nuovo stabilimento improntato a sostenibilità e innovazione e la valutazione di eventuali acquisizioni nel settore.
«Il completamento di questa operazione rappresenta una tappa fondamentale per il futuro della nostra società», ha commentato Corrado Giovanardi, shareholder e ceo di Casa del Gelato, sottolineando la convergenza di visione con i nuovi partner su crescita responsabile e attenzione a persone, comunità e ambiente.
Soddisfazione anche da parte di Canson Capital Partners. I fondatori Matteo Canonaco e Mengfan (Homen) Hou hanno evidenziato la fiducia nel potenziale dell’azienda, citando qualità dei prodotti, capacità di innovazione e attenzione ai clienti come elementi chiave per affrontare la nuova fase di espansione.
Per SIMEST, l’operazione si inserisce nella strategia del nuovo Fondo Crescita. «Siamo orgogliosi di accompagnare Casa del Gelato in questa fase di sviluppo», ha dichiarato Vera Veri, direttore Equity e Investimenti Partecipativi, spiegando che l’aumento di capitale consentirà la realizzazione di un impianto produttivo all’avanguardia e un rafforzamento significativo dell’export. Un investimento, ha aggiunto, nel cuore del Made in Italy e in un settore simbolo dell’eccellenza italiana.
Sul piano degli advisor, Canson Capital Partners è stata assistita da Forvis Mazars per gli aspetti legali, fiscali, finanziari e HR, mentre Casa del Gelato e i soci fondatori si sono avvalsi di un team di consulenti guidato da Stefano Lugli. SIMEST è stata seguita dal team di Strategic Finance e dalla Direzione Legale interna, con il supporto dello studio Legance – Avvocati Associati.
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Emmanuel Macron e Vladimir Putin (Ansa)
Il presidente francese approfitta dello stallo nelle trattative a Miami, apre al Cremlino («parlarci è utile») e incassa il gradimento della controparte. Una mossa che avrebbe dovuto fare per prima la Meloni.
Finalmente qualcuno in Europa ha capito che l’Unione europea e l’asse dei volenterosi si stavano lentamente condannando alla irrilevanza. Perché al netto della retorica, i fatti ci dicono una cosa chiara da tempo: pensare di isolare Putin e rinunciare al dialogo era una «non mossa politica». E infatti il primo leader europeo che ha cercato apertamente il Cremlino è stato il presidente francese Macron, approfittando dello stallo delle trattative a Miami che puntavano su un trilaterale che portasse al tavolo America, Russia e Ucraina. Il presidente francese avrebbe fatto la prima mossa: del resto lui era stato l’ultimo a incontrarlo. Secondo le indiscrezioni Macron aveva già messo in moto la macchina diplomatica alla vigilia del suo viaggio in Cina, cercando lì una sponda; preferì però non forzare alla luce delle tensioni che il bilaterale stava portando a galla.
Stavolta è andato sul canale diretto. E infatti nella notte tra sabato e domenica il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, dichiarava all’agenzia Ria Novosti: «Il presidente russo Vladimir Putin è pronto al dialogo con il presidente francese Emmanuel Macron».
Ieri le intenzioni dell’Eliseo diventavano chiare a tutti attraverso le parole attribuite a fonti vicine a Macron dopo la dichiarazione di Peskov: «Ora che la prospettiva di un cessate il fuoco e di negoziati di pace sta diventando più chiara, è di nuovo utile parlare con Putin». Poco prima la presidenza francese aveva fatto sapere che le condizioni del colloquio tra Macron e il presidente della Federazione russa «saranno decise nei prossimi giorni». Di più: sempre secondo fonti vicine al presidente francese l’Eliseo ritiene «gradito» che Putin sia disposto a parlare con Macron.
Proviamo a capire lo scenario che c’è dietro.
1 Putin non è isolato. Si tratta della scommessa persa dall’Unione europea e dall’asse dei volenterosi, del quale Macron era colonna portante con Merz e con Starmer. Una posizione tenuta a galla nonostante i fatti andassero verso tutt’altra direzione: soprattutto in quest’ultimo anno di guerra la Russia ha rafforzato i suoi legami politici ed economici con la Cina (anche a costo di rimetterci rispetto al prezzo del gas e del petrolio venduto a Pechino), con l’India di Modi (il cui approvvigionamento di petrolio è stato riconfermato nonostante i dazi Usa; l’Italia compra dall’India il petrolio russo raffinato), con gli altri Paesi Brics, con la Turchia, con molti Paesi africani, con l’Iran e persino con la Siria. E, last but not least, il rapporto con l’America di Trump, con tanto di invito in Alaska, cerimonia di gran rispetto e un corollario di trattative commerciali e finanziarie affidate a tre uomini d’affari: a Witkoff (miliardario immobiliare e magnate delle criptovalute) e al genero di Trump Kushner per gli Usa, mentre per il fronte russo a Kirill Dmitriev, capo del fondo sovrano russo, ex McKinsey e Goldman Sachs. Insomma, solo l’Europa si ostinava a non voler parlare con Putin, preferendo la tara morale al cinismo della ragion politica ed economica.
2 Le grandi partite energetiche. La minaccia di ritorsioni da parte di Putin rispetto alle grandi aziende anche europee presenti in Russia ha fatto emergere un dietro le quinte di cui si sa ma su cui si preferisce inserire la sordina: l’Europa continua a fare affari in Russia, nonostante le sanzioni. Ci sono fior di multinazionali che operano lì e fanno business in ogni settore: molte operano con sedi in loco, tante altre si limitano a triangolazioni. Tra le multinazionali presenti a Mosca c’è la francese TotalEnergies, la quale ha importanti quote nella società petrolifera Novatek (19,4%) e in quella del gas Yamal Lng (20%), per un valore di oltre 10 miliardi di euro. Si tratta di due delle società energetiche russe che Trump aveva messo nel mirino delle sanzioni ma che poi ha silenziosamente e progressivamente salvato. E qui c’è il nodo della grande partita energetica, nella quale la Francia non può restare isolata.
3 Total, Exxon e le company energetiche russe. Uno dei punti che più interessano agli analisti finanziari americani riguarda il risiko delle società. Secondo il Wall Street Journal le trattative tra Usa e Russia avrebbero un coté di tutto rispetto all’estrazione di terre rare e all’energia. Sempre secondo il giornale americano, il vicepresidente della Exxon Mobil, Neil Chapman, avrebbe incontrato in segreto a Doha Igor Sachin, ex compagno di Putin nel Kgb e oggi capo del colosso pubblico del petrolio Rosneft, per discutere il ritorno della major americana nei grandi progetti di investimento. Secondo diversi analisti specializzati, Trump vorrebbe tentare anche una zampata che sarebbe letale per il mercato europeo: usare Exxon (attraverso una nuova società con i russi) come centrale d’acquisto dell’energia russa da vendere a prezzi maggiori rispetto a quelli che ieri l’Europa e oggi la Cina ha strappato a Mosca. Putin sarebbe ben lieto di fare questo sgambetto alle nostre economie. In uno scenario del genere la Total rischierebbe di restare a guardare il risiko composto sull’asse Usa-Russia. Per questo avrebbe mosso il presidente in scadenza Macron al fine di ripristinare i contatti.
4 Il governo italiano. Alla Meloni va riconosciuto il merito di aver vinto la partita sul non impiego degli asset russi congelati. Proprio per questo avrebbe dovuto cercare di attivare i collegamenti con il Cremlino e bruciare sul tempo Macron con dichiarazioni esplicite. E lasciare così alla Commissione il cerino delle dichiarazioni deliranti contro la Russia. L’ha fatto Macron, aprendo una partita nuova.
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