2021-04-07
«Noi viticoltori sappiamo resistere alle cattive annate, non alla burocrazia»
Il patron della Marchesi Antinori: «Supermercati e Internet aiutano, l'esagerazione di controlli uccide. Stefano Patuanelli agisca».L'effetto domino della perturbazione del virus planetario, come prevedibile, non ha risparmiato la galassia dei produttori vitivinicoli italiani. L'inequivocabile verdetto dei dati quantifica il più grave danno economico degli ultimi 75 anni subìto da un settore protagonista del rinascimento enoico nazionale e della genesi della sua venerazione nel mondo. Non resta che scrutare tra gli spiragli di luce avvistabili in fondo a un tunnel in cui si addensano ancora ombre di non trascurabile entità. Pur prendendo atto di un colpo per i vini italiani che definisce «duro e pesante», il marchese Piero Antinori, discendente di una famiglia patrizia tra le più antiche del mondo, presidente onorario della Marchesi Antinori, con sede operativa a San Casciano Val di Pesa (Firenze) in pieno Chianti Classico, storica azienda con tradizione vignaiuola di 600 anni e punto di riferimento dell'enologia italiana, resta un inossidabile ottimista, giacché, «anche le peggiori tragedie grazie a Dio, passano» e dopo la tempesta «torna sempre il sole». «L'unica ancora di salvezza è la vaccinazione. Confidiamo in un cambio di passo».Presidente, dopo più di un anno di epidemia, quali sono i numeri indicativi delle conseguenze sul comparto vinicolo italiano?«Premesso che sarà necessario analizzare anche la tendenza dei primi mesi del 2021, possiamo stabilire un raffronto tra il 2020 e il 2019. Il contraccolpo più evidente si è riscontrato nelle forniture a ristoranti, alberghi, ed eventi, con affari perduti per circa il 36-37 %. Un dato parzialmente confortante è quello delle vendite nella grande distribuzione organizzata, con incremento del 7-8 %, il che parzialmente riequilibra la portata dei danni economici. Le esportazioni hanno sofferto in maniera contenuta, con un meno 3-4 %, e ciò dimostra la solida posizione che i vini italiani sono riusciti a conquistarsi all'estero attraverso gli investimenti degli ultimi 40 anni. Anche oltre-confine le vendite nei super e iper-mercati sono aumentate, Usa compresi».E per l'enoturismo, soggetto alla scure delle restrizioni di libertà di spostamento?«Noi, qui nella nostra azienda in Chianti, registravamo una media di 40.000 visitatori l'anno. Ebbene, questo flusso si è azzerato. Con effetti negativi anche sulle vendite, perché spesso i viaggiatori che fanno tappa nelle cantine, acquistano i vini. Questa situazione è particolarmente preoccupante per quei piccoli produttori che realizzano etichette di qualità e puntano molto su questo canale». I resoconti di mercato manifestano un'impennata degli acquisti on line di vini. L'e-commerce, oltre a tamponare la perdita di fatturato, può costituire oggetto di maggior approfondimento per il futuro?«Nella situazione in cui ci troviamo, è necessario saper vedere gli aspetti positivi. Questo è uno dei pochi. Pur partendo da indicazioni statistiche ancora limitate, si osserva, in questo canale di commercializzazione, una tendenziale crescita a doppia cifra, stimabile in un più 20-25 %. Ciò significa che il consumatore sta cambiando rapidamente atteggiamento nei confronti di questa opportunità di acquisto da casa. Questo fenomeno interessa anche i vini di fascia medio-alta. Noi produttori dobbiamo generalmente ammettere che abbiamo considerato questo mezzo con scarsa convinzione. Ci siamo sbagliati. Il futuro, anche del vino, sarà molto più orientato in questa direzione e pertanto questo periodo ci ha obbligato a valutarla più seriamente, aumentando gli investimenti. Varie aziende l'hanno già fatto, con risultati di rilievo».Si sono osservati incrementi degli ordini via Web, anche da Paesi esteri?«Ciò presenta maggiori difficoltà, perché le vendite internazionali di vini sono soggette a regimi fiscali variabili da Paese a Paese, anche nel contesto del mercato comune. Tuttavia è ipotizzabile che questi ostacoli siano superati. Per transazioni esterne all'area comunitaria i tempi saranno più lunghi».Se il canale della Gdo ha costituito un contrappeso al tonfo dei consumi nella ristorazione, negli scaffali dei supermercati non può esserci posto per tutti.«Chiaramente la Gdo non può estendere la propria gamma all'infinito, ma anche per quei piccoli produttori che hanno svolto uno straordinario lavoro di qualità, qualche spazio in più ci può essere e, qualora la ristorazione dovesse ancora stentare, questa è un'alternativa, anche perché i supermercati spesso dedicano attenzione ai vini di provenienza locale». Ci sono margini per un ritocco al ribasso dei prezzi di vini di qualità medio-alta?«Non escludo che esistano tendenze già in atto in questo senso. Tuttavia non so quanto ciò sia auspicabile. Se ci mettiamo nei panni dei produttori di vini di qualità sappiamo che, quando le quotazioni si abbassano, far loro riguadagnare le precedenti posizioni è cosa ardua. I vitivinicoltori, con sacrifici, hanno investito per riuscire a crearsi reputazione e appeal. Ciò non ammette compromessi né sulla qualità né sul prezzo. Il consiglio è di resistere, in attesa che il canale della ristorazione riapra».Esiste un vantaggio competitivo della vitivinicoltura rispetto ad altri settori in sofferenza?«Noi produttori di vini di qualità beneficiamo di due vantaggi. Il primo è che siamo preparati ad affrontare le emergenze. Basti pensare al fatto che da sempre conviviamo con le incognite meteorologiche. Una grandinata può distruggere un vigneto. Una gelata primaverile può compromettere una buona vendemmia. Per noi, l'impatto psicologico è meno allarmante. Il secondo vantaggio è che i nostri prodotti, a differenza, ad esempio, di quelli del settore moda, i quali dopo una stagione diventano obsoleti e devono essere svenduti, riescono a sopportare una dilazione delle vendite. Non solo. Un vino può anche migliorare dopo uno o due anni e persino spuntare un prezzo più interessante. È chiaro che ciò esige spalle robuste da un punto di vista finanziario. In certe annate, quando le vendemmie non sono ritenute all'altezza, alcuni vini non sono prodotti». I vitivinicoltori invocano l'alleggerimento dei fardelli burocratici, un problema che si trascina da anni.«È assolutamente necessaria una semplificazione. La burocrazia, soprattutto nel nostro settore, rischia di uccidere le aziende, frenandone lo sviluppo. Essa determina un sovraccarico di costi, indiretti e talvolta occulti. Un'impresa rischia di avere fino a 25-30 controllori, che sorvegliano le stesse cose. Bisogna avviare un percorso verso forme di auto-certificazione delle aziende e realizzare controlli a campione. In caso d'inadempienza, le sanzioni devono essere esemplari. Siamo oberati da richieste di un'incredibile massa di documenti cartacei, che finiscono per celare violazioni reali e non garantiscono la regolarità dei processi. Per accertare, ad esempio, l'origine del prodotto, sarebbe utile ricorrere maggiormente ai sistemi analitici resi possibili dalle nuove tecnologie. Molti enti di controllo che, nei loro fini, si sovrappongono, vanno eliminati. Il nostro ministero delle Politiche agricole dovrebbe seriamente impegnarsi per sgravare i produttori da questo peso».Il nodo delle risorse finanziarie pubbliche e dei contributi per lo sviluppo e la ripresa post-pandemica. Accanto ai Piani di sviluppo rurale (Psr) e ai fondi dell'Organizzazione comune di mercato (Ocm), aleggia l'enigmatico Recovery fund. Cosa c'è di davvero concreto, spendibile e utile?«È davvero difficile quantificare l'ammontare delle risorse che si renderanno disponibili. Tuttavia, il vero problema, non consiste nel loro ammontare, quanto nella creazione delle condizioni affinché questi denari possano essere spesi. E spesi bene. Molti fondi, in Italia, non si riescono a utilizzare. E anche in questo caso, la burocrazia, spesso priva di competenze, impone come devono essere impiegati. Non dimentichiamo che si tratta di operazioni che richiedono il co-finanziamento delle aziende stesse. Dovrebbe, anche in questo caso, essere lasciata maggior libertà sul ricorso ai fondi e sulla destinazione degli investimenti». Cosa chiedono i produttori all'Unione europea? «Ad esempio di riconsiderare l'idea, che riteniamo negativa, di stampare sull'etichetta dei vini un semaforo rosso che segnala la presenza di alcol. Attenzione sì alla moderazione del consumo. Tuttavia il vino è un prodotto naturale che ci accompagna da 6.000 anni. Sarebbe un errore madornale veicolare un messaggio terroristico».Ricadute occupazionali sul settore causa epidemia?«Per la parte agricola nessuna. Ricorso, invece, alla cassa integrazione per alcuni operatori commerciali e amministrativi e per il personale addetto alla ricezione e alle degustazioni».Due edizioni del Vinitaly saltate, pressoché tutti gli appuntamenti fieristici internazionali procrastinati.«Gli eventi fieristici sono fondamentali anche per ottenere sbocchi in nuovi mercati, come quelli orientali. E, oltre a fini di promozione dei prodotti, sono utili occasioni per affari. Si pensi che i piccoli produttori, attraverso le fiere, spesso vendono la produzione di un anno. Ne attendiamo il ripristino». Dopo l'analisi delle insidie, è di buon auspicio tornare a immergersi nelle meraviglie. Qual è il potenziale di invecchiamento dell'etichetta più celebre di Marchesi Antinori, il Tignanello? «Presso una degustazione a New York di tutte le annate, dal 1971 ad oggi, il 1971 e il 1975 hanno manifestato una tenuta sorprendente. Ogni vendemmia e ogni annata sono uniche. È questo il fascino del vino».
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
Ecco #DimmiLaVerità del 12 settembre 2025. Il capogruppo del M5s in commissione Difesa, Marco Pellegrini, ci parla degli ultimi sviluppi delle guerre in corso a Gaza e in Ucraina.