2022-11-03
Netanyahu si gode la rivincita. Per la Casa Bianca adesso c’è problema in più
Benjamin Netanyhau (Ansa)
Il capo del Likud vince le elezioni. Sul suo tavolo il dossier ucraino e la possibilità (poco gradita) di inviare armi a Kiev. Nervi tesi con i dem americani per via dell’Iran.La riscossa di Benjamin Netanyahu. È in questo modo che possono essere sinteticamente riassunte le elezioni parlamentari israeliane, tenutesi martedì scorso. Stando ai risultati quasi definitivi noti ieri sera, il partito dell’ex premier, il Likud, è arrivato primo con almeno 32 seggi. Non solo: la sua coalizione elettorale di orientamento conservatore si sarebbe aggiudicata un totale di 65 seggi, blindando così la maggioranza alla Knesset. Netanyahu era stato estromesso dal governo a giugno dell’anno scorso, quando Naftali Bennett e Yair Lapid avevano stretto un accordo, per formare un esecutivo di larghe intese, poggiato di fatto su una conventio ad excludendum ai danni del Likud. Un esecutivo di larghe intese che si è rivelato sin da subito scricchiolante, per entrare poi in crisi lo scorso giugno e aprire così la strada alle elezioni (le quinte, in Israele, dal 2019). Salvo sorprese, Netanyahu dovrebbe quindi essere in grado di formare un nuovo governo: un governo che, se vedrà la luce, risulterà probabilmente collocato su posizioni nettamente conservatrici. Basti pensare che il Partito sionista religioso di Itamar Ben-Gvir si è collocato al terzo posto (dietro allo schieramento di centrosinistra di Lapid, Yesh Atid). Le formazioni di destra sociale e religiosa di Shas e Utj si sono invece piazzate rispettivamente alla quinta e alla sesta posizione. Alla luce di tutto questo, c’è quindi da chiedersi che cosa cambierà soprattutto sul piano internazionale. Cominciamo dalla crisi ucraina. Secondo quanto riferito dal sito Axios lo scorso 25 ottobre, il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, avrebbe riservato delle tacite critiche a Netanyahu, a causa della sua posizione giudicata troppo blanda sull’invasione russa dell’Ucraina. «Se qualcuno non capisce che la realtà è cambiata, questa è una sua responsabilità politica e morale... perché le ruote della storia stanno girando nella direzione opposta a quella su cui molti politici avevano costruito la loro carriera», dichiarò il ministro ucraino in riferimento all’ex premier israeliano. Sempre secondo Axios, Bibi ha comunque corretto la sua posizione nelle ultime settimane, assumendo una linea di maggior fermezza nei confronti del Cremlino. Interpellato a ottobre da Usa Today sull’eventualità di fornire armamenti a Kiev, si è detto infatti possibilista, dichiarando: «Mi è stato chiesto di recente e ho detto che lo esaminerò quando entrerò in carica». Ricordiamo che il governo israeliano uscente (al netto di qualche distinguo interno) non ha mai fornito armamenti all’Ucraina, limitandosi a inviare aiuti umanitari, sistemi di allerta missilistica e - stando a quanto riportato recentemente dal New York Times - informazioni di intelligence. Un mancato invio di armi che, soprattutto nelle ultimissime settimane, aveva significativamente irritato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Bisognerà quindi capire che cosa deciderà di fare un eventuale governo guidato da Netanyahu. Da una parte, inviare armi a Kiev gli consentirebbe di marcare la differenza rispetto al predecessore. Senza contare che molti funzionari israeliani temono sempre più che i droni iraniani usati dai russi in Ucraina possano prima o poi essere usati contro lo stesso Stato ebraico. Dall’altra parte, non va trascurato che, da premier, Netanyahu ha avvicinato notevolmente Israele alla Russia. In particolare, negli ultimi anni Gerusalemme e Mosca hanno messo in piedi un «meccanismo di deconflitto» in territorio siriano: un meccanismo che consente agli israeliani di colpire i miliziani filoiraniani nell’area. È anche per salvaguardare questa intesa che lo stesso Lapid ha probabilmente evitato di coinvolgere troppo pesantemente Gerusalemme nella crisi ucraina. Che cosa sceglierà dunque di fare il nuovo (probabile) premier israeliano? Un’altra incognita riguarda i rapporti con la Casa Bianca. È dai tempi dell’amministrazione Obama che Joe Biden e Netanyahu si sopportano poco. Nel 2021 poi la tensione riemerse dopo che l’attuale presidente americano decise di tentare il ripristino del controverso accordo sul nucleare con l’Iran: accordo a cui Netanyahu si è sempre fermamente opposto. Una posizione, questa, che - a ben vedere - era di fatto condivisa da Lapid. Nonostante i toni più distesi, emersero infatti dei significativi attriti tra Biden e il premier israeliano uscente sull’intesa iraniana lo scorso luglio, quando il presidente americano si recò in visita nello Stato ebraico. Gerusalemme considera infatti quell’accordo come una minaccia alla propria sicurezza, indipendentemente dal colore politico dei governi. Ne consegue che la già traballante influenza mediorientale di Biden rischia adesso di indebolirsi ancora di più. Non dimentichiamo d’altronde che, oltre a Israele, anche l’Arabia Saudita non vede di buon occhio il tentativo di rilancio dell’accordo iraniano: quella stessa Arabia Saudita che intrattiene rapporti pessimi con Biden e che si è recentemente vendicata di lui, spingendo l’Opec Plus a tagliare significativamente la produzione petrolifera. Ma non è finita qui. Un ulteriore fronte di attrito tra Netanyahu e il titolare della Casa Bianca potrebbe rivelarsi la questione palestinese. Senza poi trascurare che Bibi gode storicamente di ottimi rapporti con il Partito repubblicano americano: un partito che, martedì prossimo, potrebbe ottenere un considerevole risultato alle elezioni di metà mandato, riconquistando la Camera dei rappresentanti e -forse- anche il Senato. Già in passato, nel 2015, Netanyahu giocò di sponda con un Congresso a guida repubblicana, per cercare di spingere Barack Obama a non siglare l’accordo sul nucleare con l’Iran. Insomma, la vittoria di Bibi e una (eventuale) debacle dei dem alle Midterm (il tutto nello spazio di appena pochi giorni) potrebbero rivelarsi due fattori decisamente problematici per l’attuale inquilino della Casa Bianca.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
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Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
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