2020-09-25
Offendere i cristiani è sempre concesso. Mettono la Ferragni nei panni di Maria
Chiara Ferragni nei panni di Maria in una creazione di Francesco Vezzoli per Vanity Fair
La fase terminale del delirio progressista: su Vanity Fair l'artista Francesco Vezzoli riduce la Madonna a influencer.Un tempo a segnare l'orizzonte della cultura «di sinistra», era l'Unità o tutt'al più un rotocalco come Rinascita. Oggi, invece, più ancora di Repubblica, il portabandiera ideologico dei liberal è Vanity Fair. Una rivista «patinata», laddove la patina consiste nei presunti valori progressisti con cui si avvolgono le brame del capitalismo senza limiti. Tra una pubblicità di un marchio di moda e l'altra, Vanity Fair è un concentrato delle ossessioni contemporanee: lotte Lgbt, fissazione per le minoranze, antirazzismo totalitario, e ovviamente antifascismo in assenza di fascismo. In qualche modo, dunque, è perfettamente coerente la santificazione di Chiara Ferragni che appare sul nuovo numero della rivista. Si tratta di un'edizione speciale curata da Francesco Vezzoli, artista molto celebrato anche fuori dai confini italici, e ovviamente lisciato da tutti i Vip. Con grande originalità, Vezzoli e il direttore di Vanity Fair, Simone Marchetti, hanno scelto di dedicare l'intero fascicolo alle donne, mostrando quelli che dovrebbero essere i modelli femminili del nostro tempo, gli «esempi di una cultura progressista che cerca il dialogo e che si oppone allo schema patriarcale per estirpare gli stereotipi di genere».L'assurdità di tutta l'operazione si evince già dalla copertina, su cui compare «la modella Roberta De Titta Graziano». La quale, si dà il caso, è una transgender, un maschio diventato femmina. Davvero curioso: in un numero dedicato alle donne c'è in copertina un trans, quasi un furto con scasso ai danni del femminile. Il direttore Marchetti giustifica la scelta spiegando che «c'è un salto culturale storico da fare per tutti. Siamo chiamati ad abbandonare finalmente una cultura patriarcale che ci imprigiona in una logica perversa, prevaricatrice, violenta e soprattutto non inclusiva». Come volevasi dimostrare: polverosa ideologia di sinistra utile ad assecondare le tendenze imposte dal pensiero semi totalitario che impera nella moda e altrove. Tratteggiato il quadro d'insieme, veniamo al punto. Vezzoli ha modificato per l'occasione alcune opere d'arte del passato, sostituendo i volti dei soggetti femminili originali con quelli di donne celebri di oggi. Ad esempio ha preso la Giovanna D'Arco di John Everett Millais e l'ha trasformata in Luciana Lamorgese. Operazione piuttosto blasfema, se non altro perché la Pulzella d'Orleans combatté (e diede la vita) per la sua patria e il popolo francese sottomesso dagli inglesi, mentre la Lamorgese sembra fare di tutto per garantire che l'Italia sia invasa. L'«opera» più irritante, tuttavia, è appunto quella che ritrae Chiara Ferragni, presentata nei panni di Maria sotto al velo azzurro della Madonna con bambino attribuita da Federico Zeri al Sassoferrato (Giovan Battista Salvi). Il titolo dell'intervista all'influencer è: «Madre, figlio e spirito social». Ora, la pagliacciata non è particolarmente originale (la dissacrazione è continua almeno dai lontani tempi dei jeans Jesus) e nemmeno sorprende. Dopo che Michele Serra, su Repubblica, ha incoronato la Ferragni martire dell'antifascismo, era ovvio che Vanity Fair non potesse esimersi dal fornire il suo contributo. A intristire, tuttavia, è il senso di stanca abitudine con cui ormai si accoglie questo genere di operazioni. Siamo talmente assuefatti alla banalizzazione e allo svilimento che la sensazione di offesa risulta come ovattata. Eppure il ritratto di Vezzoli offensivo lo è eccome. Non solo per i cristiani, ma per l'intera cultura europea. Vanity Fair dice di voler abbattere il «patriarcato violento». E come la fa? Prendendo il femminile perfetto - cioè la Madonna - e riducendolo a Chiara Ferragni. Cioè una che - per esprimersi sull'omicidio di Willy - non è nemmeno riuscita a elaborare un pensiero tutta da sola. No, ha dovuto ripubblicare un pensiero altrui, quello del profilo Spaghettipolitics. In quel «pensiero» condiviso dalla Ferragni si metteva in risalto la presunta matrice «nera» della violenza di Colleferro, con queste esatte parole: «No, Amo, il problema lo risolvi cambiando e cancellando la cultura fascista». Ecco, in quel «No, Amo», c'è il declino dell'Occidente. Non - come hanno creduto Serra e altri - l'affermazione dei «valori di sinistra» all'interno del mainstream, ma la fine dello stesso pensiero progressista. Che viene rimasticato e pervertito dalla superficialità social. È la stessa perversione a cui viene sottoposta la Madonna con bambino. Un'altra Chiara, santa Chiara, definiva Maria colei che può renderci «eredi e regine del Regno dei cieli». E guardate come la trattano, senza alcun rispetto, come una che mette in vendita la vita online. «Si aspetti un pugno chi offende mia madre. La libertà di parola ha dei limiti», disse Francesco nel 2015, poco dopo il massacro di Charlie Hebdo. Il Papa arrivò a pronunciare una frase che appariva quasi una giustificazione dei terroristi islamici, per di più di fronte a una carneficina tremenda. Ma nessuno si scandalizza, oggi, per l'offesa alla Madre Celeste (forse perché non ci sono minoranze aggressive da giustificare, chissà). Per altro, a insultare sono proprio i difensori a oltranza di tutte le minoranze piagnone: sostengono leggi bavaglio pur di non offendere gli Lgbt, ma non si fanno scrupoli a colpire i cristiani. In fondo, tutto si tiene: nella fiera delle vanità che sovverte ogni cosa, i trans sono femmine, la Ferragni è Maria, e i diritti delle donne sono la loro rovina.