2025-04-16
Nordafricano violenta minorenne. Donna sequestrata da un kosovaro
Il luogo della violenza a Busto Arsizio (Ansa)
A Busto Arsizio una ragazzina peruviana stuprata da un magrebino conosciuto online, che poi si scaglia contro gli agenti. A Padova un incubo durato ore per un’albanese: era una «punizione» premeditata.Marito e moglie freddati al Pigneto: per gli inquirenti sarebbe un ennesimo episodio della «guerra delle grucce», la faida tra clan orientali per il monopolio commerciale.Lo speciale contiene due articoliDue episodi distinti, in città distanti, ma accomunati dalla stessa dinamica: l’inganno, la sopraffazione, la violenza. In meno di 48 ore una donna e una minorenne sono finite nelle grinfie di stranieri che sembrano aver pianificato con cura le aggressioni. A Busto Arsizio, nel Varesotto, la vittima è una ragazzina peruviana di 14 anni. Aveva conosciuto online un giovane nordafricano di 21 anni residente a Rozzano. Con lui aveva scambiato messaggi per mesi. E l’uomo, ha riferito la ragazzina agli investigatori, si era mostrato molto gentile. Poi l’incontro, lunedì sera. Una passeggiata. E la situazione è cambiata. Lui la conduce in una zona isolata, nelle vicinanze della stazione ferroviaria. Un’area abbandonata e degradata. Una fascia di terreno costeggiata da capannoni in disuso e vegetazione cresciuta senza controllo. Un’area da anni segnalata per il degrado e l’assenza di illuminazione, frequentata da senzatetto e da tossicodipendenti che cercano un rifugio lontano da occhi indiscreti. Secondo quanto avrebbero accertato gli investigatori, lì avrebbe abusato della ragazzina. Le urla hanno attirato l’attenzione di una residente, che ha chiamato le forze dell’ordine. La polizia locale è intervenuta immediatamente, proprio mentre l’aggressione era ancora in atto. Il nordafricano, infatti, è stato arrestato in flagranza. Secondo la ricostruzione avrebbe anche opposto resistenza all’arresto e si sarebbe mostrato molto aggressivo con gli agenti, costretti a chiamare rinforzi. Ora si trova in carcere, su disposizione del gip, in attesa dell’interrogatorio di garanzia. Per la ragazza i medici hanno formulato una prognosi di 50 giorni e attivato un percorso di sostegno psicologico. Il «massimo della pena» è stato chiesto da Laura Ravetto, responsabile del Dipartimento pari opportunità della Lega: «È ora di finirla con il finto femminismo di sinistra e affrontare il problema di un retaggio culturale che non appartiene all’Occidente. C’è ancora qualcuno che ha il coraggio di parlare di ius soli?». Mentre per Roberto Calderoli, senatore della Lega e ministro per gli Affari regionali e le autonomie, «purtroppo stiamo assistendo a un aumento vertiginoso di casi di violenza sessuale su bambine. Sempre più piccole. Cinque giorni fa il caso dell’undicenne aggredita a Mestre da uno stupratore seriale, con all’attivo una lunga serie di episodi di violenza sessuale, eppure libero di colpire ancora. Ora il caso della quattordicenne stuprata a Busto Arsizio». Secondo Calderoli, «questi due casi, che rappresentano la punta dell’iceberg, confermano la necessità di ripensare seriamente alla mia storica proposta di una castrazione chimica, una misura temporanea e con effetti reversibili, per questi soggetti patologici, seriali». Una proposta presentata da Calderoli durante ogni legislatura, «ma», ricorda il leghista, «mai calendarizzata o discussa». Che ora rilancia: «Di fronte a queste continue violenze sessuali quotidiane indignarsi non basta, servono risposte vere e servono subito. Per questo auspico che il Parlamento si impegni a discutere e votare una proposta di legge per introdurre la castrazione chimica almeno per i recidivi». Il secondo episodio è accaduto a Padova. La vittima è una donna albanese di 37 anni. Una telefonata improvvisa, una voce sconosciuta le dice che il figlio è in pericolo. Lei scende in strada. Lì ad attenderla c’era un kosovaro di 36 anni appena uscito di prigione, irregolare sul territorio italiano e con precedenti penali e condanne per furti, resistenza a pubblico ufficiale e reati in materia di immigrazione clandestina. Aveva appena scontato una pena di 10 mesi e, venerdì scorso, appena ha messo piede fuori dall’istituto di pena ha contattato la sua preda. Mostrandole una pistola costringe la donna a seguirlo. La porta prima in un appartamento, disabitato, in zona Palestro, dove è rimasta sequestrata per alcune ore prima di essere trasferita in un’altra casa, poco distante, dove si sarebbe consumata la violenza. Secondo le dichiarazioni della donna il kosovaro l’avrebbe trattenuta con la forza e, dopo aver assunto della cocaina, l’avrebbe stuprata, sempre sotto la minaccia dell’uso dell’arma, per circa due ore. Quando la vittima ha ricevuto sul suo cellulare una telefonata del figlio ha scoperto che il ragazzo non stava correndo alcun pericolo. A quel punto è riuscita a liberarsi e a fuggire. Gli agenti intervenuti l’hanno accompagnata in ospedale, dove è stata confermata la violenza subita. Ed è a questo punto che è emerso un altro aspetto particolarmente inquietante. L’aggressione era stata pianificata. Da un mandante. L’indagato, hanno scoperto gli investigatori, avrebbe agito con brutalità su indicazione di un amico albanese che gli aveva chiesto di dare una «lezione» alla donna per vendicarsi di un vecchio torto. Per un paio di giorni gli investigatori hanno setacciato diverse aree della città, riuscendo infine a individuare l’appartamento in cui si nascondeva il kosovaro. Ieri mattina l’irruzione. L’indagato, accusato di violenza sessuale aggravata e sequestro di persona, era pronto a lasciare l’Italia e aveva già la valigia pronta, posizionata davanti alla porta d’ingresso. Il presidente della Regione Luca Zaia chiede tolleranza zero: «Una violenza intollerabile, un atto di barbarie che ci lascia sgomenti. Ringrazio le forze dell’ordine per la rapidità con cui hanno assicurato alla giustizia questo criminale. Ora ci aspettiamo una pena esemplare». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nordafricano-violenta-minorenne-busto-arsizio-2671775968.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="esecuzione-a-roma-e-mafia-cinese" data-post-id="2671775968" data-published-at="1744760579" data-use-pagination="False"> Esecuzione a Roma: è mafia cinese Li ha attesi sul pianerottolo. Sapeva dove abitavano e anche l’orario in cui sarebbero rientrati. Un piano perfetto. Una vera e propria esecuzione. Fredda. Lucida. E, secondo gli investigatori, «mafiosa». Sei colpi di pistola, uno raggiunge la testa dell’uomo, uno quella della moglie. Ma questa volta la mafia che ha colpito parla cinese. E ha lasciato due cadaveri, Zhang Dayong, 53 anni, e sua moglie Gong Xiaoqing, 38, stesi in una pozza di sangue a due passi dal Pigneto, quartiere della movida romana. È il primo segnale, secondo gli inquirenti, che la cosiddetta «guerra delle grucce», la faida tra clan cinesi per il monopolio della logistica e dell’abbigliamento, ha raggiunto anche la capitale. Si era combattuta a Prato, con violenze, aggressioni, tentati omicidi, attentati incendiari, a Firenze e anche a Madrid e a Parigi. Le imprese colpite sono considerate collegate tra loro. In Toscana il mercato si è assottigliato, molte aziende sono andate in crisi e stanno abbandonando le aree industriali. Un clima nel quale le organizzazioni criminali sembrano sguazzare. E adesso anche Roma sembra potersi trasformare in un campo di battaglia. E non è un caso che a finire sotto i colpi del killer sia stato proprio Dayong, detto Asheng. Un nome che ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Firenze non è nuovo: era comparso nelle carte dell’inchiesta «China Truck», l’indagine che nel 2018 ha svelato l’esistenza di un’organizzazione mafiosa cinese con ramificazioni in tutta Europa. Un sistema criminale spietato, strutturato come una holding: trasporti, logistica, sfruttamento del lavoro, riciclaggio. Tutto in mano a pochi nomi. Uno su tutti: Zhang Naizhong, accusato di essere il boss dei boss (assolto dall’accusa di usura, ma il processo per mafia è ancora in corso), che da circa un anno sembra essere sotto attacco. E Dayong era considerato uno dei suoi luogotenenti. Era imputato per tentata estorsione, mentre la moglie, secondo i primi accertamenti, aveva un precedente per gioco d’azzardo. Alle 23.10 di lunedì un uomo con il cappuccio entra nel condominio di via Prenestina. Aveva citofonato poco prima a caso, spacciandosi per un fattorino. Qualcuno gli apre. Il killer aspetta pochi minuti e quando i due varcano l’ingresso apre il fuoco. Sei colpi partono da una pistola di piccolo calibro. Precisi. Letali. Quando i carabinieri arrivano la scena è quella di un’esecuzione. Il portone spalancato, il sangue sul pavimento, le borse della donna a terra, i cellulari ancora accesi. Il sicario, invece, si è dileguato. Non è chiaro se ad attenderlo fuori ci fosse un complice con una moto o con un’auto. Le telecamere condominiali non funzionano. Ma sulla strada (nella stessa zona alcuni anni fa si è verificato un altro duplice omicidio, quello di Zhou Zheng, un papà che quando il killer ha sparato aveva la figlia Joy in braccio) ce ne sono altre. Gli investigatori sono partite da quelle. E dal passato di Dayong, più volte intercettato e pedinato. Aveva contatti con fornitori e trasportatori. Gestiva i flussi della logistica. Controllava interi comparti dell’abbigliamento. Ed era finito nel mirino anche per il suo ruolo in un altro snodo chiave dell’organizzazione: la riscossione del pizzo tra le aziende cinesi. Sulla scrivania dei pm, in contatto con gli inquirenti di Firenze e di Prato, ci sono già le mappe della criminalità cinese in Italia. Una galassia complessa e difficile da decifrare.