2021-09-14
Notizie dall’estero: la linea morbida funziona
(Steffen Trumpf/picture alliance via Getty Images)
La Danimarca ha scelto di abbandonare il lasciapassare e limitare le mascherine. Anche l'Inghilterra considera queste misure solo in caso di emergenza. Mentre il Giappone punta sulla libertà e chiede di vaccinarsi «se convinti» e senza discriminare gli altri.Mentre in Italia continua a infuriare il dibattito sul green pass, è forse utile effettuare una ricognizione a livello internazionale. Una ricognizione che mostri come non tutti i Paesi si stiano dirigendo verso un incremento delle restrizioni o verso l'introduzione di lasciapassare vaccinali. Tra gli esempi maggiormente orientati in senso liberale, troviamo innanzitutto quello della Danimarca. Appena pochi giorni fa, il Paese scandinavo, attualmente a guida socialdemocratica, ha infatti abolito le restanti misure concernenti il Covid-19, a partire dal pass per accedere ai locali notturni. Secondo l'Associated Press, alla base di questa linea starebbe anche il fatto che, nel Paese, la stragrande maggioranza dei cittadini con più di 12 anni ha ricevuto due dosi di vaccino. In tal senso, il ministro della Sanità danese, Magnus Heunicke, ha dichiarato il mese scorso che «l'epidemia è sotto controllo», pur specificando che il suo governo non è intenzionato ad abbassare la guardia. Ricordiamo che, in Danimarca, dal 14 agosto la mascherina, pur restando obbligatoria negli aeroporti, non lo è più sui mezzi pubblici. A inizio settembre, era stata inoltre rimossa la necessità del pass per accedere a ristoranti, barbieri e palestre. Schierato sulla linea liberale è anche il Regno Unito, con il governo che, nelle scorse ore, ha fatto marcia indietro sull'idea di introdurre un green pass per accedere ai locali notturni e agli eventi di massa. A renderlo noto è stato il ministro della Sanità, Sajid Javid. «Abbiamo esaminato correttamente (il lasciapassare, ndr) e, sebbene dovremmo tenerlo di riserva come potenziale opzione, sono lieto di dire che non andremo avanti con i piani per i passaporti vaccinali», ha dichiarato. Anche in questo caso è opportuno sottolineare che la popolazione del Regno Unito ha raggiunto un alto tasso di vaccinazione. Senza poi trascurare le dinamiche di natura politica. L'idea del lasciapassare era infatti stata duramente criticata nei giorni scorsi non solo da alcuni esponenti dell'opposizione, ma anche da settori interni allo stesso schieramento conservatore. Alla luce dei casi di Danimarca e Regno Unito, è opportuno ricordare che, per quanto in misura minore, anche l'Italia vede oggi un tasso di vaccinazione significativamente elevato. Ragion per cui non è del tutto fuori luogo auspicare che Roma possa guardare all'esempio di Copenaghen e Londra. Pensiamo poi al caso del Giappone: un Paese che, pur con un tasso di vaccinazione inferiore a quello italiano, sul sito del proprio ministero della Sanità scrive: «Sebbene incoraggiamo tutti i cittadini a ricevere il vaccino Covid-19, esso non è obbligatorio. La vaccinazione sarà data solo con il consenso della persona da vaccinare dopo le informazioni fornite. Si prega di vaccinarsi di propria volontà, comprendendo sia l'efficacia nella prevenzione delle malattie infettive sia del rischio di effetti collaterali». «Nessuna vaccinazione», prosegue il ministero, «verrà data senza consenso. Si prega di non costringere nessuno sul posto di lavoro o chi vi circonda a essere vaccinato e di non discriminare coloro che non sono stati vaccinati». Dall'altra parte, i Paesi fautori della stretta stanno incontrando delle difficoltà. Se il presidente francese Emmanuel Macron deve fronteggiare nuove proteste contro il lasciapassare sanitario, il tema si annuncia particolarmente caldo in vista dell'imminente campagna elettorale per le prossime presidenziali. Marine Le Pen, che si è ricandidata all'Eliseo, ha non a caso definito il pass sanitario «un attacco sproporzionato alla libertà», mentre anche il mondo dei Republicains ha in passato espresso dei malumori in materia di restrizioni. Un ulteriore esempio problematico è quello degli Stati Uniti, dove il presidente Joe Biden punta all'obbligo vaccinale per gli impiegati federali e per quelli di aziende con oltre 100 dipendenti. Una mossa che ha già portato il Partito repubblicano sul sentiero di guerra. Svariati probabili candidati alla nomination del 2024 (l'ex vicepresidente Mike Pence, il governatore del Texas, Greg Abbott, e la governatrice del South Dakota, Kristi Noem) hanno duramente criticato l'inquilino della Casa Bianca, mentre il Comitato nazionale del partito ha promesso che farà causa all'amministrazione. Freddezza sugli obblighi vaccinali è arrivata anche dai sindacati dei dipendenti federali. Per esempio, l'American federation of government employees (sigla che l'anno scorso aveva dato il proprio endorsement alla candidatura di Biden) ha emesso giovedì un comunicato piuttosto critico. «Cambiamenti come questo dovrebbero essere negoziati con le nostre unità di contrattazione, ove opportuno», si legge nella nota, «Ci aspettiamo una negoziazione su questo cambiamento prima dell'implementazione». Non è quindi escluso che alcuni ricorsi possano arrivare proprio dal mondo sindacale. Tutto ciò, mentre, anche in questo caso, la questione rischia di diventare materia di scontro in vista delle elezioni di metà mandato, che si terranno a novembre 2022. Una simile situazione risulta spinosa per Biden, che ha visto impantanarsi quello che avrebbe dovuto essere il suo fiore all'occhiello: la campagna vaccinale. E adesso sta cercando di uscire dall'angolo in modo un po' confusionario: dai suddetti obblighi all'idea della terza dose (che ha tuttavia spaccato al suo interno la Fda). Il caos da gestire, insomma, per il presidente rischia di aumentare.