
Tra i principali sponsor del passo indietro di Joe Biden, l’ex presidente ora vuole decidere il candidato, stavolta in disaccordo con i Clinton. Il suo uomo resta Gavin Newsom, ma Nancy Pelosi media tra le varie posizioni.No, non è House of Cards. È molto peggio. Al netto dello sfoggio di unità, quello che sta succedendo all’interno del Partito democratico americano è una lotta di potere senza esclusione di colpi. E attenzione: si tratta di una situazione che non è improvvisamente sorta dopo il ritiro elettorale di Joe Biden. Al contrario: quel clamoroso ritiro è una conseguenza di questa lotta, che va avanti da più di un anno. Mentre numerosi alti esponenti dem - tra cui lo stesso Biden - stanno dando il proprio endorsement a Kamala Harris, una figura è finora rimasta «stranamente» silenziosa: Barack Obama. L’ex presidente dem non ha per il momento appoggiato la vicepresidente come candidata alle prossime elezioni. Guarda caso, un «processo aperto» per selezionare un sostituto di Biden era stato auspicato l’altro ieri dall’ex senior advisor dello stesso Obama, David Axelrod. E proprio un «processo aperto» aveva di recente invocato anche Nancy Pelosi, che però ieri ha improvvisamente (e un po’ stranamente) dato il proprio endorsement alla Harris.E qui urge un passo indietro. Per anni, vari commentatori hanno cercato di farvi credere che il rapporto tra Obama e Biden fosse idilliaco. Non è così. Biden se la legò al dito nel 2015, quando Obama scelse di appoggiare la candidatura presidenziale di Hillary Clinton anziché la sua. Inoltre, sono mesi che l’entourage dell’ex presidente dem bombarda l’inquilino della Casa Bianca, per spingerlo a un passo indietro. È vero: Obama fu il grande sponsor della candidatura di Biden alle primarie dem del 2020. Ma quell’appoggio non fu dovuto a simpatia o fiducia nei suoi confronti. In quel momento, Obama aveva bisogno di un candidato per compattare il partito, affinché fosse arginata la corsa elettorale di Bernie Sanders. In secondo luogo, occorreva una figura grigia e dalla leadership debole per garantire la lottizzazione degli incarichi in una eventuale nuova amministrazione dem: un’amministrazione in cui Obama puntava a «infiltrare» alcuni suoi fedelissimi, come poi è effettivamente accaduto (basti pensare al segretario al Tesoro Janet Yellen o al capo del Pentagono Lloyd Austin). Come riferito all’epoca da Nbc News, Obama manovrò quindi dietro le quinte, affinché Biden avesse la strada il più spianata possibile verso la nomination. E questo, nonostante fosse chiaro già nel 2020 che le sue condizioni psicofisiche fossero assai problematiche (ad agosto di quell’anno si alterò, quando un giornalista della Cbs gli chiese se avesse intenzione di sottoporsi a un test cognitivo).Obama, insomma, ha impedito che nel Partito democratico si sviluppasse una dialettica interna, che avrebbe potuto portare a un rinnovo della sua classe dirigente. E i nodi sono venuti al pettine: l’Asinello è diventato sempre più balcanizzato, mentre l’impopolarità di Biden cresceva di pari passo al peggiorare delle sue condizioni di salute. Durante un pranzo alla Casa Bianca nel giugno 2023, Obama ha quindi iniziato a cercare di convincere l’attuale presidente a non ricandidarsi: un tentativo che ha portato avanti anche nei mesi successivi, alternando momenti di moral suasion ad altri di cannoneggiamento da parte del suo entourage. La tensione si è acuita dopo il disastroso dibattito di giugno. Ed è cominciato un braccio di ferro tra Obama e i famigliari di Biden, che - dalla moglie Jill al figlio Hunter - erano del tutto contrari a un passo indietro del presidente. Obama alla fine l’ha spuntata, aggiudicandosi il primo round. Ma adesso punta ad avere voce in capitolo sul sostituto del presidente. E non sembra troppo bendisposto verso la Harris: figura assai impopolare e politicamente fragile. Ma allora su chi sta scommettendo? Non sulla moglie Michelle ma, probabilmente, sul governatore della California, Gavin Newsom, che, guarda caso, ha ricevuto grandi attestati di stima da parte di Axelrod a partire dal 2022. Quel Newsom che, scaltramente, ha appena dato il proprio endorsement alla vicepresidente.Ma qui sorge un altro problema. Si dà infatti il caso che Bill e Hillary Clinton abbiano dato il loro appoggio alla Harris, entrando così de facto in rotta di collisione con Obama. Tale stato di cose apre una potenziale spaccatura in seno all’establishment dem. Da questo punto di vista, è interessante notare come la sinistra democratica, che si era sempre opposta a una sostituzione di Biden, si stia accodando alla Harris: Alexandria Ocasio-Cortez, per esempio, ha dato il suo endorsement alla vicepresidente. È curioso che una sandersiana come la Ocasio-Cortez oggi stia dalla stessa parte dei Clinton. Eppure questa è la situazione. L’assenza di dialettica interna e di rinnovo ha portato il Partito democratico a trasformarsi in una maionese impazzita. Obama, come abbiamo visto, ha pesanti responsabilità in tal senso. E adesso l’Asinello ne paga le conseguenze.Che cosa farà quindi l’ex presidente? Continuerà a invocare un «processo aperto» nella speranza di avere come candidato un proprio fedelissimo? Oppure cederà, trovando una sintesi con i Clinton? L’improvviso endorsement della Pelosi alla Harris, arrivato ieri sera, sembrerebbe far propendere verso questo tipo di soluzione: anzi, forse l’ex Speaker sta facendo da pontiere tra i due fronti. In tal senso, materia di trattativa sarà probabilmente il secondo componente del ticket presidenziale dem: chi si candiderebbe, in altre parole, alla vicepresidenza al fianco della Harris? Il nome di Newsom (o di qualche altro nome gradito al duo Pelosi-Obama) potrebbe rispuntare per questo incarico.I nodi da sciogliere sono comunque parecchi e la Convention nazionale dem inizierà tra meno di un mese. Al momento, secondo The Hill, la Harris potrebbe già contare su un discreto numero di delegati (531 dei 1.986 necessari per blindare la nomination). Un altro aspetto che rafforza la vicepresidente risiede nel fatto che potrebbe usufruire direttamente dei fondi raccolti dalla campagna presidenziale di Biden. Resta tuttavia una figura di scarsa popolarità con la maggior parte dei sondaggi che la dà perdente.
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.
La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.
L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La celebre psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi: «È mancata la gradualità nell’allontanamento, invece è necessaria Il loro stile di vita non era così contestabile da determinare quanto accaduto. E c’era tanto amore per i figli».
Maria Rita Parsi, celebre psicologa e psicoterapeuta, è stata tra le prime esperte a prendere la parola sulla vicenda della famiglia del bosco.
La sede di Bankitalia. Nel riquadro, Claudio Borghi (Imagoeconomica)
Il senatore leghista torna sulle riserve auree custodite presso Bankitalia: «L’istituto detiene e gestisce il metallo prezioso in nome dei cittadini, ma non ne è il proprietario. Se Fdi riformula l’emendamento...»
«Mentre nessuno solleva il problema che le riserve auree della Bundesbank siano di proprietà dei cittadini tedeschi, e quindi dello Stato, come quelle della Banca di Francia siano di proprietà dei cittadini d’Oltralpe, non si capisce perché la Banca d’Italia rivendichi il possesso del nostro oro. L’obiettivo dell’emendamento presentato in Senato da Fratelli d’Italia, e che si ricollega a una mia proposta di legge del 2018, punta esclusivamente a stabilire il principio che anche Bankitalia, al pari delle altre Banche centrali, detiene e gestisce le riserve in oro ma non ne è la proprietaria». Continua il dibattito su misure ed emendamenti della legge di Bilancio e in particolare su quello che riguarda le riserve in oro.






