2021-04-10
Occhi cinesi controllano la sede del governo
Giuseppe Conte ha fatto piazzare sui 19 tornelli di Palazzo Chigi dei terminali che captano dati sensibili di chiunque passi. Li fornisce una ditta che è nella lista nera Usa per aver collaborato con Pechino nella persecuzione degli uiguri. Nell'ultimo consiglio dei ministri Mario Draghi ha usato il golden power per fermare l'acquisizione di una azienda di semiconduttori di Baranzate (Brianza) da parte della cinese Shenzen Invenland. Si tratta del primo vero stop da che esiste il golden power in Italia. Negli altri due casi il governo si espressenegativamente. Nel 2017 il premier Paolo Gentiloni intervenne su Tim e Vivendi, mentre nell'ottobre 2020 (quando Mike Pompeo era nei pressi di Roma) Giuseppe Conte negò a Fastweb la possibilità di acquistare forniture Huawei. Il niet sulla Lpe di Baranzate resta a oggi il più forte indice di un cambio di passo. Peccato che dal settembre del 2020 la sede del governo, Palazzo Chigi, venga monitorata e controllata dalla Dahua Technology, filiale italiana dell'omonima azienda cinese con sede ad Hangzhou. Chi entra a Chigi viene termoscansionato e controllato da ben 19 terminali piazzati direttamente sui tornelli. I moduli effettuano lo screening della temperatura e possono anche offrire la funzione di riconoscimento facciale, nonché registrare i volti in specifici database che consentono anche l'integrazione con i sistemi di rilevamento termico. Insomma, un bel pacchetto di dati a dir poco sensibili. Ma la notizia non finisce qui. La casa madre di Dahua dal 12 marzo del 2021 è nella lista nera della Casa Bianca. La Federal communication commission ha definito Dahua una minaccia per la sicurezza nazionale e l'ha di conseguenza bandita da qualunque attività promossa da strutture governative. Non solo. Già nell'ottobre del 2019, un anno prima dell'acquisto effettuato dal Conte bis, l'esecutivo di Donald Trump aveva inserito l'azienda di Hangzhou in un'altra lista. In pratica The Donald proibì a Dahua (e a molte altre società cinesi) di acquistare o commerciare tecnologia americana perché ritenuta colpevole di aver partecipato allo sterminio di massa degli uiguri nella regione dello Xinjiang. Dahua secondo il dipartimento del commercio americano avrebbe fornito i software per sviluppare il riconoscimento facciale degli uiguri. Una accusa pubblica che fece il giro del mondo. Ne scrisse lo scorso anno addirittura il Washington Post facendo infuriare Xi Jinping. Evidentemente l'ex premier giallorosso deve essersi perso lo scoop del giornale americano. Tanto che (su affidamento diretto?) ha pensato bene di prendere ben 19 totem per uno dei luoghi più esposti della democrazia italiana. A darne meritoriamente notizia ieri è stato il senatore leghista Simone Bossi che, assieme ad altri nove colleghi, ha depositato una interrogazione direttamente a Draghi. «In occasione di una serie di audizioni incrociate con la commissione Esteri», spiega Bossi, «abbiamo audito un esperto che ci ha fornito una indicazione. È bastato verificarla per farci saltare dalla sedia». I termoscanner, conferma anche La Verità, sono in funzione mentre scriviamo l'articolo e lo erano giovedì mentre a poca distanza la maggioranza si spaccava sulla risoluzione proposta da Fdi per la condanna del «genocidio» uiguro. Pd e 5 stelle si sono opposti all'uso del termine. Almeno i 5 stelle si sono dimostrati coerenti, visto le scelte del loro attuale leader. «In realtà trovo assurdo», conclude Bossi, «che si discuta degli uiguri in Aula e sui giornali soltanto a livello meramente teorico. E poi in pratica si finisca con l'affidare a una azienda nella black list Usa proprio per l'accusa di aver partecipato allo sterminio». In effetti, al di là delle rassicurazioni di rito, se il date base registrasse i volti e tenesse il conto di tutti coloro che sono entrati? Mentre il governo Draghi si muove per mettere i veti anti cinesi, qualcuno potrebbe sapere chi frequenta Palazzo Chigi. È vero che in una democrazia la sede del governo dovrebbe essere di cristallo. Ma il motto vale per i cittadini italiani, non certo per una potenza straniera. Chissà se Draghi metterà mano alla pratica ereditata da Conte. Le premesse politiche ci sarebbero anche. Da quando si è insediato, non solo ha avviato un robusto cambio di passo sulla politica internazionale, ma è già intervenuto su due importanti dossier. Il primo riguarda il Recovery plan: interamente riscritta la prima parte, quella dedicata allo sviluppo digitale, il cloud, la rete unica, il 5G e il perimetro di cybersecurity. Un esempio su tutti è il cloud, il sistema di computing che permette l'erogazione di servizi da remoto tramite Internet. Nella precedente versione, i 5 stelle avevano immaginato di creare una architettura nazionale più che autarchica, autistica, con l'obiettivo di escludere dal progetto i più grandi player del settore che per inciso sono tutti americani. Adesso Italia e Usa potrebbero andare a braccetto. Ma è con lo stop dell'acquisto di Lpe che si vede un forte allineamento con Washington e il resto dell'Europa. Nel decreto contro la Shenzen Invenlad, il governo cita le scelte fatte dalla Svezia, dall'Olanda, dalla Commissione Ue e del dipartimento di Stato Usa. Insomma, Draghi prima di mettere il veto ha analizzato il settore e le relative tensioni attorno al mondo dei microchip. Lpe è un gioiellino che, si legge nel dpcm, «riveste un indiscusso carattere strategico per i prodotti sviluppati sia per la sua non sostituibilità all'interno di un mercato rilevante». Dulcis in fundo, per gli amanti del muro di Berlino: tra le motivazioni sottostanti il veto, il governo cita il dipartimento Usa che classifica una delle controllate da Invenland come «communist chinese military company». Questo è parlar chiaro. Vedremo che succederà agli scanner di Chigi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)