2025-02-27
Non serve Trump: l’Europa si sabota da sola
Agiamo in modo confuso dal punto di vista politico ed economico, figurarsi se possiamo coordinare battaglioni.Di fronte all’incalzare della questione Ucraina, l’Europa, in modo sparpagliato più che mai, cerca di dare una risposta su una possibile alleanza militare ma lo fa balbettando, gemendo, in alcuni casi piagnucolando e va nella direzione sbagliata. Tutti dicono che ci vuole la difesa europea, ma ognuno va per conto suo facendo finta di andare in nome e per conto dell’Europa che non c’è. Nel frattempo che l’America di Trump e la Russia di Putin vanno avanti con molta concretezza (se poi elaboreranno proposte eque o meno lo vedremo) l’Europa, con un tempismo proprio di un bradipo, il 6 marzo si riunirà, ma senza prendere decisioni - non sia mai - e per il 19 marzo la Commissione europea, capeggiata con il piglio di una farfalla dalla nostra beneamata Ursula, si è impegnata a presentare il libro bianco sulla questione della difesa comune europea. Sintesi: i grandi del mondo discutono e cercano accordi per risolvere la questione russo-ucraina; Emmanuel Macron - che in Francia ha perso, oltre ai voti, anche qualsiasi credibilità - vola da Trump e tutta la notizia sta nel volo di andata e di ritorno perché di ciccia non ne è venuta fuori neanche un grammo, il volo è stato preceduto da una inutile e anche velleitaria riunione convocata dallo stesso Macron a Parigi nella quale, questa volta sulla terra e non in volo, si è arrivati a zero come nella trasvolata atlantica; ci sarà probabilmente una riunione a Londra che, nonostante non appartenga più all’Europa, si affida, sembra, nelle mani del primo ministro britannico Keir Starmer, per l’iniziativa sulla la difesa comune. Capite bene che il contenuto e le date delle prossime riunioni europee, e questi voli e riunioni varie, ci dicono con chiarezza che la disgregazione dell’Europa non è imputabile a Trump ma all’Europa stessa che, anche in questa occasione, sta dimostrando divisione, incertezza e lentezza. Tre caratteristiche per le quali una grande potenza economica come l’Europa può rimanere un nano dal punto di vista della politica internazionale. Antonio Missiroli, senior advisor dell’Ispi, che è stato assistente al Segretario generale della Nato, ha affermato, in una intervista a QN, che: «L’esercito europeo è uno slogan». Ha poi aggiunto: «Quando fu creata la Comunità europea di difesa nel 1950, poi fallita, il Trattato prevedeva un esercito europeo, nel dettaglio… era un esercito europeo, ma sotto il controllo americano», cioè della Nato. Ha poi ricordato che i trattati della Ue non prevedono la difesa comune della quale tutti si riempiono la bocca ma che poi, da vent’anni, non vede nessun passo concreto in avanti. Ha inoltre aggiunto che: «Gli europei cercheranno di costruire all’interno della Nato una linea di comando europea che possa servirsi del quartier generale dell’Alleanza non disponendone di uno europeo». Le parole citate provengono da una fonte autorevole, uno studioso riconosciuto e con grande esperienza. Ma non occorre essere esperti come lui per capire che quanto indicato come via europea è un percorso ad ostacoli che - stante la situazione dell’organizzazione istituzionale dell’Europa stessa - è molto complesso, se non impossibile, che veda la luce. Qualsiasi risoluzione di questo livello richiede l’unanimità del voto e poi, eventualmente, un accordo con la Gran Bretagna. In alpinismo si chiamerebbe scalata di sesto grado in artificiale, la più difficile in assoluto. Del resto, non c’è da meravigliarsi perché, quando un’unione monetaria di più Stati non ha le basi per divenire un’unione politica, è diretta conseguenza la sua difficoltà, se non impossibilità di addivenire a delle decisioni - come la difesa comune - che presuppongono una qualche forma di unione politica vera. Il che non vuol dire, ovviamente, creare una sovranità europea che liquidi le sovranità nazionali, ma significa una unione di Stati che sulle questioni fondamentali (difesa, politica estera, debito comune) sia in grado di creare, sia pure con ritardo di decenni, ciò che è necessario perché possa definirsi tale. C’è un’altra questione che potrebbe sembrare lontana da questa ma che, invece, è molto vicina ed è quella del debito comune europeo del quale si parla anch’esso da vent’anni - lo ha riproposto Mario Draghi recentemente parlando a Bruxelles - che permetterebbe all’Europa tutta una serie di investimenti, non dell’oggi per domani ma del dopodomani per il futuro, in modo da poter attuare interventi di politica economica comune e di politica commerciale comune attualmente affidata ai dazi mascherati dall’Iva e alle sanzioni: strumenti burocratici, molto costosi, e spesso inefficienti, come si è visto nel caso della Russia. Avremmo dovuto ridurre la Russia sul lastrico e invece sul lastrico ci siamo ritrovati noi con fratture multiple, ecchimosi e fratture scomposte. Naturalmente un debito comune richiederebbe maggiore democrazia all’interno dell’Europa e delle sue istituzioni a partire, solo ad esempio, dall’abolizione del voto all’unanimità e magari dall’elezione diretta del presidente della Commissione. Nel frattempo che gli Stati Uniti e la Russia si spartiscono le terre rare dell’Ucraina a noi, se ci va bene, nella spartizione toccherà accontentarsi del terriccio o concime per piante da vaso per adornare, con dei gerani, le stanze della Von der Leyen e degli altri commissari europei. Assieme al terriccio potrà essere usato anche lo stallatico, o letame, prodotto della fermentazione delle deiezioni degli animali da allevamento. Come risultato direi che non ci possiamo lamentare. Ecco, il geranio potrebbe diventare il nuovo simbolo dell’Unione europea.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)