2021-07-10
Nessuna omofobia Orlando nel giro dei baby prostituti
Il giovane, forse ricattato, non sapeva come venirne fuori e si è ucciso. Speculazioni sulla sua morte per convenienza politica.Che alla base della morte di Orlando Merenda, il ragazzo di 18 anni che il 20 giugno scorso si è ucciso gettandosi sotto un treno tra la stazione di Torino e Moncalieri, a pochi metri da casa, non vi fossero l'omofobia e il bullismo, come inizialmente ipotizzato, era chiaro da settimane. Già negli ultimi giorni di giugno, infatti, era spuntata un'ipotesi alternativa: quella d'un possibile ricatto sessuale. Ebbene, nelle scorse ore la pista si è rafforzata, con le indagini della procura di Torino, coordinate dal pm Alessandra Barbera, che adesso propendono per un giro di prostituzione minorile. A spingere gli inquirenti in tale direzione, un mosaico di piccoli indizi e confidenze ad amici e docenti, che porterebbe a pensare che il giovane, ancora minorenne, fosse finito in un brutto giro, dove qualcuno potrebbe aver approfittato di lui e dove, appunto, potrebbe esser nato un fatale ricatto.Per capire meglio, ora si stanno setacciando le chat e il telefono. Lo stesso con cui, poco dopo le 12 di quel 20 giugno, a poche ore dal tragico gesto, il giovane, originario di Soverato, aveva salutato Anna Screnci, la madre che si trovava in Calabria, la quale qualcosa aveva fiutato: «Sembrava sereno, ma quando mi ha detto “divertiti" la sua voce era strana». La Screnci inoltre ricorda: «Me lo diceva nell'ultimo periodo “sento una pressione sul petto" ma non capivo se era psicologica o no».Anche suo padre Francesco, a La Stampa, ha descritto un quadro di tensione da cui, negli ultimi tempi, il figlio si sentiva oppresso: «Nelle ultime settimane mi aveva detto che aveva paura di un paio di persone. Mi aveva raccontato di essere stato minacciato». «Gli avevo proposto di incontrarli con lui, di avere un confronto», ha aggiunto il genitore, «ma Orlando minimizzava, diceva che non era il caso». Al Corriere della Sera il fratello Mario ha confermato a sua volta che «ultimamente Orlando era turbato e aveva paura di qualcuno». Sono con ogni probabilità state queste dichiarazioni a spingere le indagini dove si trovano ora e cioè, come si diceva, a scandagliare l'ipotesi della prostituzione minorile. Solo nuovi sviluppi, a questo punto, potranno fornire ulteriori elementi di chiarimento, ma una riflessione può già essere svolta. Anzi, probabilmente deve essere svolta, visto come la grancassa mediatica si era attivata presentando, sin dalle prime ore dal tragico gesto, la morte di Orlando Merenda come un sicuro «suicidio per omofobia».In effetti, qualche elemento sembrava andare in quella direzione, come quella vergognosa frase - «morte ai gay» - che era stata trovata sui profili social del giovane; il quale, poco prima di farla finita, su Instagram aveva lasciato un commento che a sua volta pareva suffragare tale scenario: «Il problema delle menti chiuse è che hanno la bocca aperta». Poi però si è scoperto, sulla base delle testimonianze anzitutto di chi gli voleva bene e gli era più vicino, che nella vita del diciottenne c'erano altre fonti di tensione che, probabilmente, né col bullismo né con le discriminazioni hanno nulla a che vedere.Questo funga allora da monito, quando ci si trovasse davanti a nuove tragedie, scoraggiando giudizi avventati anche se, come dire, politicamente convenienti e ricorrenti. Quello del diciottenne suicida a Torino, infatti, non è certo il solo caso di dramma recentemente strumentalizzato; si pensi, per esempio, a Seid Visin, il ventenne etiope già promessa del calcio nelle giovanili del Milan, che ai primi di giugno s'è impiccato nella casa vicina a Salerno, dove viveva con la coppia italiana che l'aveva adottato. Si è ucciso per razzismo, si sentenziò subito, riesumando un post del giovane vecchio di anni. E pure in quel caso, come in quello di Merenda, era toccato alle parole dei familiari, già distrutti dal dolore, correggere il tiro, spiegando come stavano davvero le cose.Tutto ciò dovrebbe quindi suggerire, pro futuro, più prudenza. Perché si sa che ciascuno, in tempi di politica social, vuol subito portare acqua al suo mulino. Si chiama ricerca del consenso, ed è esercizio lecito. Di fronte però alla scomparsa di chi non ce l'ha più fatta ad andare avanti, bisognerebbe sapersi fermare. Sempre. Anche perché, come rammentato su La Verità del 29 giugno da Marcello Veneziani, chi si getta nel vuoto raramente lo fa per una sola e lampante ragione. Come sono numerose le spinte che tengono in vita, varie sono quelle che purtroppo, talvolta, portano a rifiutarla, l'esistenza. L'umano è vasto e i titoloni possono attendere.