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2025-12-07
Formula 1, Norris è campione del mondo. Verstappen giù dal trono dopo quattro titoli
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Lando Norris (Getty Images)
Nell’ultimo GP stagionale di Abu Dhabi, Lando Norris si laurea campione del mondo per la prima volta grazie al terzo posto sul circuito di Yas Marina. Nonostante la vittoria in gara, Max Verstappen non riesce a difendere il titolo, interrompendo il suo ciclo di quattro mondiali consecutivi.
Lando Norris è campione del mondo. Dopo quattro anni di dominio incontrastato di Max Verstappen, il pilota britannico centra il titolo iridato al termine di una stagione in cui ha saputo coniugare costanza, precisione e lucidità nei momenti decisivi. La vittoria ad Abu Dhabi, conquistata con una gara solida e senza errori, suggella un percorso iniziato con un Mondiale che sembrava già scritto a favore dell’olandese.
La stagione ha visto Norris prendere il comando delle operazioni già nelle prime gare, approfittando di alcuni passaggi a vuoto di Verstappen e di una gestione impeccabile del suo team. Il britannico ha messo in mostra una costanza rara, evitando rischi inutili e capitalizzando ogni occasione: punti preziosi accumulati gara dopo gara che hanno costruito un vantaggio psicologico e tecnico difficile da colmare per chiunque, ma non per Verstappen, che nelle ultime gare ha tentato il tutto per tutto per costruirsi una chance di rimonta. Una rimonta sfumata per appena due punti, visto che il pilota della McLaren ha chiuso il Mondiale a quota 423 punti, davanti ai 421 del rivale della RedBull e che se avessero chiuso a pari punti il titolo sarebbe andato a Verstappen in virtù del numero di gran premi vinti in stagione: otto contro i sette di Norris. Inevitabile per l'olandese non pensare alla gara della scorsa settimana in Qatar, dove Norris ha recuperato proprio due punti sfruttando un errore di Kimi Antonelli all'inizio dell'ultimo giro.
La gara di Abu Dhabi ha rappresentato la sintesi perfetta della stagione di Norris: partenza accorta, gestione dei pit stop e mantenimento della concentrazione fino alla bandiera a scacchi. L’olandese, pur vincendo la corsa, non è riuscito a recuperare il distacco, confermando che i quattro anni di dominio sono stati interrotti da un talento giovane e capace di gestire la pressione del momento clou.
Alle spalle dei due contendenti, la stagione è stata amara per Ferrari e altri protagonisti attesi al vertice. Charles Leclerc e Lewis Hamilton non hanno mai realmente impensierito i leader della classifica, incapaci di inserirsi nella lotta per il titolo o di ottenere risultati significativi in gran parte del campionato. Una conferma, se ce ne fosse bisogno, delle difficoltà del Cavallino Rosso nel trovare una combinazione di macchina e strategia competitiva.
Il Mondiale 2025 si chiude quindi con un volto nuovo sul gradino più alto del podio e con alcune conferme sullo stato della Formula 1: Norris dimostra che la gestione mentale, l’attenzione ai dettagli e la capacità di evitare errori critici contano quanto la velocità pura. Verstappen, pur da vincitore di tante gare, dovrà riflettere sulle occasioni perdute, mentre la Ferrari è chiamata a ripensare, ancora una volta, strategie e sviluppo per la stagione successiva.
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Vladimir Putin
Il portavoce del Meccanismo europeo di stabilità respinge la proposta di riformare il fondo per usare gli asset congelati. Il «Financial Times»: «L’idea è un rischio per la moneta unica». Volodymyr Zelensky domani va da Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz.
Il Mes ha chiuso all’ipotesi di una riforma che lo renda uno strumento di garanzia nella condivisione dei rischi per quanto riguarda l’uso degli asset russi congelati. «Nel quadro del trattato del Mes, il Meccanismo può fornire supporto solo agli Stati membri dell’Eurozona che ne facciano richiesta e unicamente allo scopo di salvaguardare la stabilità finanziaria dell’area euro e dei suoi membri», ha dichiarato ieri un portavoce del Meccanismo europeo di stabilità.
L’ipotesi di una riforma era stata avanzata, alcuni giorni fa, da Antonio Tajani. «Un’ipotesi potrebbe essere l’utilizzo del Mes come garanzia per gli asset russi, quel che serve modificare nei regolamenti lo modifichiamo», aveva dichiarato il capo della Farnesina a margine del summit dei ministri degli Esteri della Nato.
In questo quadro, ieri il Financial Times ha sottolineato l’esistenza di alcuni rischi finanziari per l’Ue in riferimento all’uso dei beni russi congelati. «Il controverso piano di Bruxelles di utilizzare i beni sovrani russi congelati per sostenere fino a 210 miliardi di euro di prestiti all’Ucraina sta mettendo a dura prova il quadro politico e giuridico dell’Ue. Ma potrebbe avere anche grandi conseguenze per i mercati finanziari dell’Unione», ha scritto il quotidiano britannico, per poi aggiungere: «Alcuni gestori di fondi avvertono che un’eventuale decisione di utilizzare i beni congelati aumenterebbe i rischi politici legati al possesso di asset in euro e metterebbe persino in dubbio il loro status di rifugio globale».
Nel frattempo, prosegue l’iniziativa diplomatica americana sull’Ucraina. Ieri e l’altro ieri, l’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero di Donald Trump, Jared Kushner, hanno incontrato il segretario ucraino del Consiglio per la sicurezza nazionale, Rustem Umerov, e il capo di stato maggiore, Andriy Hnatov. Secondo una nota del Dipartimento di Stato americano pubblicata venerdì, «i partecipanti hanno discusso i risultati del recente incontro tra la parte americana e quella russa e le misure che potrebbero portare alla fine di questa guerra». «Americani e ucraini hanno, inoltre, concordato il quadro degli accordi di sicurezza e discusso le necessarie capacità di deterrenza per sostenere una pace duratura», si legge ancora. «Le parti», prosegue il comunicato, «hanno anche esaminato separatamente il futuro programma di prosperità, che mira a sostenere la ricostruzione postbellica dell’Ucraina, le iniziative economiche congiunte tra Stati Uniti e Ucraina e i progetti di ripresa a lungo termine».
Frattanto, ieri Volodymyr Zelensky ha detto di essere stato aggiornato da Witkoff, in una telefonata «lunga e approfondita», dei colloqui tra la delegazione americana e quella ucraina. «Abbiamo affrontato molti aspetti e analizzato i punti chiave che potrebbero garantire la fine dello spargimento di sangue ed eliminare la minaccia di una nuova invasione russa su vasta scala, nonché il rischio che la Russia non mantenga le sue promesse, come è accaduto ripetutamente in passato», ha reso noto il presidente ucraino. E proprio i colloqui tra Washington e Kiev saranno al centro, domani, di un incontro a Londra tra Zelensky e alcuni leader europei: Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz. «L’Ucraina può contare sul nostro incrollabile sostegno. Questo è il senso degli sforzi che abbiamo intrapreso come parte della “coalizione dei volenterosi”», ha affermato Macron, condannando anche i massicci attacchi condotti da Mosca contro l’Ucraina. Vale a tal proposito la pena di sottolineare che il presidente francese si è recentemente recato in Cina, dove ha cercato di avviare un processo diplomatico alternativo a quello della Casa Bianca, tentando di convincere Xi Jinping a far pressioni sul Cremlino per spingerlo a concludere le ostilità. L’Eliseo, ancora una volta, sta provando a indebolire le relazioni transatlantiche nella speranza di rilanciare il proprio ruolo politico in seno all’Ue.
Nel frattempo, ieri, è arrivato un chiaro endorsement di Ankara alla mediazione statunitense in Ucraina: una mediazione, quella di Washington, che, in un’intervista a Reuters, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha definito essere «sulla strada giusta». «Spero solo che nessuno lasci il tavolo e che gli americani non siano frustrati, perché a volte i mediatori possono sentirsi frustrati se non vedono abbastanza incoraggiamento da entrambe le parti», ha poi specificato. Ricordiamo che, giovedì, il ministero degli Esteri di Ankara aveva convocato l’ambasciatore ucraino e l’incaricato d’affari russo per esprimere preoccupazione sugli attacchi militari verificatisi nel Mar Nero. «Stiamo assistendo a una gravissima escalation nelle ultime settimane della guerra tra Russia e Ucraina, con attacchi reciproci. Infine, ci sono stati alcuni attacchi anche nel Mar Nero, all’interno della nostra zona economica esclusiva», aveva affermato il viceministro degli Esteri turco, Berris Ekinci.
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Michele Emiliano
L’ex governatore, dopo l’incontro con Adolfo Urso, aveva assicurato: l’acciaieria resterà attiva.
All’indomani del vertice al ministero delle Imprese sull’ex Ilva, presieduto dal titolare del Mimit, Adolfo Urso, le organizzazioni di metalmeccanici Fiom Cgil e Fim Cisl si dissociano dalla lettura fornita dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, al termine dell’incontro di due giorni fa. Il governatore uscente aveva infatti affermato che «il piano della chiusura e della cassa integrazione è stato completamente ritirato».
I sindacati, però, non sembrano tanto d’accordo. In primis c’è la Fiom Cisl che contesta il numero uno della Puglia. «Apprendiamo al termine dell’incontro tra il Mimit e le istituzioni locali pugliesi, la notizia del ritiro del piano corto che per noi rimane il piano di chiusura degli stabilimenti ex Ilva. Dopo le mobilitazioni di questi giorni dei lavoratori di tutti gli stabilimenti, è necessario fare chiarezza attraverso la convocazione delle organizzazioni sindacali a Palazzo Chigi, in quanto ci risulta che si sta proseguendo con la chiusura delle cokerie a Taranto, così come previsto dal piano corto presentato dal governo», ha detto Francesco Brigati, segretario della Fiom-Cgil di Taranto, sottolineando che, in assenza di un confronto diretto con la presidenza del Consiglio, il quadro resta tuttora opaco.
Anche la Fim Cisl, per bocca del segretario generale Ferdinando Uliano, mette in discussione la narrazione di una svolta già consolidata: «Dopo gli incontri con le istituzioni, una parziale novità positiva riguarda la decisione di non chiudere la zincatura di Genova, con una ipotesi di una limitata compensazione con la banda stagnata, non fermando le linee produttive. Rimane tuttavia la nostra contrarietà al cosiddetto “piano corto”, che non risulta né ritirato, né sospeso. Per queste ragioni», ha continuato la Fim Cisl, «sollecitiamo la presidenza del Consiglio a convocare con urgenza il tavolo di confronto, indispensabile per affrontare e governare una fase tanto delicata. Ad oggi non abbiamo ancora ricevuto riscontri».
In parallelo resta aperta la questione del clima interno al sindacato, dopo l’aggressione avvenuta a Genova ai danni di esponenti Uilm, episodio che continua a provocare prese di posizione da parte di Fim e Uilm. Uliano interviene così: «Riteniamo che tali episodi vadano ben oltre la normale dialettica sindacale e che, se confermati, debbano essere condannati senza esitazione. In questa difficile vertenza occupazionale, che ha al centro il rilancio industriale dell’ex gruppo Ilva e la salvaguardia dei livelli occupazionali».
Sulla stessa lunghezza d’onda il segretario nazionale e provinciale di Taranto della Uilm, Davide Sperti, che richiama la storia della propria organizzazione e stigmatizza il silenzio di altre sigle. «Non abbiamo mai tollerato la violenza in nessun contesto, c’è tutta una storia che parla per noi, e non possiamo certo tollerarla in una situazione tesa, difficile, complessa come quella dell’ex Ilva dove stiamo cercando di riaprire la discussione sul governo per il ritiro immediato di un piano che non è di continuità e di rilancio della fabbrica, ma di dismissione e chiusura delle attività a breve scadenza. E ci stupisce e ci dispiace molto il fatto che né la Cgil nazionale, né la Fiom nazionale, abbiano sentito il dovere di prendere nettamente le distanze dall’accaduto».
Intanto, La Procura di Genova aprirà un fascicolo per danneggiamento, minacce e resistenza a pubblico ufficiale in relazione agli scontri avvenuti giovedì scorso a tarda mattinata davanti alla Prefettura in largo Lanfranco a Genova e nella stazione di Genova Brignole. Sulla dinamica sono in corso accertamenti da parte della Digos. Al momento non risultano ancora iscrizioni nel registro degli indagati.
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Scontri a Genova (Ansa)
Informativa della Digos dopo i disordini davanti la prefettura. Ipotesi danneggiamento e resistenza. I delegati Uilm non hanno sporto querela per l’aggressione targata Fiom.
Gli scontri di giovedì a Genova hanno aperto due fronti: la guerra in strada e quella tra sigle sindacali. E mentre i delegati della Uilm devono ancora decidere se sporgere una querela per le aggressioni che hanno raccontato di aver subito a Cornigliano, la Procura di Genova ha già ricevuto un’informativa di reato dalla Digos per i tafferugli davanti la prefettura. Le ipotesi di reato segnalate: resistenza, minaccia e danneggiamento. È stata la seconda puntata di una settimana rovente per la vertenza dell’ex Ilva. I manifestanti non sono stati ancora identificati, ma gli impianti di videosorveglianza e i filmati raccolti sono in fase di analisi. L’immagine simbolo della manifestazione di giovedì è già diventata virale: i caschi gialli sbattuti con rabbia contro le grate metalliche usate per proteggere la Prefettura. Per abbattere la barriera è stato agganciato un cavo d’acciaio collegato a un muletto. Quel cavo, ritenuto un corpo del reato, è stato sequestrato.
La versione sull’operaio ferito va in una direzione precisa: secondo gli investigatori della Digos sarebbe stato colpito da un oggetto tirato dai manifestanti e rimbalzato sulla grata. A sgonfiare la tensione ci ha pensato la pioggia di lacrimogeni. Solo quella, secondo gli investigatori, ha impedito che lo scontro degenerasse oltre l’abbattimento delle barriere. Dietro la guerriglia urbana c’è la paura per l’ipotizzata chiusura di una linea produttiva fondamentale, con centinaia di posti di lavoro appesi a un filo. Il governo ha fornito rassicurazioni. Ma la sensazione è che la tregua durerà poco. L’altro fronte, il più velenoso, è dentro la fabbrica. Lo scontro tra Uilm e Fiom è deflagrato davanti ai cancelli di Cornigliano. Il segretario generale della Uilm, Luigi Pinasco, e tre colleghi, sono stati «presi a calci e pugni da una ventina di persone con la felpa rosso-nera della Fiom». Due persone sono finite in ospedale. Il movente sarebbe da ricercare nella mancata adesione della Uilm allo sciopero generale dei metalmeccanici per la vertenza. Il segretario generale della Uil Liguria, Riccardo Serri, ha indicato pubblicamente i responsabili: i «militanti di Lotta comunista che vogliono avere l’egemonia all’interno della Fiom». Il senatore ligure di Fratelli d’Italia, Gianni Berrino, ha condannato in modo duro le violenze e ha tirato in ballo i vertici del sindacato rosso: «Nessuna motivazione potrà mai giustificare tale brutale violenza, di cui è senz'altro responsabile anche il segretario della Cgil Maurizio Landini, il quale ha espressamente inneggiato a una strategia della tensione». E invita le autorità ad accelerare: «Gli aggressori, che indossavano felpe della Fiom, siano presto individuati e puniti». La Fiom, ovviamente, ribalta la frittata. Perché se Berrino accusa Landini di alimentare la tensione, il leader della Cgil restituisce il colpo tirando fuori la memoria di Guido Rossa, l’operaio ucciso dalle Brigate rosse: «Quanto accaduto davanti ai cancelli dell’ex Ilva di Genova e il forte clima di tensione al presidio sindacale non possono essere in alcun modo strumentalizzati né tanto meno irresponsabilmente associati al terrorismo. La Fiom e la Cgil si sono sempre battuti contro il terrorismo e per affermare la democrazia, anche a costo della perdita della vita come accaduto proprio all’ex Ilva di Genova al nostro delegato Guido Rossa». Poi la parte diplomatica: «Restiamo impegnati a ripristinare un clima di confronto costruttivo e di rispetto delle differenze e continuiamo a chiedere al governo la convocazione a Palazzo Chigi per dare continuità produttiva a tutti i siti con gli investimenti necessari a rendere credibile il processo di decarbonizzazione e la salvaguardia dell’occupazione».
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