2024-09-03
Le atlete stavolta battono l’ideologia. Niente finale per il velocista trans
Valentina Petrillo, atleta transgender in gara alle Paralimpiadi (Getty)
Valentina Petrillo perde ma si prende il record italiano. Prima della gara aveva dichiarato: «Da oggi in poi non voglio più sentire discorsi discriminatori». L’amico attivista: «Nello sport sostituiamo le categorie uomo e donna».«Eccoci qui, il 2 settembre 2024. Segniamolo come un giorno storico. Da oggi in poi non voglio più sentire discorsi discriminatori o di pregiudizio nei confronti delle persone transessuali. Ce l’ho fatta, ce l’abbiamo fatta tutti. Io ho fatto la mia piccola parte». Con queste parole, riportate da Eurosport, Valentina Petrillo - primo atleta transgender a partecipare alle Paralimpiadi - ha commentato l’accesso alle semifinali dei 400 metri nella categoria T12 (ipovedenti), dopo il secondo posto in batteria. Poi, in serata, sono andate in scena le semifinali, dove Petrillo si è classificato al terzo posto, non riuscendo in questo modo, nonostante il record italiano conseguito (femminile), a qualificarsi per la finale di oggi.Il caso ha scatenato diverse polemiche, a partire dalla sua qualificazione ai Giochi. L’anno scorso, infatti, si è aggiudicato l’accesso alle Paralimpiadi a spese di Melani Berges, atleta spagnola (inferiore in gara di soli 8 centesimi) che ha poi protestato. In occasione dei campionati italiani indoor, invece, l’atleta e avvocato Mariuccia Fausta Quilleri, insieme con un vasto gruppo di sportive, ha chiesto e ottennuto che non utilizzasse lo spogliatoio femminile. La storia di Petrillo, oggi celebrata dai quotidiani progressisti come modello di inclusione, è piuttosto particolare, visto che la transizione è avvenuta in là con l’età. L’atleta napoletano, che compirà 51 anni tra un mese, è affetto dalla sindrome di Stargardt (una rara malattia oculare che porta alla perdita progressiva della visione centrale) da quando ne aveva 14. La transizione è cominciata solo nel 2019, all’età di 45 anni. Tra il 2015 e il 2018, Fabrizio Petrillo (questo il suo precedente nome) ha vinto 11 titoli nazionali nella categoria maschile. Nel 2016, inoltre, si è sposato con una donna, da cui nel 2017 ha avuto un figlio. A settembre del 2020, durante i campionati paraolimpici italiani, ha partecipato per la prima volta alle gare femminili con il nome di Valentina. L’anno scorso, poi, ha ottenuto due medaglie di bronzo ai Mondiali di atletica leggera paralimpica nei 200 e nei 400 metri nella categoria T12. Al contrario del World athletics, che ha impedito di gareggiare nelle categorie femminili alle atlete transgender che hanno effettuato la transizione dopo la pubertà, il World para athletics consente di partecipare a tutti coloro che nei rispettivi Paesi d’origine sono registrate come donne, purché rispettino i parametri di testosterone (il massimo è 5 nanomoli). Niente più test «invasivi» e «poco inclusivi»: per correre con le donne basta dimostrare di avere, nell’arco degli ultimi 12 mesi, una quantità di testosterone al di sotto di una certa soglia, come se i precedenti anni o la genetica nulla contassero. È la scienza, bellezza. «Truffatori orgogliosi e senza vergogna come Petrillo dimostrano che l’era del «cheat-shaming» è finita», ha commentato J.K. Rowling su X. «Che modello di riferimento! Io dico che dovremmo restituire le medaglie a Lance Armstrong e andare avanti».Per capire l’assurdità di tutto ciò, è sufficiente leggere un’intervista pubblicata sul sito del Fatto Quotidiano a Christian Cristalli, responsabile nazionale per i diritti trans di Arcigay e colui che ha accompagnato Fabrizio Petrillo nel processo di transizione. Nel testo emerge una storia di sofferenza, verso cui chi scrive non intende in alcun modo mancare di rispetto, ma anche i tratti del futuro distopico che ci attende se questa mania dell’inclusione a tutti i costi dovesse prevalere. «Bisognerebbe capire che quando si parla di sport non bisognerebbe più parlare di categorie uomo/donna», spiega Cristalli. «Quello che noi persone transgender chiediamo è che si capiscano quali sono i parametri che fanno performance in ciascuno sport e si creino delle categorie in base a quei parametri. […] Ecco che, cambiando questi parametri, non avrebbe più importanza il genere della persona, che sia cisgender, transgender o intersessuale. Nessuno si è mai posto il problema dei vantaggi fisici nei differenti sport delle varie persone. Nel nuoto vincono quasi sempre persone bianche, nella corsa quasi sempre persone nere per esempio. Ma non si potrebbero fare per queste persone delle categorie o escluderle perché almeno quello per fortuna sarebbe considerato razzismo. Però ciò che invece è transfobico in maniera evidente è ancora permesso». Capito? Abbandoniamo i criteri dati dalla natura (la differenza tra maschi e femmine) e ricreiamone di nuovi e più inclusivi, del tutto umani e discrezionali. A decidere chi vince, così, non sarà il talento e il duro lavoro, ma chi stabilisce i parametri per partecipare alle gare.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
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