2020-05-05
Noi messi in coda come in Urss e neanche sappiamo per comprare cosa
Alexi Sundukov, La Coda (Godong/Universal Images Group via Getty Image)
Sembra la Russia del 1991: regna l'incertezza sul presente e sul futuro. Fortuna che in Italia è stata abolita la povertà...Qualche giorno fa sono uscito di casa per andare a far spesa; davanti ai negozi, per strada, c'erano delle file lunghissime, sembrava proprio di essere a Mosca nel 1991. A Mosca, nel 1991, quando ci sono capitato per la prima volta, c'era da fare la fila anche per comprare il pane. Cinque minuti di fila per prendere un baton di pane nero. Tutti i giorni. Al museo russo di San Pietroburgo c'è un grande quadro di Aleksej Sundukov, un olio su tela del 1986 che si intitola La coda e che fa vedere, da dietro, come se fosse una fotografia di Luigi Ghirri, una fila, tendente all'infinito, di donne e uomini in coda: cappotti, colbacchi, borse della spesa, non si vede un negozio, alla fine, chissà cosa vogliono comprare. Il primo romanzo di uno dei più noti scrittori russi viventi, Vladimir Sorokin, si intitola La coda, ed è fatto soltanto di dialoghi di persone in coda, senza nemmeno una didascalia. Centosettanta pagine di dialoghi che cominciano con uno che chiede: «Compagno, chi è l'ultimo qui?». Dopo un po' si capisce che tutta quella gente che sta in fila per ore non sa nemmeno di preciso cosa troverà, nel negozio nel quale aspetta, per ore, di entrare. Dicono che, allora, in Unione Sovietica, succedesse così, che se uno vedeva della gente in fila, si metteva in fila anche lui, perché, se c'era della gente in fila, voleva dire che vendevano qualcosa e, se vendevano qualcosa, valeva la pena di comperarla, perché poi dopo chissà quando si sarebbe trovata ancora. Nelle case dei russi, in quei primi anni Novanta, era normale vedere, sopra gli armadi, rotoli e rotoli di carta igienica: «zapàs», «scorta», era una parola sulla bocca di tutti. La carta igienica, in particolare, tendeva a scarseggiare, perché, chissà come mai, veniva considerata un bene di lusso e distribuita solo agli alberghi per stranieri e agli alti funzionari di partito. Si dice che la tiratura dei quotidiani sovietici fosse sensibilmente superiore alla richiesta per assolvere alla funzione rimasta scoperta. Sembra che lo stesso problema, carenza di carta igienica, abbia colpito, in questi giorni di pandemia, l'Australia, e che un quotidiano australiano abbia pubblicato alcune pagine bianche per permettere ai propri lettori di ovviare al deficit.Sempre a proposito di file pochi giorni fa ho scoperto che c'è un modo per prenotare l'entrata al supermercato da casa, e entrare senza fare la fila. Mi sono iscritto, ed è stato semplicissimo; prima di partire, pensavo alla faccia che avrebbero fatto quelli in fila, vedendomi passare e mi son ricordato di un'altra fila che c'era in quella Mosca del 1991. A Mosca, nel '91, aveva da poco aperto un McDonald's, il fast food, il primo McDonald's dell'Unione Sovietica, e davanti al McDonald's c'era sempre una fila lunghissima, ma gli occidentali, come me, chissà perché, potevano passare senza fare la fila. Io, un po' mi vergognavo, del mio privilegio, ma non abbastanza perché passavo, e l'altro giorno ho pensato che, al supermercato, avrei fatto lo stesso, mi sarei vergognato e sarei passato, e sono uscito di casa che piovigginava, sono arrivato che pioveva un po' più forte, e, siccome pioveva, non c'era nessuno, in fila. Ci son rimasto così male. Molto peggio che in Unione Sovietica dove mi vergognavo, ma passavo. Lì almeno le file c'erano anche quando pioveva.Per un po', all'inizio di questo periodo in cui siamo obbligati a stare a casa, ho pensato che un'altra cosa in comune con la mia esperienza in Unione Sovietica è l'incertezza, che colpisce tantissimi, sulla propria presente e futura condizione finanziaria. Poi mi è venuto in mente d'un tratto che noi, italiani, non abbiamo niente da temere, dal punto di vista economico, e nemmeno da quello finanziario, perché da noi, in Italia, qualche mese fa, è stata abolita la povertà. Ecco. Mi ero quasi dimenticato. Quello lì è stato proprio un gran sollievo.E un po' di sollievo mi è derivato anche dal fatto che io faccio un mestiere, scrivere dei libri, che si può fare da casa, e una delle cose che ho fatto in questo periodo è riguardare un libro che ho curato e che verrà pubblicato probabilmente l'anno prossimo, nel 2021. Il libro si intitola Repertorio dei matti della letteratura russa, e dentro c'è scritto che «uno (Nikolaj Erdman) aveva letto sull'Izvestija che la vita è bella, ma pensava che prima o poi ci sarebbe stata una smentita». E che «c'era una (Anna Achmatova) che, brindare, lei brindava così: “Bevo alla casa distrutta/ e alla mia vita brutta"». E che «uno si chiamava Aleksandr Blok e teneva un diario e, alla data del 28 gennaio del 1909, aveva scritto, “L'ubriacatura del 27 gennaio è - spero - l'ultima". Ma già il giorno dopo si era dovuto correggere e aveva scritto, “Oh no: del 28 gennaio"».E che «uno, che si chiamava Sergej Esenin, diceva che, alla vita, la fortuna bisognava chiederla in un certo modo. Bisognava fare come quel vagabondo di Odessa che chiedeva l'elemosina così: “Cittadina, mi dia cinque copeche! Altrimenti le sputo in faccia: ho la sifilide"». E «uno (Benedikt Livšic) era un poeta che considerava essere fallito non solo una professione, ma una specializzazione». E uno, un personaggio di Gogol', «faceva sempre odore di locale abitato». E «uno (Sergej Dovlatov) pensava che un intellettuale russo senza essere stato in galera non valesse granché».E «un altro (un altro personaggio di Gogol') diceva che, da quando aveva preso lui la direzione dell'ospedale, i malati guarivano tutti come mosche, che non facevano a tempo a mettere piede in ospedale che erano già sani». E «uno (Il'ja Erenburg) sosteneva che è un attestato di maturità, la disperazione». E «una, che si chiama Giulia, aveva letto Delitto e castigo e le era venuta un po' voglia di ammazzare qualcuno anche lei, così per avere un po' più di presa sulla realtà». E «uno, che si chiamava Velimir Chlebnikov, diceva che per dormire gli bastava il pavimento e per scrivere, al posto del tavolo, poteva usare il davanzale. E siccome poi era senza petrolio, avrebbe imparato a scrivere al buio». E «un poeta, si chiamava Miša Sapego, aveva scritto una poesia senza titolo che faceva così: “Soffrirò… morirò… ma intanto: sole, vento, vino, trallallà"».E «uno (Fëdor Dostoevskij) aveva notato che stava diventando inaffidabile in ogni cosa, in quelle importanti come nelle minuzie, e per questo aveva stabilito di fare affidamento il meno possibile su di sé».E un altro (Lev Tolstoj) «aveva scritto nel proprio diario di essere vanitoso, orgoglioso, pigro, apatico, affettato, bugiardo, instabile, indeciso, imitativo, codardo, vittima dello spirito di contraddizione, troppo sicuro di sé, voluttuoso e che aveva la passione per il gioco».E, in un libro di Michail Bulgakov, «al tramonto, su un tetto di Mosca, si erano incontrati Woland, il diavolo, e Levi Matteo, l'apostolo. “Perché non mi hai dato il buon giorno?", aveva chiesto Woland. “Perché non voglio che il tuo giorno sia buono", aveva risposto Matteo. “Eppure ti toccherà rassegnarti", aveva detto Woland sorridendo, “hai pronunciato le tue parole come se non conoscessi le ombre, e neppure il male. Ma che mai farebbe il tuo bene se non esistesse il male, e come apparirebbe la terra se vi scomparissero le ombre? Oggetti e uomini proiettano ombra. Guarda l'ombra della mia spada. E ci sono le ombre degli alberi e degli esseri vivi. Vorresti scorticare tutto il globo terrestre, togliergli tutti gli alberi, tutti gli esseri vivi per la tua fantasia di godere della nuda luce? Tu sei stupido"».
Jose Mourinho (Getty Images)