2025-06-10
La notte dei lunghi coltelli del Pd. Bonaccini e i riformisti scalpitano
Stefano Bonaccini (Imagoeconomica)
La maggioranza: «L’assalto all’esecutivo è fallito». Landini: «Paese in crisi democratica». Schlein e Conte contano come voti anti-governo pure i «no». Operazione bocciata da Picierno&C: «È un regalo alla Meloni».Al ballottaggio 13 Comuni con più di 15.000 abitanti. Da valutare i riflessi del voto pugliese a Taranto sulla questione Ilva. Il segretario dem della Basilicata, Lettieri, rassegna le dimissioni.Lo speciale contiene due articoli.«Avete perso»: non è passata neanche un’ora dalla chiusura dei seggi quando sui social di Fratelli d’Italia appare questa scritta a caratteri cubitali, a corredo dei fantastici 5 che si sono accollati questo megaflop: Riccardo Magi, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Elly Schlein e Nicola Fratoianni. «L’unico vero obiettivo di questo referendum», recita il post di Fdi, «era far cadere il governo Meloni. Alla fine, però, sono stati gli italiani a far cadere voi». Mezz’ora prima era stato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, a dare la linea, rilasciando una battuta ai cronisti all’esterno di Palazzo Chigi: «Le opposizioni hanno voluto trasformare i 5 referendum in un referendum sul governo Meloni. Il responso appare molto chiaro: il governo ne esce ulteriormente rafforzato e la sinistra ulteriormente indebolita». «Grande rispetto per chi è andato a votare», commenta il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, «enorme sconfitta per una sinistra che non ha più idee e credibilità e che non riesce a mobilitare neanche i propri elettori. In due anni e mezzo al governo del Paese abbiamo ottenuto il record di italiani al lavoro, disoccupazione ai minimi, crescita dei posti fissi e calo del precariato: alla sinistra lasciamo le chiacchiere, Lega e governo rispondono coi fatti. Cittadinanza accelerata? Idea sbagliata e bocciata pure quella», conclude Salvini, «servono semmai più controlli e più buon senso. Gli italiani hanno scelto, evviva la democrazia». «Grande rispetto per chi è andato a votare», ripete il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, «perché è sempre una forma di partecipazione al referendum. Detto questo, è stata una sconfitta della sinistra e dell’opposizione che voleva tentare l’assalto al governo utilizzando il grimaldello dei referendum». Non cerca alibi e non si rifugia dietro alchimie aritmetiche il segretario della Cgil, Maurizio Landini: «Sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata, in un Paese come l’Italia dove c’è una crisi democratica evidente. Il nostro obiettivo», commenta a caldo Landini, «era raggiungere il quorum per cambiare le leggi. Questo obiettivo non l’abbiamo raggiunto. E questo credo che sia un punto di estrema chiarezza che va reso esplicito. Lasciare il sindacato? Non ci penso neanche lontanamente. Penso che ci sia grave responsabilità politica da parte di tutti. Quello che è avvenuto ha impedito la discussione sul merito dei contenuti. Schlein e Conte? Non ho sentito nessuno». Il buon Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato, si dedica alle acrobazie politico-aritmetiche: «In 15 milioni sono usciti di casa, donne e uomini, per votare», commenta su La7, «la Meloni è a Palazzo Chigi per 12 milioni e 300.000 elettori. Io continuo a pensare che Meloni sia diventata premier di un’Italia che allora era minoranza nel Paese». Cade nel tranello di Boccia anche Giuseppe Conte: «Se vi sembrano numeri insignificanti», scrive Giuseppi sui social, «considerate che è lo stesso numero di votanti con cui la maggioranza Meloni è arrivata al governo». Ultima in ordine di tempo ad aderire al teorema-Boccia è la segretaria del Pd Elly Schlein: «Hanno fatto una vera e propria campagna di boicottaggio politico e mediatico di questo voto», esulta Elly, «ma hanno ben poco da festeggiare: per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022». Per avere la misura della spericolatezza di queste analisi basta osservare la differenza tra i risultati del referendum sulla cittadinanza e gli altri quesiti, senza contare il fatto che ambienti della destra sociale avevano invitato a votare per abolire il jobs act. Il difetto a monte di questo approccio infatti è quello di conteggiare tra gli anti-Meloni anche tutti i «no» depositati nelle urne. Mentre andiamo in stampa, i «sì» del primo quesito sono poco più di 12.200.000, con 61.448 su 61.591. Non parliamo di quello sulla cittadinanza, che probabilmente assommerà circa 9 milioni di «sì».A smentire questi ragionamenti arriva infatti la leader della opposizione interna del Pd, Pina Picierno: «Una sconfitta profonda», scrive sui social la vicepresidente del parlamento europeo, «seria, evitabile. Purtroppo un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie». La tesi della non-sconfitta viene fatta a pezzettini pure da un altro esponente riformista dem, il costituzionalista Stefano Ceccanti: «Se non mobiliti», scrive Ceccanti su X, «neppure la metà più uno dei votanti alle precedenti politiche (64%) che è il quorum ragionevole che si auspica, hai perso e lo dovresti ammettere». Ancora più agguerrita Elisabetta Gualmini: «Aver mobilitato tutto il partito (democratico), tutti i circoli, tutti i dirigenti su un referendum che doveva “correggere gli errori del vecchio Pd” si è rivelato un boomerang», ha scritto su X, augurandosi «almeno una discussione franca magari anche con quelli del vecchio Pd». Ma non c’è solo l’ala riformista. Anche Giorgio Gori e l’eurodeputato Stefano Bonaccini si sfilano: «Si è mancato l’obiettivo». Amen.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/notte-lunghi-coltelli-pd-2672337343.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="taranto-a-sinistra-matera-a-destra" data-post-id="2672337343" data-published-at="1749517402" data-use-pagination="False"> Taranto a sinistra, Matera a destra Per il turno di ballottaggio che ha coinvolto 13 Comuni con più di 15.000 abitanti, i riflettori erano puntati su due capoluoghi: Taranto e Matera. La guida di Taranto, dove ha votato meno di un cittadino su 2 (affluenza al 47,09%) è andata a Pietro Bitetti, il candidato sindaco del centrosinistra che è arrivato ad un percentuale pari al 54,5%. Il suo avversario, espressione del centrodestra, Francesco Tacente si è fermato al 45,5%. Vent’anni di politica alle spalle, fino alla sfiducia al sindaco uscente Rinaldo Melucci, Bitetti è stato supportato da una coalizione che comprende anche il Partito democratico, oltre a Con (il movimento creatura del governatore Michele Emiliano) e altre sei liste civiche, ma senza il M5s. «Questa città va riappacificata», è stato lo slogan della sua campagna elettorale con l’intento di voltare pagina dopo anni di tumultuose vicende amministrative. Intanto dal neo sindaco dipende il futuro dell’ex Ilva, lo storico e più importante sito siderurgico d’Italia, visto che dovrà approvare il percorso politico che porterà alla firma dell’accordo di programma con il governo, per arrivare al progetto siderurgico green. Chiaro comunque il messaggio: «Ho ribadito in più occasioni che il diritto alla salute è un principio non negoziabile. Al tempo stesso, non è accettabile che siano sempre i lavoratori e le loro famiglie a sopportare le conseguenze di scelte politiche e industriali inadeguate. Per quanto mi riguarda, resta un principio fondamentale: la sostenibilità ambientale del ciclo produttivo». Ma nella città dei due mari, il «locale» conta più del «nazionale» ovvero il più forte non è il governo e il suo ministero delle Imprese, ma l’amministrazione comunale di turno anche se il ministro Adolfo Urso ha già ribadito: «Il primo atto per poter sviluppare un progetto siderurgico green a Taranto è l’accordo di programma che va sottoscritto da tutti gli attori, innanzitutto dal Comune, in merito alla realizzazione di un rigassificatore e di impianti di desalinizzazione che possano supportare l’attività che lì dovrà essere realizzata, per esempio il Dri per la fornitura del preridotto ai forni elettrici». Il vicepremier e segretario della Lega, Matteo Salvini, si è complimentato con lo sconfitto Tacente, che era appoggiato dal Carroccio, «per la bella e coraggiosa battaglia elettorale».Dopo un avvio piuttosto lento, lo scrutinio a Matera ha dato fin dalle prime indicazioni in vantaggio il candidato del centrodestra unito Antonio Nicoletti, ex direttore dell’Apt della Basilicata, su Roberto Cifarelli (candidato civico sostenuto da 9 liste di centrosinistra sceso in campo senza il logo dem). A salutare il neo sindaco nel comitato elettorale, oltre al governatore Vito Bardo anche la senatrice Maria Elisabetta Casellati. Nella città dei sassi l’affluenza è stata pari al 56,9% mentre al primo turno, da cui era uscito in vantaggio il candidato di sinistra, si era recato alle urne il 65,2% degli aventi diritto. Ora Matera con la guida di Nicoletti, si avvicina alla Regione saldamente in mano al centrodestra del generale Bardo, mentre resta a guida progressista il capoluogo Potenza. Intanto ieri, dopo la sconfitta, il segretario del Pd Basilicata, Giovanni Lettieri, si è dimesso.Oltre a Taranto e Matera, c’è stato il ballottaggio in altri 11 Comuni con più di 15.000 votanti mentre in Sardegna c’è stato il primo turno di amministrative in 7 Comuni (l’unico con più di 15.000 votanti Nuoro) con il caso di Goni: 89 elettori, una sezione, ma solo l’1,54% ha votato. Un crollo clamoroso rispetto al dato di riferimento delle comunali precedenti in cui aveva votato il 76,92% degli elettori.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 21 ottobre con Carlo Cambi