2022-08-07
’O professore e il cane. Solitudini e nostalgie sotto l’albero di Alfieri
Il platano piantato ad Asti nel 1849 per i 100 anni dalla nascita del drammaturgo scatena ricordi e persino qualche rimpianto.Quanto caldo che fa quest’estate! Il sole oramai ha deciso di rivelarci il futuro che ci attende. Lui, professore di scienze al liceo scientifico per 34 lunghi anni, lo aveva ripetuto fino allo sfinimento: Non abbiamo cura di questo mondo! Noi umani, così sensibili, così intelligenti ma anche così superbi! Noi, capaci di essere amorevoli, di prenderci cura dei nostri affetti più cari fino all’ultimo istante, capaci di comporre sinfonie e di dipingere il sorriso beffardo della Monnalisa, le proporzioni maestose di una Scuola di Atene, la caduta dei Giganti, di erigere le piramidi della valle dei templi, il Partenone e le terme che così tanto amavano i romani della mia amata antichità! Eppure capaci di radere al suolo città, di estinguere civiltà, di Auschwitz e di quante altre miserie che non hanno nemmeno aggettivi per essere descritte.Il professore, Luigi Marco De Alessandris, ora è un pensionato come tanti altri, trascorre le sue giornate incastonato in una ricorrenza di appuntamenti, è forse più impegnato a rispettare i suoi improvvisi obblighi di quando era un docente, un padre, un marito e un attento e scrupoloso propagatore culturale della città di Asti. Infatti non soltanto teneva le sue lezioni, non soltanto era un regolare contribuente, ma si occupava anche di collaborare con enti benefici e culturali, quali il teatro comunale, gli enti e le associazioni dei festival, l’assessorato alla cultura, per i quali curava rassegne e rivestiva il ruolo di «ambasciatore». Quante personalità di rilievo sono venute in città e sono state introdotte o accompagnate dal nostro esimio studioso, amante delle novità scientifiche quanto dei classici della letteratura latina, di Erasmo da Rotterdam come della pittura rinascimentale. Oltre, manco a dirlo, un fine lettore e interprete del pensiero della personalità per antonomasia della storia cittadina, quel Vittorio Alfieri grande amatore e autore di spessore nazionale. Sua moglie, Alessandra, anche lei insegnante ma di matematica, sorrideva spesso delle vanità del marito, che quando doveva presenziare indossava sempre lo stesso paio di camicie e quella giacca a scacchi che aveva acquistato per il matrimonio. Un uomo preciso, suo marito, come tutti lo chiamavano ’O Professore, alla napoletana, viste le loro origini, sì, poiché nonostante oramai fossero pienamente accolti e integrati le radici non mentono, e nemmeno intendevano ovviamente travestirsi. Lui, natio di Napoli, rione Sanità, e lei di un piccolo paese d’intorno a Sorrento, Vico Equense, a mezza via tra Sorrento e Castellammare di Stabia. Non vi dico le diatribe sulla lingua, sulle sfumature di espressione che sussistono tra i due vernacoli, quisquiglie per un piemontese, figurarsi, eppure anche cagione di offesa perenne, di condanne a morte addirittura, tra campani.C’erano tre o quattro cose che a ’O Professore mancavano della sua terra, del suo mare: primo appunto il mare, secondo la parlata della gente, quel camminare nei rioni con tutto quel chiacchiericcio teatrale, scostumato, eccessivo, bello, bello quando la gente urla, quando si lamentano con tutte quelle esse e quelle c scivolose e quelle adorabile e lunghissime, interminabili Ooooo… e poi il cibo che, per quanto ogni terra in Italia offra piatti gustosi e ricchi, certi primi della sua Napoli erano semplicemente ineguagliabili. Certe calamarate… lo scarpariello… i risottini alla pescatora coi calamaretti… la lasagna napoletana… gli ziti… uuu, la frittata di pasta… e o casatiello? Beh, andrebbe a casa di corsa a farsi la valigia più leggera per ritornare a Napoli col primo treno, se solo pensasse a quel ben di Dio che ogni giorno i suoi conterranei si ritrovano nei piatti! Ma, oramai, la sua vita si è consumata per lo più lontano da Napoli, qui, in questa città di vie strette, di gente modesta, tutta presa a vivere una vita di terra, di asfalto, di città, sebbene Asti non sia certo Milano, Roma e nemmeno Napoli.Anche questa mattina ’O Professore se ne esce, saluta gli amici al bar, laddove prende il solito espresso ristretto, accompagnato da una sfogliatina alle mele. Quindi due passi fino a Piazza Cairoli, sulla quale si affaccia il palazzo che fu del grande drammaturgo, e attorno alla quale cresce un grande platano secolare, recentemente riconosciuto tra gli alberi monumentali della regione. Questo singolare fusto bianco e giallastro sale all’altezza dei tetti e si gonfia in una raggiera di ramificazioni, dicono che sia stato piantato per celebrare i cento anni della nascita dell’Alfieri, nel 1849, prima dell’unità nazionale, prima del Regno d’Italia, ragion per cui, se la matematica non è un’opinione, e la matematica proprio «nun è» un’opinione, lo correggerebbe la moglie, avrebbe 150 + 23 ovvero 173 anni, a cui vanno aggiunti quei tre, quattro, dieci o quindici anni che l’albero avrà avuto al momento della piantumazione. I dati ufficiali parlano di 37 metri di altezza e una circonferenza del tronco pari a 520 cm. Quanti ’O Professore ci stanno in un platano simile? Diciannove, venti ’O Professore in altezza, tre, o quattro in larghezza, quantomeno alla base. Mentre se ne sta seduto sulla panchina all’ombra delle foglie del platano passa di lì un cane, un cane solitario, un segugio, o un incrocio con. È tutto nocciola, la coda lunga dritta e il muso che sbalocca a destra e a manca annusando qualsiasi cosa sia alla sua portata. Che ci fai qui tutto solo? Gli chiede ’O Professore.Il cane si ferma, lo guarda per pochi istanti, forse per capire se si può fidare, se lo accarezzerà o se invece gli tireranno un sasso come fanno certi bambini nelle vie. Ha in tasca qualcosa? Una crocchetta magari, o un pezzo di carne del giorno prima, come fa la sua padrona, in cascina. Il cane ogni giorno viene in centro, pur sapendo del rischio che corre con le automobili che sfrecciano, ma è un cane curioso e ama il chiasso della gente, la campagna lo rattrista. In questo assomiglia molto a ’O Professore, che infatti odia la tranquillità pacate delle campagne, il silenzio della provincia. Non potrebbe mai viverci. Hai fame? Non ho niente per te, mi spiace, su, torna a casa, hai un collare, i tuoi padroni saranno in pensiero, su su, torna a casa! ’O Professore si alza in piedi e il cane finge di spaventarsi e di correre via, ma chissà, di cose da annusare ne avrà ancora molte prima di tornare sui propri passi.Per un attimo il docente in pensione resta lì, fermo, col braccio teso in avanti, sotto il sole che lo acceca, e sotto le chiome lievemente scosse da un venticello di passaggio. Se oggi annunciassero la fine del mondo forse è sotto questo albero che verrebbe ad attenderla.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)