2022-07-06
L’Occidente si spartisce l’Ucraina. Italia beffata: la sua zona è russa
Volodymyr Zelensky (Ansa)
A Lugano si assegnano le aree di influenza (Kiev le chiama «adozioni») e al nostro Paese «capita» il Donetsk, che prima andrebbe riconquistato. Impresa non agevole: c’è il rischio che ci tocchi pagare senza contropartite.La guerra in Ucraina non è ancora finita, ma a Lugano già si discute di come spartirsi il Paese. Ufficialmente, nella cittadina svizzera rappresentanti delle istituzioni internazionali, uomini d’affari e leader politici si sono dati appuntamento per parlare della ricostruzione delle città devastate dalle bombe russe. L’obiettivo dell’incontro consisterebbe nel dare vita a una specie di «piano Marshall», ovvero qualche cosa tipo quello che gli americani introdussero in Europa dopo la seconda guerra mondiale. In realtà, ciò di cui si parla sulle rive del Ceresio è uno sforzo finanziario ingente, che difficilmente l’Europa e gli alleati sosterranno gratis. Già il conflitto sta richiedendo giganteschi stanziamenti per rifornire di armi l’esercito ucraino, ma una volta deposte le armi, per tornare alla normalità serviranno centinaia di miliardi. La Kiev school of economics ha stimato che solo per ricostruire gli edifici e le infrastrutture rasi al suolo serviranno 104 miliardi di dollari, ma per recuperare ciò che l’economia ucraina ha perso non ne basteranno altri 500. Insomma, le ultime previsioni parlano di 750 miliardi, una cifra che è l’equivalente del Pil della Svizzera, la metà del Prodotto interno lordo di Spagna e Portogallo messi insieme. Volodymyr Zelensky dice che una parte di quei soldi si potranno trovare utilizzando i 300 miliardi di riserve russe congelate all’estero, ma a parte gli aspetti giuridici, non sempre semplici da aggirare, resterebbero altri 450 miliardi da trovare. La Banca europea per gli investimenti ha annunciato di essere pronta a stanziare 100 miliardi, ma certo quelli non sono soldi a fondo perduto, bensì prestiti che dovranno essere restituiti e un’economia che prima della guerra «fatturava» 150 miliardi di euro l’anno, faticherebbe a trovare le risorse per rimborsare i mutui anche se questi avessero scadenze ultradecennali. Dunque, la domanda banale di chi metta i soldi non è poi così inappropriata. Se ricostruire l’Ucraina dopo la guerra costa, e come abbiamo visto costerà molto, prima di parlare di come fare, forse sarebbe il caso di chiarire chi ne sosterrà il costo, perché le economie europee non sembrano avere tutte le risorse che sarebbero richieste. È dell’altro ieri la notizia che in pochi mesi la Germania ha azzerato il proprio surplus commerciale, una posizione che la rendeva unica al mondo e che aveva spinto gli stessi americani a mettere nel mirino Berlino. Se i tedeschi stanno messi così, c’è da immaginare come saranno messi gli altri Paesi europei, a cominciare dall’Italia. Se l’area Ue entra in recessione, come a tutti gli effetti sta entrando per il combinato disposto dell’aumento dei prezzi delle materie prime e per il caro energia, come farà a sostenere lo sforzo di rimettere in piedi Kiev e dintorni? La risposta non c’è o per lo meno nel dibattito che si è svolto nel palazzo dei congressi della città ticinese, nessuno si è preso la briga di chiarire quali siano le intenzioni. Tuttavia, forse più di molte parole è stata sufficiente un’immagine proiettata sullo schermo alle spalle del premier ucraino, Denys Shmial. La slide è eloquente, perché sul palco si vede un’Ucraina divisa in regioni e con sopra tante bandierine che rappresentano i Paesi europei e gli alleati. Tanto per fare qualche esempio, ai francesi toccherebbe la città di Odessa, mentre agli svizzeri la regione in cui ha sede la città portuale. I tedeschi si prenderebbero la regione di Chernihiv, mentre ai canadesi spetterebbe la regione di Sumy. A Stati Uniti e Turchia andrebbe la regione di Kharkiv, mentre all’Irlanda finirebbe la regione di Rivne. La Romania si occuperebbe della regione di Mykolaiv, mentre la Norvegia di quella di Kirovohrad. Gli aiuti non disdegnerebbero le zone occupate dai russi e tuttora da riconquistare. Dunque, agli italiani e ai polacchi sarebbe affidata la regione di Donetsk e agli austriaci la zona di Zaporizhzhia. La Svezia e i Paesi Bassi supervisionerebbero la regione di Kherson, la Repubblica Ceca, la Finlandia e la Svezia la regione di Lugansk, mentre la regione di Kirovorhrad passerebbe alla Norvegia. Ufficialmente, a Kiev parlano di adozione, quasi che ogni Paese possa fare la propria parte per sostenere il territorio da ricostruire. Tuttavia, appare evidente, anche se non si parla di cessione di sovranità, che l’Ucraina una volta raggiunta la pace si affiderà all’estero per risorgere e allo stesso tempo quegli aiuti non saranno gratis, perché saranno rimborsati in termini di concessioni. Cioè, per non finire in mano ai russi, Kiev finirà in mano a chi ricostruirà il Paese, concedendo diritti su materie prime o servizi che sono facilmente intuibili. Insomma, l’aiuto non sarà gratis, perché l’impegno finanziario è tale che l’Ucraina impiegherebbe troppi decenni per rimborsarlo.Tutto questo a prescindere da come evolverà il conflitto. Perché mentre in Svizzera si parla di ricostruire, nel Donbass si muore e le città rase al suolo, prima di essere rifatte, dovranno essere riconquistate. Il che, vista la piega presa dalla guerra nel Sud Est del Paese, è tutt’altro che scontato. Forse è per questo che all’Italia hanno assegnato il Donetsk? Per affidarci una mission impossible o per tagliarci fuori dalla ricostruzione? Forse per tutte e due le ragioni.