2022-10-13
«Non scapparono dal sisma. Che paghino!»
Sentenza choc del giudice dell’Aquila che doveva valutare i risarcimenti per il crollo dei palazzi dopo le scosse del 2009. Il magistrato sostiene il concorso di colpa perché i cittadini non fuggirono, rassicurati dalle comunicazioni ufficiali. Quindi rimborsi tagliati del 30%.Non sono usciti di casa dopo due forti scosse di terremoto, che seguivano uno sciame sismico in atto da mesi? Ebbene, se sono morti è un po’ anche colpa loro. Questo, in buona sostanza, è quanto ha stabilito il tribunale dell’Aquila, alla fine di un processo in sede civile che doveva valutare i risarcimenti per il crollo dei palazzi nell’area della Villa comunale e di via di Campo di Fossa, nel centro del capoluogo abruzzese, dove persero la vita 24 dei 309 morti causati in totale dal sisma del 6 aprile 2009. Forti di accurate perizie sulla sicurezza degli edifici crollati, i familiari delle 24 vittime avevano portato in giudizio i due ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture e trasporti, la Prefettura, il Genio civile e il Comune. A sorpresa, invece, il giudice Monica Croci ha deciso che i morti sono in parte responsabili di quanto è loro accaduto: «È fondata l’eccezione di concorso di colpa delle vittime», ha scritto nella sentenza, «costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile». Questo concorso di colpa, secondo il giudice, «può stimarsi nella misura del 30 per cento». In definitiva, quindi, i risarcimenti per le 24 morti dovrebbero ridursi di quasi un terzo. Inevitabilmente destinata ad aprire polemiche, la sentenza choc di ieri è stata duramente contestata dagli avvocati delle famiglie, che hanno anche annunciato una serie di ricorsi in appello, anche perché in nessuna delle decisioni fin qui assunte dal tribunale dell’Aquila sui crolli per il sisma di 13 anni fa era mai stato posto il problema del comportamento delle vittime. «È una sentenza che ci meraviglia, mi viene solo da dire che è vomitevole», ha dichiarato ieri Maria Grazia Piccinini, avvocato e madre di Ilaria Rambaldi, una studentessa di 25 anni morta nei crolli di via Campo di Fossa. «Da dove sarebbe venuto questo concorso di colpa?», protesta, «e come si può dire, oggi, che era necessario uscire durante le scosse, quando tutti ricordano le rassicurazioni contrarie?».In effetti, l’aspetto forse più paradossale della sentenza aquilana è che la giustizia italiana smentisce sé stessa. Nel novembre 2015, infatti, la Cassazione ha condannato in via definitiva a due anni di reclusione l’allora vicecapo della Protezione civile, Bernardo De Bernardinis, ritenendolo responsabile di aver causato la morte di alcune delle vittime del sisma dell’Aquila proprio per averle indebitamente rassicurate. È vero che sette anni fa il controverso processo penale contro i membri della «Commissione grandi rischi» terminò con l’assoluzione di quasi tutti gli imputati. De Bernardinis fu l’unico condannato, per omicidio colposo, perché - così si legge nella sentenza della Corte d’appello confermata dalla Cassazione - in un’intervista televisiva aveva dichiarato che lo sciame sismico in corso in quei giorni in Abruzzo era parte di «una fenomenologia normale dal punto di vista dei fenomeni sismici». Secondo i giudici, De Bernardinis avrebbe dovuto «considerare adeguatamente e quindi prevedere la possibilità che tali dichiarazioni potessero indurre nella popolazione, o quantomeno in alcuni cittadini, un abbassamento della soglia di attenzione e quindi una riduzione delle abitudini di autotutela in un momento in cui era possibile e quindi astrattamente prevedibile una evoluzione negativa della sequenza sismica in corso». Quella condanna colpiva una «comunicazione di contenuto inopportunamente e scorrettamente tranquillizzante», che nel 2009 aveva finito per indurre «taluni destinatari all’abbandono di consuetudini di comportamento autoprotettivo rivelatosi fatale». Anche per questo, oggi, l’avvocato Piccinini può a ragione contestare la sentenza del giudice Croci, ricordando che all’Aquila in molti, come sua figlia, «andarono a dormire alle 2 di notte solo perché si erano sentiti dire che più scossette c’erano, e più energia si scaricava: la verità è che furono rassicurati». La giustizia, insomma, deve decidersi: se i cittadini dell’Aquila sono restati in casa malgrado le scosse solo perché tranquillizzati dagli esperti, che proprio per questo sono stati condannati dai giudici penali, come può un giudice civile decidere oggi che quei cittadini hanno concorso alla propria morte perché invece avrebbero dovuto scappare di casa?Anche Wania Della Vigna, avvocato che ha seguito le cause intentate dai parenti delle vittime nei crolli della Casa dello studente e di altri fabbricati in via Campo di Fossa, sostiene che «la sentenza non ha una motivazione logica». E aggiunge che «il giudice si contraddice perché poi comunque condanna gli enti pubblici (proprietari degli edifici crollati, ndr), imputando loro l’obbligo di proteggere l’incolumità delle persone». Parole sagge sono venute anche dal sindaco di Norcia, un’altra città duramente colpita dal sisma del 2016: «In un evento come il terremoto», ha detto ieri Nicola Alemanno, «non credo si possa mai dare la responsabilità alle vittime, anche perché in quegli attimi quasi sempre prevale la paura, che ti fa adottare comportamenti che non sono mai in linea con la logica». Giudizio sacrosanto. Il problema è che a essere sempre più terremotata, purtroppo, è la giustizia italiana. Che la logica, spesso, non sa più neppure che cosa sia.
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