2019-09-03
Non c’è solo Anita. Altre in punta di piedi hanno combattuto per il Risorgimento
Nobildonne, popolane, intellettuali: tante donne si sono spese con grande coraggio, anche se la storia non ha reso loro merito.La Repubblica romana vede fra i suoi protagonisti uomini coraggiosi e insigni, importantissimi attori dell'epopea risorgimentale, che si sono dati una sorta di metaforico appuntamento nell'antica caput mundi. Non bisogna dimenticare, tuttavia, il ruolo che molte donne hanno rivestito in quel frangente; donne di ceti sociali diversissimi, di provenienze e nazionalità disparate, le quali hanno dato grande prova di loro stesse, del loro coraggio e della loro forza. Donne che sono passate alla storia, come Anita Garibaldi, Margaret Fuller, Cristina di Belgioioso, Colomba Antonietti; o sconosciute, che non hanno tramandato ai posteri i loro nomi, ma hanno combattuto per difendere i loro ideali.Costituita il 9 febbraio 1849 - sulla scia dei venti rivoluzionari che dal 1948, se non prima, soffiano sull'Italia e sull'Europa - la Repubblica sopravvivrà poco tempo, concludendosi in modo drammatico il 4 luglio dello stesso anno, sia a causa del diretto intervento dell'esercito francese, voluto dal presidente della Repubblica, Luigi Napoleone Bonaparte (futuro Napoleone III), sia indirettamente per la durissima repressione operata in tutta la penisola dalle potenze cattoliche. In ogni caso, però, essa lascerà un segno imperituro, anche di natura ideale. Sulla sua nascita hanno avuto grande incidenza il pensiero e l'azione di personaggi come Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi; il diffuso afflato libertario e unitario; nonché avvenimenti quali l'insurrezione di Palermo e Napoli contro i Borboni, la concessione degli Statuti in varie regioni d'Italia, la ribellione di Venezia, le Cinque giornate di Milano, la presa di posizione di Carlo Alberto, la dichiarazione di guerra all'Austria e la prima Guerra d'Indipendenza. Il fatto che papa Pio IX avesse dato, sulle prime, segni di simpatia per la causa risorgimentale, facendo poi una brusca inversione di marcia, è un ulteriore detonatore degli eventi successivi. I vari tentativi del pontefice di instaurare governi che conducessero a un ristabilimento della concordia non hanno infatti sortito nessun esito, anzi hanno aperto una grave crisi politica del papato stesso. La fuga di Pio IX nel 24 novembre del 1948 (rifugiatosi nella fortezza di Gaeta, sotto la protezione di Ferdinando II di Borbone), il violento scontro di potere, lo scioglimento delle Camere, le elezioni per l'Assemblea costituente nel gennaio 1949 (nonostante la scomunica) hanno quindi portato alla proclamazione della Repubblica romana. Il I articolo del decreto con cui essa viene istituita recita: «Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato romano». Fondata su idee democratiche di stampo mazziniano - alla cui base c'è il suffragio universale (maschile), la libertà di culto, l'abolizione della pena di morte - la Repubblica si rivela decisiva per traghettare Roma dalla terribile arretratezza in cui versa dalla fine del Rinascimento a una prima modernizzazione. Governata da un triumvirato costituito da Aurelio Saffi, Carlo Armellini e lo stesso Mazzini, attira folle di ardenti patrioti, fra i quali spiccano Garibaldi, tornato in tutta fretta dal Sud America con la moglie Anita, e Goffredo Mameli. Diversi, inoltre, sono i giornalisti, gli intellettuali italiani e stranieri. Fra costoro, c'è un'americana di nome Margaret Fuller, corrispondente del New York Tribune (da cui avrà origine il New York Times), la quale riporta gli accadimenti in vari reportage appassionati. Margaret, femminista ante litteram, è nata a Boston nel 1810 e si è affermata come giornalista. Spedita a 37 anni in Europa per fare un'inchiesta sui fermenti che scuotono il continente, nonché intervistare i grandi protagonisti del tempo, la Fuller ha conosciuto a Londra Mazzini, allora esule, e ne è diventata amica. Si è poi spostata a Roma, per studiare la nuova stagione apertasi con l'ascesa al soglio di Pio IX. Lì ha conosciuto il marchese Angelo Ossoli ( mazziniano convinto, anche se fa parte delle guardie pontificie), se ne è innamorata e ha avuto da lui un bambino, Angelino. Durante le settimane, i mesi della Repubblica, la Fuller partecipa attivamente agli eventi, così come Ossoli. Quella stagione di speranze, tuttavia, non è destinata a durare. L'Italia intera è in preda a fibrillazioni e sommosse che spaventano le nazioni europee, ben decise a stroncarle. Nel regno delle Due Sicilie continua la rivolta, per cui re Ferdinando II mette in moto una spietata repressione; in Toscana il Granduca fugge e viene proclamata la Repubblica. La preoccupazione delle potenze cattoliche aumenta, per cui si decidono interventi militari tesi a far cadere i nuovi regimi di Roma e della Toscana. La sconfitta piemontese di Novara, il successivo armistizio, la repressione dei moti di Genova, l'intervento di Radetzky, l'assedio di Venezia, l'avvento di Vittorio Emanuele II, la temporanea uscita dalla scena politica del regno sabaudo sono fattori che agevolano il compito dell'Austria. Essa riconquista Firenze, occupa la Toscana, rimette in sella Leopoldo II, poi invade Romagna e Marche, oltre ad assaltare Bologna. Ribadisce così la propria egemonia su buona parte dell'Italia centro-nord.Anche a Roma, la situazione si fa sempre più spinosa. A rappresentare una minaccia non c'è solo l'Austria, ma soprattutto la Francia, che intende mantenere il suo droit de regard su parte degli stati pontifici. Contravvenendo ai dettami della propria Costituzione, un corpo di spedizione guidato dal generale Oudinot sbarca quindi a Civitavecchia alla fine di aprile, promettendo comunque di rispettare il volere popolare. L'intenzione, però, è quella di occupare il Lazio, un'intenzione che provoca lo sbigottimento generale, visto che non è stato emanato alcun ultimatum. La verità che il futuro Napoleone III vuole far tornare il Papa per ragioni politiche ed elettorali. A questo si aggiunga che non desidera ulteriori competitor nell'area considerata di «propria» pertinenza. Quest'ultimo punto è addirittura esplicitato in una dichiarazione, secondo la quale «l'occupazione serve a mantenere la legittima influenza della Francia» ed «evitare l'intervento dell'Austria, della Spagna e di Napoli».Nel frattempo, 800 bersaglieri lombardi ( tutti volontari) al comando di Luciano Manara arrivano a Civitavecchia, riescono a sbarcare ad Anzio e si dirigono a Roma a tappe forzate, giungendo il 28 aprile. La capitale ha schierato quattro brigate, una delle quali è comandata da Garibaldi. La restante parte delle armate della Repubblica si trova in altre zone dello Stato. Il 30 aprile, Garibaldi con i suoi uomini, insieme alla Guardia nazionale, ai Corpi civici, al Battaglione universitario e alle Brigate infligge una clamorosa sconfitta ai francesi, che sono costretti a ripiegare in tutta fretta su Civitavecchia. L'eco di questa giornata di gloria è immenso, anche perché evidenzia quanto forte sia il collante che tiene insieme la Repubblica. Uomini e donne, vecchi e ragazzi, popolo, esercito, intellettuali, governo, classe media, una parte della classe alta... tutti costoro si uniscono, facendo capire all'Europa intera di essere cosa ben diversa da una «tirannide giacobina». Fra le moltissime donne che soccorrono i feriti, preparano vettovaglie e rinforzi, e spesso combattono sugli spalti, si mescolano un'aristocratica milanese come Cristina di Belgioioso, una semplice popolana come Colomba Antonietti, un'intrepida «guerrigliera» quale Anita. Anche l'intellettuale Margaret Fuller offre un rilevante contributo.Nella speranza di trovare una soluzione diplomatica con la Francia, Mazzini non «cavalca» la vittoria, né consente a Garibaldi di inseguire i francesi, anzi fa liberare i loro prigionieri. Teme, infatti, un intervento armato da parte dei Borbone di Napoli, che puntualmente avviene, respinto da Garibaldi e da Luciano Manara. Anche la Spagna tenta una sortita, mentre l'Austria si tiene pronta a scendere in campo.L'unica possibilità di sopravvivenza, in mezzo a tante forze preponderanti, sembrerebbe proprio un accordo con la Francia, che si è sempre distinta per le sua battaglie di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza e che aveva già dato, grazie a Napoleone I, una Repubblica a Roma. Purtroppo, però, il Bonaparte che guida la Nazione amica non ha, in quel frangente, intenzione di aiutare la Repubblica romana. Pur avendo mandato a negoziare un trattato dal suo plenipotenziario Lesseps, sottoscritto il 31 maggio con Mazzini (nel quale la Francia si impegna a difendere« il Lazio dalle armate straniere, nonché garantire la «non-ingerenza nei suoi affari interni), il futuro Napoleone III ha già spedito cospicui rinforzi al generale Oudinot, con l'ordine di riprendere le ostilità. Albeggia appena, il 3 giugno, quando i francesi si slanciano contro la Città eterna, decisi a conquistare innanzitutto il Gianicolo. Si apre così la pagina più tragica e gloriosa della Repubblica romana, che vedrà uomini e donne compatti a combattere fianco a fianco per la libertà. Gli esempi di eroismo, solidarietà e coraggio saranno infiniti, così come molti saranno coloro che perderanno la vita in nome di quella libertà tanto bramata. Fra i martiri caduti sugli spalti, ci sarà anche la giovane popolana Colomba Antonietti, la figlia di un fornaio, che morirà mormorando: «Viva l'Italia».