
L'onda lunga del Me too continua a mietere vittime. L'Accademia svedese rimanda la consegna al 2019 dopo le dimissioni di vari membri a causa di uno scandalo sessuale. Ma dietro c'è una lotta di potere.Un altro grande successo del Me too: il premio Nobel per la letteratura chiude causa molestie. Per la prima volta dal 1944, la più importante onorificenza letteraria del mondo non sarà attribuita. L'Accademia di Svezia - l'istituzione che ogni anno decreta il vincitore - lo ha annunciato con un sintetico comunicato stampa: «L'Accademia svedese comunica oggi che il vincitore del premio Nobel 2018 sarà scelto e annunciato insieme al vincitore del premio del 2019». Si rimanda di un anno, dunque. La motivazione ufficiale è sostanzialmente tecnica: l'Accademia, negli ultimi mesi, ha perso sei membri (a partire dal segretario, la studiosa Sara Danius), e con un organico ridotto a soli 10 membri attivi su 18 non può procedere ad assegnare il premio. «L'Accademia ha bisogno di tempo per tornare al completo, coinvolgere un numero maggiore di membri attivi e riprendere fiducia nel suo lavoro», si legge ancora nel comunicato stampa. Ovviamente, però, non si tratta di una questione di numeri. La parola magica è stata ripetuta come un mantra da tutti i media: molestie sessuali. Tutto è iniziato nel novembre del 2017, quando il fotografo Jean Claude Arnault è stato accusato di aver aggredito o violentato diciotto donne tra il 1996 e il 2017. Tra queste ci sarebbe pure una vittima illustre. Nel 2006, secondo quanto rivelato dal quotidiano svedese Svenska Dagbladet, Arnault avrebbe addirittura palpeggiato Victoria, la principessa erede al trono di Svezia. Durante un evento all'Accademia, il fotografo si sarebbe avvicinato alla principessina e avrebbe posato le mani sui di lei regali glutei. A quel punto, un'assistente della principessa - ha scritto il quotidiano - si sarebbe «lanciata sul fotografo allontanandolo con la forza». Una scena surreale. Viene da chiedersi perché Victoria in persona non lo abbia schiaffeggiato o non abbia dato ordine alla sua scorta di triturarlo. Soprattutto, ci si chiede come mai la principessa non abbia denunciato il fatto. Anche dopo la pubblicazione della notizia, la casa reale svedese non ha commentato, limitandosi a emettere una dichiarazione di sostegno al movimento Me too. Direte: ma che c'entra Jean Claude Arnault con la sospensione del Nobel per la letteratura? Beh, dovete sapere che il presunto molestatore in questione è il marito di Katarina Frostenson, poetessa e illustre componente - fino a qualche giorno fa - dell'Accademia di Svezia. E qui viene il bello. Certo, tutti si scandalizzano per i palpeggiamenti e le molestie, ma la faccenda non si esaurisce nell'ambito dell'abuso sessuale. Si tratta, ancora una volta, di un gioco (sporco) di potere. Del resto, sarebbe surreale cancellare un evento mondiale come il Nobel a causa dei guai di un signore che non fa nemmeno parte della giuria. Il fatto è che Jean Claude Arnault è considerato una sorta di «membro esterno» dell'Accademia di Svezia. Ne dirige la sede parigina, dove sarebbero avvenuti alcuni degli assalti sessuali. Soprattutto, però, il fotografo ha gestito le finanze della succursale francese. Ha scelto lui quale stabile affittare, e a quale prezzo. Insomma, ha maneggiato parecchio denaro. Non solo. Il suo nome compare pure in un'inchiesta riguardante alcune irregolarità finanziarie commesse dall'associazione culturale Forum, organizzazione privata che ha ricevuto fondi dall'Accademia di Svezia. Per farla breve: le accuse di molestie contro Arnault sono state utilizzate per scoperchiare un verminaio, una storia di finanziamenti opachi e cattiva amministrazione. Più o meno la stessa cosa accaduta con Harvey Weinstein: la predazione sessuale è servita per suscitare lo sdegno delle masse, intanto, in sottofondo, si combattevano altre e più sanguinose battaglie. Dopo tutto, il Me too mira proprio a questo, a scardinare gli equilibri di potere. Dopo lo scandalo Weinstein, l'Academy (l'istituzione che attribuisce gli Oscar) è stata rivoluzionata: largo alle donne e ai rappresentanti delle minoranze etniche. Un paio di giorni fa sono stati espulsi Bill Cosby (finito in tribunale per molestie multiple) e Roman Polansky (con grottesco e discutibile ritardo). Alle regole del Me too si sono dovuti adattare tutti i premi più importanti: il Pulitzer, per esempio, ha incoronato gli autori degli scoop su Weinstein. Il caso Arnault sta producendo un analogo sisma. Il re di Svezia, Carlo XVI Gustavo, ha fornito una nuova interpretazione dello statuto dellAccademia, spiegando che, d'ora in poi, i giurati che assegnano il Nobel non saranno più in carica a vita, ma potranno dimettersi e, soprattutto, verranno eletti. Dunque ci attendiamo una bella spartizione di poltrone. La Fondazione Nobel lo conferma. In un comunicato stampa, ha spiegato che «l'Accademia svedese dedicherà tutte le sue azioni al compito di ripristinare la sua credibilità come istituzione premiante». Poi ha aggiunto che l'Accademia dovrà affrontare una «ampia riforma» e che, nella sua «futura struttura organizzativa», dovrà essere caratterizzata da «una maggiore apertura verso il mondo esterno». Tradotto significa: più donne (a patto che si pieghino ai dettami del Me too) e più personalità politicamente impegnate. Insomma, ci siamo capiti. La discussione sui diritti femminili ha fornito un utilissimo velo sotto cui celare una lotta per il predominio, politico, economico e culturale. Sarà qualche elegante madama o qualche regina dei salotti a beneficiarne. Qualche scrittrice politicamente corretta passerà all'incasso. E alle donne comuni non verrà in tasca niente. In compenso, però, tutti noi subiremo le conseguenze di questo smottamento epocale. A questo punto, tanto vale che gli svedesi seguano fino in fondo l'esempio degli Oscar, e procedano a ritirare i riconoscimenti e i gagliardetti concessi a misogini e sessisti. Nei fatti, una cosa del genere è già capitato al povero Tim Hunt. Vincitore del Nobel per la medicina, un paio di anni fa è stato bandito dalla comunità scientifica per una battuta pronunciata durante un convegno. Parlando delle colleghe femmine disse: «S'innamorano di te, ti fanno innamorare di loro, piangono appena le critichi». Tra le risate della folla precisò che stava scherzando e concluse il suo intervento dicendo: «La scienza ha bisogno delle donne, dovete fare scienza nonostante tutti gli ostacoli, e nonostante i mostri come me». Ma è stato comunque mandato al rogo. Se ci concentriamo sui soli Nobel per la letteratura, i premi da ritirare causa sessismo diventano parecchi. Quello a Dario Fo, per esempio. Fu sua moglie, Franca Rame, a minacciare di lasciarlo in diretta tv per via della sua passione per le giovani fanciulle. «Io invecchiavo, lui restava il Dario di sempre», dichiarò la Rame nel 1999. «Simpatico, a modo suo uomo di potere. Un afrodisiaco irresistibile, specie per le giovani. E lui, a sua volta, non sapeva resistere alla diciottenne dal culo sodo». Vogliamo lasciare il premio a uno così? E che dire di V.S. Naipaul, vincitore nel 2001? È un noto maschilista, molto peggio di Ernest Hemingway (altro da condannare alla damnatio memoriae per le pose da macho). In un'intervista del 2011, Naipaul disse: «Quando leggo un testo, nel giro di un paragrafo o due so subito se è stato scritto da una donna». Aggiunse poi che le scrittrici - Jane Austen compresa - sono limitate dal «sentimentalismo e dalla visione ristretta del mondo».Ennesimo mostro da sanzionare è Mario Vargas Llosa, Nobel nel 2011. In una recente intervista ha spiegato che «attualmente il più risoluto nemico della letteratura, che pretende di depurarla dal maschilismo, da molteplici pregiudizi e immoralità, è il femminismo». In base alla logica del Me too, pure lui va bastonato. Più complessa la decisione su John Maxwell Coetzee, incoronato nel 2003. Il suo capolavoro, Vergogna, racconta di una donna sudafricana che decide di non denunciare lo stupro subìto. Asia Argento la farebbe a fette, ma dobbiamo considerare che la donna del romanzo è bianca, e non denuncia la violenza per espiare i crimini commessi dai razzisti sudafricani. Dunque il Nobel a Coetzee si può lasciare. Ci sarebbe poi Elfriede Jelinek, premiata nel 2004. Firmò appelli e si spese per la liberazione di Jack Unterweger, criminale che, secondo lei e altri celebri attivisti, si era redento in carcere grazie alla letteratura. Jack uscì, è ne approfittò per stuprare (con rami di albero) e uccidere un po' di donne. La Jelinek sarebbe dunque da sanzionare. Ma è una femminista d'acciaio, non resta che assolverla. Menzione d'onore, invece, per Kazuo Ishiguro. Quando gli hanno dato il Nobel, nel 2017, si è subito scusato con la scrittrice Margaret Atwood, dicendo che avrebbe meritato di vincere lei. In pratica, si è scusato per il fatto di essere maschio. Fra un po', a tutti gli uomini toccherà imitarlo.
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