2020-04-30
Nonostante i cervelloni, prima della fine di maggio non ci sarà nessuna app
Decreto pronto, ma il cantiere di Immuni è ancora in alto mare. Ora toccherà a Google e Apple ottimizzare il sistema. E restano da sciogliere i nodi dei dati e della privacy.C'è un decreto del governo, ma l'applicazione per gli smartphone che dovrà tracciare i malati di Covid-19 in Italia non c'è ancora. Dopo una misteriosa task force di 74 persone lanciata dal ministro Paola Pisano (su cui vuole vederci chiaro anche il Copasir), dopo la scelta della società Bending spoons per la produzione, ora c'è da attendere il lavoro di Apple e Google che stanno intervenendo sui sistemi Ios (Iphone) e Android (Samsung, Huawei, ecc.) per ottimizzarli. È un lavoro necessario quello dei due colossi statunitensi, perché senza una sincronizzazione tra i dispositivi, Immuni (o come si chiamerà l'app, che potrebbe anche cambiare nome) non servirà a nulla. Ma ci sono altri aspetti che rischiano di rallentare ancora di più il lavoro di tracciamento nella fase di riapertura dell'Italia. Riguardano la privacy e i sistemi con cui il governo gestirà i dati. «Seppure è indubbio che ci siano finalmente indicazioni interessanti e soprattutto condivisibili in materia di privacy, ciò che balza subito agli occhi è che nella bozza del decreto non venga ancora specificato con la dovuta chiarezza che ci saremmo aspettati il modello di gestione dei dati dei cittadini che il governo intende utilizzare, ovvero se questo sia centralizzato o decentralizzato. In termini di privacy, questa scelta fa molto differenza», dice alla Verità Stefano Mele, avvocato specializzato in diritto delle tecnologie, privacy e cybersecurity. «Infatti» continua «seppure gli articoli della bozza non chiariscano in maniera netta il dove i dati dei cittadini saranno conservati, se sui sistemi del Ministero della salute, come viene sottolineato all'articolo 5, o anche sui dispositivi degli utenti, come specificato in un passaggio del testo, la lettura complessiva dell'articolo parrebbe far emergere che la scelta del governo sia ricaduta sul modello annunciato da Apple e Google. Quindi, ci troveremo di fronte a un modello decentralizzato, dove i dati saranno conservati in una prima fase all'interno degli smartphone dei cittadini e, solo nel caso in cui si risulti contagiati, verranno caricati sulla piattaforma governativa per permettere di avvisare le perone che sono entrate in contatto». Non solo. «Per di più, il ministro Pisano proprio oggi (ieri, ndr) in audizione ha rivelato che la piattaforma sarà gestita da Sogei, ovvero una società pubblica controllata dal Mef. Nel decreto, però, si indica chiaramente che la piattaforma sarà istituita presso il ministero della Salute. Come si relazionano le due affermazioni? A questo punto, forse, Sogei realizzerà e gestirà la piattaforma, che verrà però fisicamente realizzata all'interno del ministero della Salute?». Per Mele i problemi non finiscono qui. «Un po' di chiarezza non guasterebbe. Nella bozza si parla di dati personali, ma anche di dati pseudonomizzati e di dati anonimi. Da avvocato specializzato in questo settore, da ciò che leggo mi sembra di percepire, ancora una volta, un po' di confusione e sopratutto di mancanza di un indirizzo chiaro su come verranno gestiti i dati personali dei cittadini». A lato quindi della tutela dei dati personali, c'è - oltre ai misteri su quanti test sanitari saranno fatti e come - un tema legato alla tecnologia di Ios e Android. I problemi di fondo sono due: il bluetooth e il tempo in cui le applicazioni restano aperte sugli smartphone. Per funzionare l'app dovrà interagire con i dispositivi di tutti i cittadini. Su questo aspetto esistono problemi di trasmissione tra Ios e Adroid proprio tramite bluetooth, che ora si sta cercando di risolvere. Non solo. Su Iphone le app spesso si spengono in automatico dopo un po' di tempo, cosa che non dovrà accadere. Anche su questo stanno lavorando nella Silicon Valley. A quanto pare, ma non ci sono certezze sulle date, il lavoro dovrebbe terminare tra il 10 e il 15 maggio, di sicuro in ritardo sulla tabella di marcia dell'Italia che da lunedì prossimo, il 4, aprirà alla fase 2 dopo due mesi di lockdown. Non a caso, proprio ieri è stata fornita una prima versione beta per poter iniziare già a lavorare. È probabile che anche per questo motivo domenica sera il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non ne abbia fatto cenno: non c'è al momento una data precisa per presentarla. C'è insomma il lavoro dei giganti dell'high tech dietro le preoccupazioni che ieri Vittorio Colao, a capo della task force sulla riapertura dell'Italia, ha consegnato in un'intervista al Corriere della Sera. L'app servirà «se arriva in fretta, e se la scarica la grande maggioranza degli italiani. È importante lanciarla entro la fine di maggio; se quest'estate l'avremo tutti o quasi, bene; altrimenti servirà a poco». E poi ha aggiunto «che è stato scelto il sistema centralizzato Apple-Google». Scaricare l'applicazione sarà solo volontario. E «il mancato utilizzo», come si legge nel decreto, «non comporta alcuna limitazione o conseguenza in ordine all'esercizio dei diritti fondamentali dei soggetti interessati ed è assicurato il rispetto del principio di parità di trattamento». Ma quanti la scaricheranno? Basterà il 25% della popolazione? In ogni caso Bending spoons, che ha tra i suoi soci anche investitori stranieri (10%), non dovrebbe conservare i dati. Ma il Copasir vuole vederci chiaro. Per questo sia il ministro Pisano sia il commissario Domenico Arcuri saranno ascoltati il 5 maggio. Vogliono capire le scelte che sono state fatte. Il lavoro della task force, al momento, è stato secretato.