Vladimiro Zarbo (iStock)
- Dopo la terza dose, a Vladimiro Zarbo si bloccarono gambe e braccia. Poi smise di vedere. Ma il Ssn ancora non riconosce la patologia.
- I pazienti pediatrici che assumono antidepressivi o similari sono raddoppiati dal 2020. Lo psichiatra Perna: «In quella fase la socialità è centrale. Il lockdown gliel’ha tolta».
Lo speciale contiene due articoli.
(Ansa)
«Non si mette in discussione, non viene mai ascoltata. Questa supponenza ha portato la sinistra ai margini della vita politica, la totale assenza di umiltà, di mettersi in discussione, che non li fa ascoltare mai e li fa solo parlare tra loro in una stanza». Lo ha detto il premier Giorgia Meloni al comizio del centrodestra a Bari a sostegno del candidato alla presidenza della Puglia Luigi Lobuono, in vista delle Regionali.
Robert W.Malone (Getty Images)
L’inventore della tecnologia mRna: «I Cdc Usa hanno soppresso i dati sugli eventi avversi. La buona notizia è che si possono curare: anch’io ho avuto problemi cardiaci dopo Moderna. L’utilitarismo e lo scientismo hanno prodotto un approccio stalinista alla salute».
Robert Malone è il papà dei vaccini a mRna. È lui che, neolaureato, conduce nel 1987 uno storico esperimento al Salk Institute in California e poi, l’11 gennaio 1988, appunta sul suo taccino: «Se le cellule potessero creare proteine dall’mRna, potrebbe essere possibile trattare l’Rna come farmaco». «Scusatemi, ero giovane, avevo soltanto 28 anni», ha ironizzato qualche settimana fa a Bruxelles. Ieri il fisico e biochimico, nominato dal ministro della salute Usa, Robert F. Kennedy, presidente della commissione vaccini americana (Acip), ha lasciato Roma, dove si è fermato tre giorni per partecipare a un convegno al Senato sull’esperienza statunitense della pandemia e alla conferenza sulla sanità del XXI secolo, organizzata dai medici Giuseppe Barbaro, Mariano Bizzarri, Alberto Donzelli e Sandro Sanvenero, insieme con l’avvocato Gianfrancesco Vecchio.
2025-11-11
Nella biblioteca dei conservatori, dove la destra si racconta attraverso i suoi libri
True
Nel saggio di Massimiliano Mingoia un viaggio tra i testi che hanno plasmato il pensiero conservatore, da Burke a Prezzolini, da Chateaubriand a Scruton. Un percorso che svela radici, contraddizioni e miti di una cultura politica spesso semplificata dalla cronaca.
C’è un'immagine molto particolare che apre il nuovo libro di Massimiliano Mingoia, La biblioteca dei conservatori. Libri fondamentali per capire la destra (Idrovolante Edizioni, 2025): «Immaginatevi di entrare nella casa di un conservatore e di sfogliare i volumi della sua biblioteca». È una metafora efficace e programmatica, perché il saggio di Mingoia è proprio questo: un viaggio attraverso le stanze del pensiero di destra, le sue genealogie, le sue contraddizioni, e la sua lunga, irrisolta tensione con la modernità.
Giornalista e studioso di cultura politica, Mingoia costruisce un itinerario che ha la forma di una libreria: al centro, sugli scaffali più consultati, i “padri nobili” del conservatorismo liberale — da Edmund Burke a Chateaubriand, da Tocqueville a Prezzolini — e accanto a loro gli autori del Novecento come Russell Kirk, Hayek e Roger Scruton. In alto, quasi a sfiorare il soffitto, le figure più controverse del pensiero reazionario e tradizionalista: de Maistre, Guénon, Jünger, Evola, de Benoist. In basso, ai margini ma non troppo lontani, i liberali “irregolari” come Sartori, Montanelli, Ricossa e Romano.
È una classificazione che racconta, meglio di molti manuali, la pluralità delle destre e la loro difficile convivenza: tra l’ordine e la libertà, tra l’autorità e il mercato, tra la fede e la ragione.
L’autore evita il tono accademico e adotta quello del cronista curioso. Ogni capitolo parte da un libro, spesso introvabile, per ricostruire il contesto e le idee che lo hanno generato. Così Le tre destre di René Rémond diventa il punto di partenza per capire la distinzione tra destra tradizionalista, liberal-conservatrice e nazional-populista; Intervista sulla destra di Galli della Loggia e Prezzolini offre l’occasione per riflettere sull’anomalia italiana, dove la destra è nata liberale e non reazionaria; Destra e sinistra di Bobbio e la replica di Veneziani mettono a confronto due visioni opposte, ma entrambe fondamentali per capire l’Italia degli ultimi trent’anni.
Uno degli episodi più vivaci del volume riguarda Dante Alighieri, collocato da Mingoia in posizione d’onore nella “libreria del conservatore”. Non tanto perché il Sommo Poeta fosse un pensatore di destra — anacronismo che l’autore smonta con finezza — ma perché con la Divina Commedia ha dato all’Italia una lingua e un’identità, un “mito delle origini” che ancora oggi accomuna patrioti e progressisti. Mingoia ricorda come, nel Novecento, Dante sia stato arruolato prima dal fascismo e poi, più di recente, citato da Giorgia Meloni nel suo Io sono Giorgia, a dimostrazione di quanto la tradizione culturale italiana resti terreno di contesa simbolica.
C’è anche spazio per il romanzo: Il Gattopardo e Il Signore degli Anelli appaiono nella sezione “narrativa”, a ricordare che il conservatorismo non vive solo di filosofia ma anche di mito, genealogie familiari e nostalgia per un ordine perduto. Giovanni Raboni, da posizioni progressiste, scrisse che “i grandi scrittori sono tutti di destra”: Mingoia cita la provocazione con ironia, ma riconosce che in certe opere — da Tomasi di Lampedusa a Tolkien — sopravvive l’idea di continuità, di radice, di limite, che è il cuore stesso della sensibilità conservatrice.
Nel capitolo conclusivo, l’autore si interroga sul presente. Esiste oggi una “destra conservatrice” in Italia? O la cultura politica di Fratelli d’Italia è più vicina al populismo identitario che al liberal-conservatorismo di Burke e Prezzolini? L’analisi, sorretta da studi di Marco Tarchi e da esempi tratti dalla storia recente, evita semplificazioni ma suggerisce una risposta: la destra italiana, nel suo insieme, ha ancora una debole consapevolezza della propria tradizione intellettuale.
La biblioteca dei conservatori è dunque molto più di un repertorio di citazioni o di un manuale: è un saggio divulgativo colto, ordinato, a tratti persino affettuoso verso le idee che esplora. Mingoia scrive da osservatore, non da militante: mette in luce le ambiguità del conservatorismo ma ne riconosce anche la profondità e la coerenza.
In un tempo in cui la politica vive di slogan e di tweet, l’autore invita il lettore a tornare ai libri, letteralmente. A entrare in una biblioteca e, come suggerisce il titolo, a scoprire cosa significhi davvero “conservare”: non il rifiuto del nuovo, ma la custodia della memoria.
Continua a leggereRiduci







