2020-04-16
Non si può essere pro vita a targhe alterne
Il giurista Sabino Cassese esalta il valore «universalmente alto» dell'esistenza umana, cui subordinare le esigenze dell'economia. Per coerenza, dovrebbe condannare aborto ed eutanasia. Ma quando la Consulta ha aperto alla «dolce morte», gongolava.Riaprire significa rischiare. Frase a triplo taglio perché l'imprenditore pensa alla terrificante traversata economica nel deserto del lockdown, il virologo intuisce il possibile ritorno a picchi da paura e il filosofo guarda quello spiraglio con la diffidenza del gatto tentato dalla trappola dello Sheba al tonno. Per Sabino Cassese, 84 anni, venerato maestro nel senso arbasiniano del termine, invece il rischio è uno solo, biblico, definitivo. Morire ancora. Con un'unica risposta conseguente: «Bisogna salvaguardare la vita umana».Lo spiega in una bella intervista al Foglio, lo ribadisce a ogni risposta, conficca nella nuda terra il vessillo della vita come bene primario con l'enfasi dei Marines che innalzavano la bandiera a stelle e strisce a Iwo Jima. «L'economia viene dopo», sentenzia commentando due editoriali, del New York Times e dell'Economist, sulla domanda della settimana che in fondo è la domanda di sempre: «Quanto vale la vita umana?». È un assoluto o un relativo? Una terapia intensiva vale un blocco economico? Morire di virus è circostanza più nobile che morire di fame? L'interrogativo è ragionevole. Qui il calvinismo anglosassone tentenna, dubita, sarebbe per il consueto «business as usual» scritto sulla porta del barbiere di Londra sotto le bombe di Hitler. In fondo come diceva John Maynard Keynes «a medio termine saremo tutti morti» (se avesse messo il copyright gli eredi sarebbero miliardari, sempre che non lo siano già), quindi fare flanella in casa non ha senso. Il dibattito diventa serio perché Emmanuel Macron è pronto a riaprire, Boris Johnson si è rimesso in sesto e scalpita, frau Angela Merkel s'è inventata il German flu (l'influenza tedesca, poi vai a distinguere) per non spaventare il popolo e Donald Trump vorrebbe cacciare gli epidemiologi di corte che tengono a freno il cavallo da tiro dell'economia americana. Tutti pronti allo sparo dello starter, ma il quesito resta in piedi e Cassese - king maker, emerito della Consulta, sussurratore ascoltato all'orecchio del capo dello Stato - ribadisce: «La risposta che stiamo implicitamente dando è che il valore della vita è universalmente tanto alto da essere disposti, pur di salvaguardarlo, a fare tutti un passo indietro in termini di benessere. Tutti gli interventi in corso rispondono allo stesso modello che passa attraverso le frontiere: all'abbandono del protezionismo si sostituisce il precauzionismo». Al di là della battuta raffinata, l'imprescindibilità della vita umana, secondo Cassese, si staglia come esempio planetario di civiltà. Nessun negoziato, nessun fatturato. La prima tavola della legge non si tocca. Una posizione assimilabile a quella pro life di Simone Pillon, peraltro metabolizzata dal club degli Intelligenti senza il consueto berciare. Bene eccellenza, direbbe il cattolico che giocava a pallone dopo il catechismo, ma allora lei ha la memoria corta. E, quel che è peggio, selettiva. Perché l'assunto ne pone altri e perché la scena della bandiera sembra lievemente farlocca proprio come quella di Iwo Jima, fatta rifare da Robert Capa in favore di grandangolo. Se oggi la vita vince il braccio di ferro con l'economia perché ieri lo ha perso con la società, con la morale, con la politica? Non più tardi di un anno fa la Corte costituzionale, fra gli applausi fragorosi di Cassese, pose la pietra angolare della legge sul fine vita, un assist all'eutanasia. Allora il valore della vita umana non era così alto e il passo indietro non fu fatto.Così si intuisce con malinconia che la vita è l'asset primario, ma a giorni alterni e non da oggi. Se entra dalle finestre dei commissari dell'Ilva di Taranto è un bene intangibile, si spengano i forni in attesa di bonifiche su bonifiche su bonifiche. Se invece fa capolino sugli scranni del Parlamento è un optional molto negoziabile. Vedi per l'aborto, per l'utero in affitto, per quelle che il progressismo galoppante definisce «sfere di autodeterminazione della persona». Quante altre volte la vita non vale davanti alla scienza. Quante volte quella che si fa chiamare giustizia non si ferma neppure di fronte al pianto di una mamma e un papà che chiedono di non uccidere il figlio malato. «Dio non stacca la spina», disse papa Francesco davanti alla fotografia di Charlie Gard, poi di Alfie Evans. E invece il tribunale degli uomini staccò senza che Cassese culturalmente avesse nulla da obiettare. La vita è un asset primario, ma a giorni alterni. Ed è curioso che un fine giurista la utilizzi come un metronomo per dare i tempi di uscita dal virus. È un discorso simile a quello di Jürgen Habermas, filosofo sommo, che sulla fase 2 della pandemia spiega a Le Monde: «È la sfida etica più a rischio di portare nocumento all'intangibilità della vita umana. Bisogna resistere, resistere, resistere», neanche fosse un procuratore capo. Vista con il microscopio è la quintessenza del precauzionismo, a occhio nudo quella del paraculismo.
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Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
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