2022-02-06
Non buttiamo la chance Nato con la Mogherini
Federica Mogherini (Ansa)
A settembre si rinnova il vertice dell’Alleanza atlantica e l’Italia ha concrete possibilità di giocarsela con Regno Unito e Olanda. Alla poltrona cruciale ambisce la politica dem, che però ha scheletri nell’armadio cinesi e iraniani. Puntare su di lei sarebbe folle.L’annuncio della nomina di Jens Stoltenberg a prossimo governatore della Banca centrale norvegese ha aperto il tema della sua successione a segretario generale della Nato: ruolo che Stoltenberg lascerà a settembre. Non esiste un meccanismo preciso che regola l’avvicendamento: il processo di selezione si svolge infatti attraverso consultazioni diplomatiche informali, con cui i Paesi dell’Alleanza devono trovare un’intesa per affidare l’incarico, che ha durata quadriennale con possibilità di proroga (Stoltenberg è, per esempio, entrato in carica nel 2014). Ora, già negli scorsi mesi si era cominciato a parlare della successione. Sono innanzitutto Regno Unito e Paesi Bassi che, secondo indiscrezioni, punterebbero ad esprimere il prossimo segretario: circolano a tal proposito i nomi, non esattamente esaltanti, di Theresa May e Mark Rutte. Dal canto suo, l’Italia sembra avere delle chances. Se si fa eccezione per Alessandro Minuto-Rizzo e Sergio Balanzino (che hanno entrambi rivestito l’incarico ad interim per poche settimane), l’unico segretario generale espresso finora dal nostro Paese è stato Manlio Brosio tra il 1964 e il 1971. La probabilità che una personalità italiana possa arrivare a guidare l’alleanza è quindi piuttosto alta. Un’occasione che non dovrebbe essere sprecata: è bene quindi che Roma agisca in fretta, valutando attentamente il profilo da proporre. Un profilo che dovrebbe spiccare per credenziali atlantiste, garantendo un’efficiente gestione della Nato e un rilancio delle relazioni transatlantiche. Obiettivi tanto più urgenti, se si pensa al preoccupante consolidamento dell’asse sino-russo. Attenzione quindi ai passi falsi. Deutsche Welle ha rammentato l’altro ieri che, per ora, il più probabile candidato italiano risulterebbe l’ex Alta rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue, Federica Mogherini, una lunghissima carriera nelle file del Pd. Un profilo che, diciamocelo, in quanto a credenziali atlantiste lascia un tantino a desiderare. Durante i suoi cinque anni ai vertici europei (dal 2014 al 2019), la Mogherini si è innanzitutto adoperata per avvicinare Bruxelles all’Avana. A marzo 2016, firmò un accordo per la cooperazione bilaterale tra Ue e Cuba: accordo che lei stessa definì un «passo storico». Recatasi inoltre sull’isola nel gennaio 2018, dichiarò: «A prescindere dai cambiamenti delle politiche a Washington, il messaggio che sto portando qui è di amicizia con l’Unione europea: amicizia solida, stabile e affidabile. È sempre esistita, e oggi siamo per la prima volta in un contesto legale che ci consente di ampliare le nostre aree di cooperazione». Oltre che filocubana, la Mogherini è anche notoriamente filoiraniana. Fu infatti tra i principali artefici del controverso accordo sul nucleare con Teheran del 2015 e in tal senso criticò nel 2018 Trump per essersi ritirato dall’intesa. Sempre la Mogherini ha inoltre contribuito a un forte avvicinamento tra Ue e Cina. Nell’aprile 2017, si recò in visita ufficiale a Pechino, dove disse: «L’Ue e la Cina condividono la visione di un ordine globale basato sul multilateralismo e sul sistema delle Nazioni Unite: la nostra cooperazione non è mai stata così importante, in un momento in cui la governance globale multilaterale è messa in discussione da più parti». Era invece ottobre 2019 quando, tornata a Pechino, incontrò il premier cinese Li Keqiang. In quell’occasione, quest’ultimo «elogiò» l’allora Alta rappresentante europea «per il suo contributo attivo al rafforzamento delle relazioni Cina-Ue». Fu tra l’altro la Commissione Juncker (di cui la Mogherini faceva parte) a portare avanti i negoziati sul controverso Comprehensive agreement on investment con la Cina. E pensare che a volere la Mogherini ai vertici europei fu il sedicente atlantista Matteo Renzi, che soltanto nel 2019 si è alla fine detto «pentito» di quella scelta. Certo: qualcuno potrebbe pensare che il curriculum della Mogherini possa magari piacere a un presidente americano dem, come Biden. Non è così. Non solo l’attuale inquilino della Casa Bianca ha confermato sotto molti aspetti la linea dura del predecessore nei confronti della Cina, ma - per timore di contraccolpi in Florida - non ha neanche rispolverato la distensione obamiana con Cuba. Infine, la rivista Foreign Policy ha riferito a dicembre che il presidente statunitense starebbe diventando sempre più disilluso sulla possibilità di rilanciare realmente l’accordo sul nucleare con l’Iran. Insomma, scegliere la Mogherini non sarebbe un gran biglietto da visita agli occhi di Washington. E attenzione anche a un altro nome che circola: quello di Enrico Letta. Nonostante il segretario del Pd si arroghi il diritto di dare patenti di atlantismo (vedi il caso quirinalizio di Frattini), non sembra esattamente allineato agli Stati Uniti. Nel 2019, diede il suo endorsement al memorandum sulla Nuova Via della Seta (un documento siglato, sì, su spinta dei grillini, ma che fu l’esito di un lavoro di avvicinamento a Pechino promosso dai governi di Renzi e Gentiloni). Ad aprile scorso, Letta si è inoltre detto contrario a una guerra fredda con il Dragone, mentre per il Quirinale aveva proposto il nome di un profilo filocinese come quello di Andrea Riccardi. Un atlantismo, insomma, un po’ contraddittorio.
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