2021-07-10
Noi finanziamo i guardacoste libici e i magistrati vogliono processarli
Proprio a ridosso della discussione sul decreto missioni, che regola la nostra partnership con le autorità di Tripoli, il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, intende procedere contro di loro su impulso delle Ong.L'ipotesi di reato, anche se i passeggeri del natante sono tutti poi sbarcati sani e salvi a Lampedusa, è tentato naufragio. Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, che ha ricevuto una denuncia dalla Ong Sea Watch, ha scritto al ministro della Giustizia Marta Cartabia chiedendo di poter procedere contro gli uomini della Guardia costiera libica che il 30 giugno, con la motovedetta Ras Jadir, inseguendo un barcone con 62 passeggeri in zona Sar maltese, hanno aperto il fuoco. E ora l'inchiesta di Patronaggio rischia di entrare nella discussione sul decreto missioni che, atteso a Montecitorio per il prossimo 15 luglio, prevede il sostegno diretto ai guardacoste di Tripoli e la permanenza di una nave officina della Marina militare italiana incaricata di svolgere, a spese dell'Italia, la manutenzione delle motovedette libiche donate dall'Italia. È la prima volta che la magistratura italiana vuole mettere sotto inchiesta i libici, non senza scontrarsi con delle importanti questioni di diritto. E se da una parte è vero che il barcone è riuscito ad approdare a Lampedusa, quindi in territorio italiano, e che in Procura ad Agrigento è arrivato un esposto-denuncia firmato dalla Sea Watch, non è detto che Patronaggio sia titolato a indagare su un fatto che sarebbe stato commesso in acque internazionali. E siccome tra Italia e Libia sembra non esistano patti di cooperazione giudiziaria, è facile immaginare che da Tripoli non verranno segnalati i nomi degli ufficiali e dell'equipaggio a bordo della motovedetta. Anche se la Guardia Costiera libica ha aperto un'indagine interna, «in quanto non sono state seguite le misure di sicurezza e sono stati utilizzati anche dei colpi di avvertimento». In una nota la Marina di Tripoli afferma di aver avviato i controlli dopo aver esaminato le immagini. I guardacoste si sono allontanati per più di 110 miglia dal porto di Tripoli e hanno lambito la zona Sar italiana, fermandosi a 45 miglia da Lampedusa. L'indagine agrigentina, comunque, competenza o meno, è già partita, anche se solo a livello conoscitivo: Patronaggio ha fatto acquisire dalla polizia giudiziaria il video integrale (cinque minuti di immagini) girato dall'aereo Sea bird della Sea Watch. Ma nel fascicolo ci sono già anche i tracciati aerei e navali elaborati dal giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura. L'avvocato Leonardo Marino, che ha ricevuto il mandato dalla Ong, ha poi depositato una lista di testi, tra i quali ci sono i piloti, che del velivolo hanno osservato la scena in diretta. «Nel nostro video», sostiene Sea Watch, «si vede chiaramente la cosiddetta Guardia costiera libica che spara due colpi in direzione della barca di legno. Più volte l'equipaggio della Ras Jadirha ha lanciato oggetti contro le persone a bordo e cercato di speronare la barca e di prenderla con una fune, sostenendo di aver avvertito le autorità maltesi della presenza dell'imbarcazione nella zona Sar di Malta. A Malta, infatti, ritengono l'operazione dei libici «adeguata alle circostanze». E ai giornali della Valletta la Marina ha fatto sapere che «in questi casi sono permessi i colpi di avvertimento». Dalla Commissione europea, come riporta Avvenire, il portavoce Peter Stano avrebbe affermato: «Abbiamo visto il video e stiamo verificando le circostanze ad esso legate. Sicuramente chiederemo spiegazioni ai nostri partner libici». E alla vigilia della discussione sul decreto missioni è arrivata pure una dichiarazione cerchiobottista del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha prima definito quelli della Guardia costiera «comportamenti inaccettabili» e poi ha assicurato che l'autorità libica ha «condannato il comportamento del comandante e avviato un'inchiesta». Ma quello sui libici non è l'unico fascicolo aperto da Patronaggio per gli sbarchi del 30 giugno. Ieri la nave Dattilo della Guardia costiera ha individuato, con l'ausilio di un robot sottomarino, il barchino capovolto durante un'attività di soccorso a largo di Lampedusa. Gli operatori subacquei del quinto Nucleo della Guardia costiera, sempre su disposizione di Patronaggio, hanno anche avviato le operazioni di ricerca dei corpi dei migranti dispersi durante il naufragio. Una delle vittime è stata rinvenuta all'interno dello scafo, mentre altri otto corpi erano sul fondale, proprio accanto alla barca. L'ennesima tragedia nel Mediterrano dei porti aperti.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)
Il valico di Rafah (Getty Images)