2021-06-02
La Nestlé ammette: «Il nostro cibo è insano»
La rivelazione del report interno: oltre il 60% dei prodotti non è salutare, di cui il 96% delle bevande e il 99% dei dolci. Col Nutri-score europeo gli alimenti sarebbero promossi, mentre le eccellenze italiane bocciate. La multinazionale: «Ridotti di molto zuccheri e sale».Come volevasi dimostrare: una cosa è la dieta mediterranea e la qualità dell'enogastronomia italiana che garantisce agli italiani il record di longevità, un'altra è il Nutri-score. L'interesse un po' troppo entusiastico per la famigerata etichetta a semaforo da parte della Nestlé - la multinazionale più potente dell'alimentazione (90 miliardi di fatturato, capitale svizzero, circa 3000 marchi di proprietà, dal cibo per cani ai gelati) - doveva pur trovare una giustificazione. È la stessa Nestlé che in qualche modo svela l'arcano: le serve un sistema di certificazione che faccia apparire sano, indiscutibilmente sano ciò che forse non lo è o perlomeno che non offre alcun vantaggio rispetto al cibo tradizionale. Il Financial Time pubblica un report riservato, rilanciato anche dal Sole 24 ore, che ha girato nei piani altissimi del colosso dell'alimentazione in cui si confessa: oltre il 60% dei nostri prodotti non potrà mai dirsi sano. A scrivere nero su bianco che la Nestlé non produce affatto cibi totalmente esenti da criticità è sostanzialmente l'ex amministratore delegato Peter Brabeck-Letmathe colui il quale ha iniziato la trasformazione della multinazionale svizzera da produttrice di cibo a healthy company impegnata a diffondere il consumo di integratori, di alimenti per malati (o supposti tali) con ampio uso di integratori e di ingredienti che si ottengono da lunghi e complessi processi. Incamminandosi su questa strada del cibo non come valore agricolo, non come prodotto culturale, ma esclusivamente come effetto nutriente, la Nestlé si è infilata nel labirinto delle supposte certificazioni. Nel report è scritto: «La maggior parte dei cibi e delle bevande più famose di Nestlé (valgono circa metà del fatturato ndr.) non può essere inserita in una definizione condivisa di salute, alcune delle nostre categorie di prodotti non saranno mai salutari». La ragione sta nel fatto che il 63% dei prodotti di Nestlé non sta nei limiti della certificazione dell'australiana Access to Nutrition Foundation e che il 96% delle bevande (escluso il caffè puro) e il 99 % di gelati e pasticceria sono fuori dai parametri, mentre «solo» il 60% dei formaggi è insano. La cosa curiosa è che tutto questo succede durante la giornata mondiale del latte. Un paio di settimane fa il vicepresidente esecutivo di Nestlé che si occupa anche dei rapporti con l'Ue - che ha una voglia matta di rendere obbligatorio nei 27 Paesi dell'Unione il Nutri-score - aveva tutti invitato brindare con il nuovo quasi latte della multinazionale svizzera: il Wunda, un beverone a base di piselli proteici e un'altra decina di ingredienti. Bart Vandewaetere brindando col beverone aveva esclamato: «È Nutri-score A». Promosso a pieni voti dal «semaforo» dell'epidemiologo (sempre loro) francese Serge Hercberg, ma chissà se la stessa Nestlé lo promuoverebbe. E tutto questo per fare concorrenza ai nostri allevatori che stanno peraltro soffrendo per un rialzo abnorme dei mangimi. La Nestlé ieri ha cercato di metterci una pezza e dalla Svizzera ha dettato un comunicato aulico in cui di fatto conferma il documento, visto che non lo smentisce. Dice in sostanza che il suo «ampio portafoglio di prodotti contribuisce alla salute dei consumatori». Stiamo concentrandoci sul migliorare» dicono alla Nestlé «una parte del nostro portafoglio prodotti e sistemi come Health Star Rating e Nutri-Score possono essere utili in questo senso e consentono ai consumatori di fare scelte informate». Nestlé e Nutri-Score, se non sono la stessa cosa, poco ci manca. Ma perché? Dice la multinazionale svizzera: «Negli ultimi due decenni abbia ridotto significativamente gli zuccheri e il sodio nei nostri prodotti e di circa il 15% negli ultimi sette anni. Abbiamo introdotto migliaia di prodotti per bambini e per famiglie che soddisfano i parametri esterni e di valutazione dell'alimentazione pubblicamente riconosciuti». Servono i parametri per dire che ciò che fa Nestlé - impegnata a rendere il suo portafoglio sempre più gustoso e salutare - è cosa buona e giusta. Ma chissà se sono buoni e soprattutto giusti quei parametri. L'Europa con il Green deal e vestendosi di ambiente promuove il programma farm to fork che fa secchi i prodotti italiani ma promuove grazie al «semaforo» la Nestle. La pensano molto diversamente agricoltori e produttori italiani. Il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio, ieri, insieme al sottosegretario all'agricoltura (Lega) Gianmarco Centinaio che ha incontrato anche gli allevatori per sostenerli nell'ambito della giornata del latte, è salito dal ministro per lo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti (Lega) per sollecitare un'azione forte di difesa del made in Italy. L'impegno è per tutelare uno dei più importanti comparti economici - 140 miliardi di fatturato diretto di cui 42 dall'export - e Giorgetti ha già annunciato un'iniziativa a livello europeo e di G-20. Secondo Vacondio l'ambiente e la salute non c'entrano nulla con il Nutri-score: «Le nostre eccellenze hanno un enorme successo nel mondo e non tanto per i volumi che esportiamo, quanto per la capacità di ricavare un'altissima marginalità. Vogliono le nostre quote di mercato». Forse però stavolta il semaforo è rosso, ma per la Nestlè.