2025-02-01
I nordcoreani si son rivelati soldatini. Spariti dal fronte dopo le batoste
Fonti americane e ucraine attestano il ritiro delle armate di Kim dalla zona del Kursk: Mosca smentisce senza troppa convinzione. La Russia preme forte su Pokrovsk, snodo logistico cruciale nel Donetsk.La madre di una rapita confessa: «Era detenuta in una struttura dell’Unrwa». Tra i rilasciati di oggi, Yarden Bibas, padre di due bimbi ancora nelle mani di Hamas.Lo speciale contiene due articoli.«I soldati nordcoreani inviati da Pyongyang per contrastare l’offensiva ucraina nel Kursk in Russia si sono ritirati dal fronte a causa di ingenti perdite inflitte dall’esercito di Kiev». A rivelarlo ieri è stato il New York Times in base a informazioni ricevute da alcuni funzionari americani e ucraini, secondo cui nella regione al confine tra i due Paesi, e in particolare nella prima linea dei combattimenti, non ci sono più tracce delle truppe di Kim Jong-un da ormai tre settimane. La notizia è stata immediatamente confermata dall’esercito ucraino ma smentita, senza troppa convinzione, dal Cremlino che ha parlato di «opinioni false» e «speculazioni deliranti» del quotidiano statunitense. Il portavoce delle Forze speciali ucraine, Oleksandre Kindratenko, interrogato sull’argomento dall’Afp, ha spiegato: «Nelle ultime tre settimane non abbiamo visto o rilevato alcuna attività o scontro armato con i nordcoreani. Pertanto riteniamo che si siano ritirati a causa delle pesanti perdite subite». Il generale ucraino Oleksandr Syrsky ha fatto sapere che in appena tre mesi il suo esercito è riuscito a dimezzare i ranghi nordcoreani. Da Mosca è invece intervenuto Dmitry Peskov. Il portavoce del Cremlino ha affermato all’agenzia di stampa Tass di non voler commentare quanto scritto dal Nyt, limitandosi a dire: «Ci sono molti ragionamenti diversi, giusti e sbagliati, deliranti e che distorcono la realtà. Probabilmente non è corretto per noi commentare ogni volta e non lo faremo». Descritti dai militari di Kiev come «feroci guerrieri» ma «disorganizzati» e «privi di coesione con le unità russe», secondo quanto appreso dal New York Times, gli 11.000 uomini nordcoreani inviati lo scorso novembre a combattere nel Kursk sarebbero stati lasciati allo sbaraglio con una quantità limitata di mezzi blindati e senza un piano strategico adeguato a fronteggiare il fuoco nemico. Tuttavia, altre fonti americane, suggeriscono che non si tratti di un ritiro definitivo ma soltanto di un periodo utile a riorganizzarsi in seguito alle gravi perdite subite; mentre da Seul fanno sapere che la Corea del Nord starebbe preparando un nuovo contingente da mandare in Russia per rimpiazzare le perdite subite, ma non solo. Secondo il numero uno dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov, nelle prossime intenzioni di Pyongyang ci sarebbe anche l’invio di oltre 100 sistemi di artiglieria a lunga gittata Koksan M1989 da 170 mm, conosciuti anche come «cannoni Juche» che l’industria bellica nordcoreana avrebbe sviluppato in caso di conflitto con la Corea del Sud.Nel frattempo, nel Kursk, le truppe ucraine provano a trarre vantaggio di questa situazione mettendo a segno alcuni attacchi. Uno di questi ieri ha colpito e distrutto una postazione di comando dell’esercito russo. Difesa aerea russa che nella notte tra giovedì e venerdì ha dovuto abbattere 49 droni lanciati dalle forze ucraine in sette regioni del Paese. I detriti di uno dei velivoli intercettati dalla contraerea hanno mandato in fiamme una raffineria nella regione di Volgograd, causando un ferito. Sempre nel Kursk, il Comitato investigativo russo ha reso noto ieri di aver arrestato il comandante dell’11ª compagnia del quarto battaglione ucraino, Yevgeny Fabrisenko, accusato di aver commesso crimini contro civili uccidendo 22 persone nel villaggio di Russkoye Porechnoye.Il fronte caldo del conflitto, però, continua a essere Pokrovsk, un punto logistico strategico nel Donetsk che collega l’Ucraina orientale a quella occidentale e considerato ora lo snodo cruciale della guerra in quanto potrebbe aprire alla Russia la strada che porta a Kiev. A Pokrovsk, dove è stata chiusa la più importante miniera di carbone del Paese e le autorità ucraine hanno fatto sapere che la popolazione è passata da 60.000 a 7.000 abitanti dall’inizio delle ostilità, l’esercito di Mosca dopo la conquista del villaggio di Novovasylivka sta puntando ad accerchiare l’intera zona e avvicinarsi alla regione di Dnipro. Ieri il presidente Volodymyr Zelensky è intervenuto per commentare l’attacco russo su un edificio residenziale a Sumy che ha causato nove morti e 13 feriti: «Questo è il marchio di fabbrica della Russia: distruggere la vita di molte famiglie, l’intera casa. Ogni attacco russo di questo tipo deve avere una risposta da parte del mondo: il terrore non deve rimanere impunito», ha detto il leader ucraino. «La risposta più efficace consiste nel sostenere il nostro popolo e il nostro Stato, nel mantenere la pressione sulla Russia che deve essere costretta alla pace. La causa di questa guerra è da ricercare esclusivamente nella Russia». Un appello immediatamente raccolto dalla Finlandia, tra i Paesi europei più interessati e preoccupati dalle minacce di Vladimir Putin, con il presidente della Repubblica che ha accolto ieri la proposta del governo di Helsinki di consegnare a Kiev il proprio 27° carico di equipaggiamenti di difesa. Un nuovo pacchetto di aiuti di 198 milioni di euro che fa salire il valore totale delle attrezzature per la difesa fornite fin qui all’Ucraina dal Paese scandinavo a 2,5 miliardi. Zelensky starebbe anche valutando la possibilità di abbassare l’età della mobilitazione militare dagli attuali 25 anni a 18. «L’Ucraina sta assistendo a un genocidio contro la sua stessa popolazione da parte di coloro che sono stati eletti dal popolo ucraino come leader», ha commentato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, scordandosi forse che il Cremlino prese la stessa decisione nel 2022.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nordcoreani-soldatini-2671066983.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="israeliani-prigionieri-in-basi-onu" data-post-id="2671066983" data-published-at="1738420600" data-use-pagination="False"> «Israeliani prigionieri in basi Onu» Ieri le Brigate Al Qassam, l’ala militare di Hamas, hanno reso noti i nomi di tre ostaggi che saranno liberati oggi in base all’intesa raggiunta con Israele per la tregua a Gaza. Si tratta di Ofer Calderon (54), Keith Siegel (65) e Yarden Bibas (35) -sua moglie Shiri (32) e i loro due figli, Ariel e Kfir, sono ancora prigionieri di Hamas a Gaza. Israele teme che la moglie e i figli di Yarden -Kfir che oggi ha due anni e Ariel di cinque- siano stati uccisi durante la prigionia. Israele auspica che l’organizzazione jihadista rispetti l’impegno di liberare gli ostaggi senza ripetere le scene sconvolgenti avvenute giovedì mattina durante il rilascio di Agam Berger, Arbel Yehud e Gadi Mozes, quando una folla inferocita li ha circondati al momento della consegna. Il governo israeliano ha reagito con indignazione, inviando un messaggio ai mediatori in cui ha chiarito che non tollererà un’altra situazione in cui gli abitanti di Gaza accerchino e spingano i veicoli della Croce Rossa che trasportano gli ostaggi, mettendo a rischio la loro sicurezza nel momento stesso della liberazione. Una volta che i tre ostaggi saranno al sicuro in Israele verranno liberati 90 detenuti palestinesi, tra cui nove che sono stati condannati all’ergastolo. L’annuncio è stato dato dall’ufficio di Hamas per gli affari dei prigionieri, dopo che Israele ha confermato di aver ricevuto i nomi dei tre ostaggi che saranno liberati a Gaza. Shlomi Berger, il padre della soldatessa Agam Berger liberata giovedì, ha ringraziato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump per il rilascio della figlia: «Grazie, grazie per la vostra cura e per averci fatto fare a tutti la cosa giusta. Non dimenticheremo mai il vostro aiuto, la vostra generosità e la vostra leadership, Dio benedica gli Stati Uniti d’America». Il Regno Unito, la Francia e la Germania ieri hanno ribadito la loro «grave preoccupazione» per l’attuazione da parte di Israele della legge che proibisce ogni contatto tra i suoi funzionari e l’Unwra, l’agenzia dell’Onu di sostegno ai rifugiati palestinesi: «Esortiamo il governo di Israele a lavorare con i partner internazionali, tra cui l’Onu, per garantire la continuità delle operazioni», si legge in una dichiarazione congiunta di Londra, Parigi e Berlino, pubblicata dal governo britannico. Israele non intende dare seguito a queste sollecitazioni specie dopo le testimonianze degli ostaggi che raccontano di essere stati tenuti prigionieri nelle strutture dell’Unrwa. Ad esempio, la cittadina israelo-britannica Emily Damari era tenuta in ostaggio da Hamas in una delle strutture dell’Unrwa. Lo ha dichiarato sua madre Mandy, in un colloquio con il primo ministro britannico Keir Starmer che ha ringraziato «per l’aiuto fornito per riportare Emily a casa». «Hamas ha tenuto Emily nelle strutture dell’Unrwa e le ha negato l’accesso alle cure mediche dopo averle sparato due volte», ha raccontato Mandy Damari a Starmer. «È un miracolo che sia sopravvissuta e adesso dobbiamo portare aiuti agli ostaggi rimasti» nella Striscia di Gaza, ha aggiunto la donna. La direttrice delle comunicazioni dell’Unrwa Juliette Touma ha dichiarato in videoconferenza con i giornalisti accreditati dalle Nazioni Unite a Ginevra: «Le nostre squadre continuano a prestare servizio nonostante l’impatto che questo conflitto ha avuto su di loro e sulle loro famiglie. Siamo impegnati a rimanere e a prestare soccorso a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est». Infine, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha parlato della prossima missione italiana a Rafah: «Stanno arrivando i nostri carabinieri a Rafah quindi io spero di poterli incontrare ad Ashdod a inizio febbraio quando andrò ad accogliere le navi italiane che portano beni alimentari e non con i 15 tir del progetto Food for Gaza».