- A ottobre aumentano i posti di lavoro (soprattutto a tempo indeterminato) e scende il tasso di disoccupazione. A beneficiarne sono commercio e turismo, mentre nelle fabbriche si amplia il ricorso alla cassa integrazione e gli ordini calano. Pil stazionario.
- L’ad di Openjobmetis, Rosario Rasizza: «Gli over 50 sempre più ricercati, perché sono subito produttivi».
A ottobre aumentano i posti di lavoro (soprattutto a tempo indeterminato) e scende il tasso di disoccupazione. A beneficiarne sono commercio e turismo, mentre nelle fabbriche si amplia il ricorso alla cassa integrazione e gli ordini calano. Pil stazionario.L’ad di Openjobmetis, Rosario Rasizza: «Gli over 50 sempre più ricercati, perché sono subito produttivi».Lo speciale contiene due articoli.La lettura incrociata dei dati usciti ieri (Istat e indice Pmi) offre una visione contraddittoria dell’economia italiana: occupazione in crescita accompagnata però dal forte aumento della cassa integrazione e dall’andamento negativo dell’indice Pmi della manifattura. Due elementi che disegnano un futuro non di sviluppo. Il saldo di andamenti così divergenti è rappresentato dal Pil che resta sostanzialmente stagnante. Ma andiamo con ordine. A ottobre sono stati creati 47.000 posti di lavoro in più rispetto al mese precedente, portando il numero totale di occupati a 24.092.000 unità. Il tasso di occupazione ha raggiunto il 62,5%, facendo scendere i disoccupati al 5,8%. Un risultato tanto più importante perché legato all’incremento dei dipendenti permanenti (+449.000) e degli autonomi (+127.000), mentre i contratti a termine sono diminuiti (-212.000). Questo segnale di crescita ha ricevuto il plauso del presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha sottolineato l’importanza di proseguire con politiche volte a rafforzare l’occupazione e stimolare la crescita.Tuttavia, sebbene il lavoro stia registrando numeri positivi, il contesto economico complessivo appare poco brillante. Il Pil, infatti, è rimasto sostanzialmente stabile nel terzo trimestre con una crescita annua dello 0,4%. Questo dato riflette un andamento contrastante delle componenti della domanda: se da un lato i consumi delle famiglie sono aumentati (+0,8%), dall’altro gli investimenti hanno subito una contrazione (-0,3%) e le esportazioni sono diminuite dello 0,9%. La stagnazione del Pil , quindi, si accompagna a segnali di frenata dell’economia reale, nonostante l’aumento dei consumi.Un indicatore preoccupante è l’aumento della cassa integrazione che a settembre ha raggiunto 44,9 milioni di ore, segnando un incremento significativo rispetto ai 37,8 milioni del settembre 2023. L’andamento riflette l’uso crescente degli ammortizzatori sociali in settori particolarmente colpiti dalla crisi. Innanzitutto l’automotive che paga la crisi di Stellantis, e ora anche il tessile colpito dal rallentamento delle vendite in Cina del «Made in Italy». Sebbene la crescita dell’occupazione sia stata significativa, il ricorso diffuso alla cassa integrazione spiega abbastanza bene quello che sta succedendo: l’occupazione cresce nei settori a bassa produttività e alto impiego di personale come commercio e turismo (a confermarlo la soddisfazione espressa da Confcommercio e Confesercenti per i dati Istat) mentre segna il passo nell’industria.A dimostrarlo il calo dell'indice Pmi (Purchasing Managers’ Index), che viene calcolato sulla base dei nuovi ordini che arrivano in fabbrica. A novembre, l’indice Pmi manifatturiero italiano è sceso a 44,5, confermando la persistente contrazione dell’attività produttiva (c’è crescita solo superando quota 50 punti). La debolezza della domanda, sia interna che estera, è la causa principale di questo calo. I nuovi ordini sono diminuiti al tasso più rapido dell’anno, con una significativa contrazione delle esportazioni, in particolare verso la Germania.Il calo della produzione e l’aumento delle ore di cassa integrazione indicano che le fabbriche stanno affrontando una difficile situazione economica, che sta portando anche a una riduzione dell’occupazione. In particolare, il settore automobilistico sta vivendo difficoltà a causa della minore domanda di vetture elettriche e della crescente concorrenza cinese, con diverse fabbriche che hanno sospeso temporaneamente la produzione. Guardando al futuro, l’incertezza economica globale resta una delle principali preoccupazioni per le imprese italiane. Se da un lato c’è un moderato ottimismo riguardo alla possibile ripresa della produzione manifatturiera nei prossimi dodici mesi, grazie alla stabilità politica internazionale dopo le elezioni statunitensi, dall’altro persiste la preoccupazione per il protezionismo e le politiche tariffarie che potrebbero rallentare ulteriormente le esportazioni.Jonas Feldhusen, economista della Hamburg Commercial Bank Ag, sottolinea come la debolezza degli ordini, sia nazionali che esteri, continui a frenare la crescita del settore manifatturiero italiano. L’incertezza politica internazionale, unita alla minore domanda globale, sta spingendo le aziende a ridurre la produzione e a ridurre il personale, creando un circolo vizioso difficile da interrompere.In questo scenario, l’Italia deve affrontare una sfida duplice: sostenere la crescita dell’occupazione e migliorare la stabilità economica, mentre affronta le difficoltà derivanti da un settore manifatturiero in crisi e da un Pil che non decolla. Sarà fondamentale un’azione decisa da parte delle istituzioni, che dovranno intervenire non solo sul fronte delle politiche economiche, ma anche sul supporto ai settori più colpiti dalla crisi. Solo così sarà possibile costruire le basi per una ripresa solida e duratura, in grado di rispondere alle sfide del prossimo anno.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/occupati-crescono-ma-industria-soffre-2670289300.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-tallone-dachille-sono-gli-inattivi-ce-ancora-troppa-poca-formazione" data-post-id="2670289300" data-published-at="1733214959" data-use-pagination="False"> «Il tallone d’Achille sono gli inattivi. C’è ancora troppa poca formazione» L'ad di Openjobmetis, Rosario Rasizza (Imagoeconomica) Il lavoro cerca lavoratori. Può sembrare uno slogan, ma è così che Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjobmetis, commenta i dati positivi sull’occupazione diffusi ieri dall’Istat. Perché stiamo di nuovo vedendo un aumento dei dipendenti a tempo indeterminato? Cos’è cambiato rispetto a prima? «È cambiato un paradigma molto importante. Le aziende finalmente, dopo il Covid, hanno capito che la cosa più importante di ogni attività, qualunque essa sia, sono le persone, il capitale umano. Per questo, quando trovano la persona giusta, la vogliono stabilizzare per dare continuità: sono tutte buone prassi e noi non ci opponiamo a questo nuovo modo di vedere il lavoro, perché è giusto che sia così e noi stessi assumiamo a tempo indeterminato, quindi tutto va nella direzione giusta». Ma è solo un problema di soldi? «No, non è un problema di soldi, è il fatto che se tu trovi una buona segretaria, un buon prototipista, un buon manutentore, un buon informatico, vuoi dare a lui la stabilità di un lavoro a tempo indeterminato. Così lui può fare tutto quello che un contratto a tempo indeterminato ti permette. Allo stesso tempo, il datore di lavoro lo fa perché vuole che le competenze rimangano in azienda». Secondo i dati Istat emersi ieri, però, non è così in tutte le fasce d’età. Ad esempio, ci sono difficoltà nell’essere assunti tra i 25 e i 49 anni. «È così, soprattutto per quei giovani che si sono appena laureati o diplomati, e che non hanno ancora le idee chiare sul loro futuro. Noi dobbiamo aiutare questi giovani a fare tante esperienze, in modo tale che poi possano indirizzare meglio le loro energie». Però non è forse anche un problema di politiche del lavoro troppo ingessate? «Oggi non possiamo dire che siano ingessate. Tu puoi assumere con un contratto a tempo determinato, ti puoi rivolgere ad un’agenzia che ti può fare un contratto a tempo determinato. Oggi le difficoltà maggiori da parte delle aziende stanno nel trovare il candidato giusto, il candidato che possa esserti immediatamente utile. Dal mio osservatorio vi posso dire che le persone con oltre 50 anni di età saranno le figure più ricercate perché sono quelle immediatamente produttive, reattive». C’è anche il problema degli inattivi, persone che non cercano lavoro e non si formano. Un problema che riguarda i giovani sotto i 35 anni e le donne. Come mai? «Questo è un po’ il nostro tallone d’Achille, dovremo concentrarci tutti quanti su questo aspetto. Questo governo, in parte, ha provato a fare qualcosa. Parlando sempre di più di formazione. Il problema è che se ne parla molto, ma poi ancora se ne fa poca. Le agenzie per il lavoro investono oltre 160-170 milioni l’anno in formazione». Non si fa fatica anche perché gli stipendi sono troppo bassi e i lavoratori rappresentano un costo alto per le aziende? «Da un lato, le aziende si lamentano che il costo del lavoro è troppo altro e dall’altro abbiamo i lavoratori che dicono che guadagnano troppo poco di netto, perché tu sai benissimo che il lordo è quasi 2,1-2,2 volte il netto. Noi agenzie per il lavoro rispettiamo i contratti collettivi nazionali, di più non possiamo fare, assumiamo tutti in regola nel rispetto del contratto collettivo, se questo è basso noi non possiamo farci niente». Però questo ci fa perdere competitività? «Ci fa perdere delle opportunità forse, perché il lavoratore magari a volte decide di non lavorare in Italia. Faccio un esempio banale su una figura molto ricercata. Io abito a Varese, si sa la differenza tra quanto guadagna una infermiera a Varese e quando quest’ultima prende se fa 15 chilometri per andare a Mendrisio: il doppio. Su questo servirebbe un cambio strutturale. Tornando ai dati Istat, il lavoro cerca il lavoro, mi viene da dire. Il lavoro cerca lavoratori, perché sono questi che mancano».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.