2020-08-16
Non solo BTS. La Corea alla conquista dell'Italia con serie tv e prodotti di bellezza
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Musica, televisione, moda: l'Oriente sembra aver conquistato anche gli italiani che guardano con sempre più interesse ai prodotti provenienti dal Sol Levante. Il fenomeno dei Bangtan Boys, la boyband che ha portato il kpop nel mondo. Durante il lockdown il loro concerto virtuale ha battuto ogni record vendendo biglietti per 20 milioni di dollari. Dieci serie tv da vedere per avvicinarsi al mondo dei k-drama. Lo speciale contiene tre articoli e gallery fotografiche. Quando si parla di Corea del Sudnon si può fare a meno di pensare ai Bts, il gruppo k-pop che ha riscritto le regole della musica a livello mondiale riportando in auge la formula delle boyband anni Novanta. Questi sette ragazzi, tutti under 30, oggi sono tra gli artisti più pagati e apprezzati a livello globale. Non solo scalano le classifiche con una facilità che non si vedeva dai tempi dei Beatles, ma ogni cosa che toccano si trasforma in oro andando immediatamente sold out. È il fascino del lontano e dello sconosciuto. Se un tempo le donne prediligevano i tratti latini negli uomini e gli uomini guardavano alle orientali con un certo fascino, oggi la medaglia si è rovesciata ed è proprio il gentil sesso a cercare gli occhi a mandorla e lo stile che contraddistingue gli uomini dalla Corea. La musica è il traino di questa ondata coreana in Italia, con i Bts come motore del fenomeno con le Army ( come vengono definite del fan del gruppo, ndr.) che organizzano su e giù per tutta la Penisola incontri in cui danzano in gruppo imitando le coreografie del gruppo o festeggiano compleanni e anniversari dei loro beniamini a colpi di bubble tea. Sdoganato il merchandise ufficiale del gruppo, tra cui la famosa «army bomb», una bacchetta in grado di illuminarsi e cambiare colore in base alla canzone che si sta ascoltando, anche i gruppi musicali conosciuti nel nostro Paese stanno aumentando a vista d'occhio. Tra questi è impossibile non menzionare le Blackpink, quartetto tutto al femminile che gode di una fama mondiale pari quasi a quella dei Bts, ma anche gli Exo, gli Shinee, gli Stray Kids e le Red Velvet. Insomma, più che una moda passeggera sembra una vera e propria mania destinata solo a espandersi. Tanto che anche la moda sta subendo influenze importanti dal mondo coreano. Sempre più giovani, sia uomini che donne, guardano allo stile dei gruppi di idol e ne emulano i look dalla testa ai piedi. Spazio quindi ai capelli che cambiano colore in base all'umore o al trend del momento, con una gamma di colori che passa dall'azzurro (come quello sfoggiato più volte da Kim Taeyungh, V dei Bts) al rosso fuoco (di Jungkook). Per quanto riguarda le ragazze, gli occhi si truccano con colori cangianti, glitterati, sui toni chiarissimi del beige e una lunga linea di eyeliner nero o marrone, la pelle diventa il punto centrale di tutto il trucco: bianchissima e senza imperfezioni. Per quanto riguarda gli abiti, la parola d'ordine è osare: stampe diverse, colori che non si abbinano l'uno con l'altro, casacche ampie portate un po' cadenti e legate con cinturoni o gonne e pantaloncini vertiginosamente corti. Insomma, tutto è il contrario di tutto: purché sia super accessoriato, con braccia e orecchie così pieni di ninnoli. A guardare con attenzione al nuovo pop è anche l'alta moda. Eh sì, perché se pensate che gli abiti che queste star indossino siano di sconosciuti brand sudcoreani, vi sbagliate e di grosso. Gucci, Saint Laurent, Chanel, Valentino e Givenchy: tutti guardano al k-pop con attenzione e fanno a gara per vestire gli idol del momento. E l'impatto delle vendite è così imponente da aver spinto nient'altri che Mr. Kim Jones a vestire i sette Bangtan Boys in completi customizzati firmati Christian Dior durante il loro ultimo tour. Sembra passata un'eternità da quando per la prima volta in Italia arrivava la hit di Psy, Gangnam Style con il suo balletto così tamarro e surreale da sembrare quasi una presa in giro. Quello, in realtà, era solo il primo passo di una pianificazione della Corea del Sud a livello globale per farsi conoscere al mondo e mostrare quando il Paese sia diverso dal suo gemello al Nord e cool al punto da far invidia al più famoso e gettonato Giappone. Se negli anni Novanta e all'inizio del 2000 rimaneva l'America il fulcro e il centro dell'attenzione mediatica, con questi nuovi anni Venti il futuro dell'intrattenimento sembra pronto a cambiare sponda e passare a Oriente in tutti gli ambiti. Facile parlare del cinema, dopo la vittoria schiacciante di Bong Joon-ho e Parasite agli ultimi Oscar, un po' meno sviluppare un discorso che ruoti attorno alle centinaia di serie tv coreane che stanno spopolando anche nel nostro Paese grazie a Netflix e servizi come Viki. Lo streaming è l'anello di congiunzione tra la nostra cultura e quella coreana, fino a qualche anno fa così distante dai nostri canoni di bellezza e dal nostro stile di vita. Eppure, a oggi, The King: the Eternal Monarch e Itaewon Class sono due delle serie tv più cercate sul colosso Netflix, al punto da superare, per interesse e iterazioni online, la più famosa Casa di Carta spagnola. Certo, rimane la barriera linguistica, ma a cosa servirebbero i sottotitoli se non ad abbattere un confine, ormai divenuto così sottile da essere quasi invisibile? Ad avere un enorme impatto a livello economico in Italia, già da qualche stagione, è il comparto bellezza. I prodotti coreani sono sempre più richiesti. Maschere in tessuro, prodotti per la cura della pelle, creme con protezione solare anche in inverno sembrano ormai diventati parte della routine beauty anche di molte italiane che ricercano la bellezza senza tempo orientale. Insomma, se un tempo era l'America a dettare le regole dei trend del momento, sembra proprio che il periodo d'oro a stelle e strisce sia sull'onda del declino a discapito di un mondo così lontano dal nostro che non sembra quasi vero e di tradizioni che piano piano si stanno ritagliando uno spazio anche nello stile di vita Occidentale.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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