2020-04-05
Nelle notti di Milano i comici artisti sapevano far ridere pure senza politica
Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto (Ansa)
Due libri ricostruiscono la genesi del cabaret meneghino, tra le canzoni della mala, il Derby e un panino da ricordare.Al bar Gattullo di Porta Lodovica, a Milano, la cosa più impressionante era il panino «special». «Il materiale impiegato per la confezione di uno special potrebbe risolvere i più gravi problemi di alcuni Paesi del terzo mondo», scrisse Beppe Viola. «Fidel Castro ha dichiarato che potrebbe rinunciare ai mercati sudamericani e asiatici per la vendita dello zucchero se Domenico Gattullo fosse disposto a diventare suo cliente [...]. Naturalmente la gamma di panini creati dal genio di Domenico è varia e irreversibile, come dice la parola stessa. Caratteristica di questi panini: 1. Il grado di fatasmagoria multipolicromica; 2. Potenziale scarsamente nutritivo; 3. Il prezzo: ottantamila lire l'uno». Il bar pasticceria Gattullo, sempre per dirla con Viola, è stato un grande «laboratorio gastronomico-teatrale», una delle alcove in cui selvaggi accoppiamenti hanno prodotto la comicità milanese. Lì, a Porta Lodovica, la fauna era caratteristica: lo Zambelli, il Ciccarelli, il Cobianchi, altri «il» di cui si è persa la memoria. E, nel mezzo, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto. Stavano tutti lì a «tirar mattina», come dice il titolo di un piccolo capolavoro di Umberto Simonetta (un altro dei padri fondatori dell'immaginario comico meneghino). Da Gattullo nacque pure la gag forse più celebre di tutto il repertorio nordico, il «taaac!» divenuto grido di battaglia di Guido Nicheli, alias il Dogui, maschera da commedia dell'arte del cumenda milanese. Anche Pozzetto ne fa un uso memorabile nel Ragazzo di campagna, quando apparecchia per la cena nel microscopico appartamento appena affittato: «Tavolo ribaltabile taaac, sedia rotante taaac, posto per commensali che non ci sono taaac, tovaglia metro taaac, piatto fabriano, tovagliolo extra strong, bicchiere di plastica taaac, vino cartonato taaac, spaghetti pronto uso, contorno surgelato taaac, tonno e grissini per tagliarlo taaac». Il creatore della meravigliosa onomatopea, in realtà, fu Mario Valera - gran confezionatore di battute e memoria storica del cabaret - che ne racconta la genesi nel bel libro Cochi e Renato. La biografia intelligente di Sandro Paté e Andrea Ciaffaroni, edito da Sagoma, che negli ultimi anni ha pubblicato anche See you later, biografia di Guido Nicheli (sempre a cura di Paté). Uno dei frequentatori di Gattullo era Charlie Krupp, strano tipo di tedesco-milanese. Ricorda Valera: «Quando ci invitava a bere [...] in mezzo tedesco gridava: “Snaps?". Io con un “Taaac?" lo anticipavo, perché sempre meglio un bicchiere in più che uno in meno». Dalle cantate, bevute e battute da Gattullo, Cochi e Renato si trasferirono in un locale chiamato Cab 64, per i primi spettacoli. Il clima degli esordi lo ricostruisce bene Giulio D'Antona in un volume appena pubblicato da Bompiani e intitolato Milano. Storia comica di una città tragica. Al Cab 64 la coppia prendeva 3.500 lire a esibizione, a patto che portasse almeno dieci persone tra il pubblico. Una sera, dopo l'ennesimo «numero dell'ombrello», Pozzetto sta uscendo dal locale quando viene fermato da un uomo allampanato, con gli occhiali spessi: è Enzo Jannacci, ed è venuto per reclutarlo. Comincia così la mitologica stagione del Derby di via Monterosa, locale fondato da Gianni e Angela Bongiovanni. Quest'ultima era la sorella di Rosa, cioè la madre di Diego Abatantuono, che fin da giovanissimo marcantonio si aggirava tra i tavoli del buco sottoterra divenuto il paradiso della comicità. Una notte, quando il piccolo Diego aveva appena 9 anni, fu spedito dalla mamma a mandare via un avventore particolarmente ubriaco e molesto. Poiché era un bambino, nessuno si sarebbe azzardato a toccarlo. E infatti Diego, dopo aver insistito due o tre volte, riuscì a far sloggiare il beone, che gli aveva risparmiato un pugno in faccia proprio per via della giovane età. Una settimana dopo, racconta Giulio D'Antona, quel cliente fu trovato a faccia in giù nel Naviglio: «La polizia lo cercava per una decina di omicidi, due dei quali, si diceva, compiuti proprio la sera in cui era andato a smaltire l'adrenalina al Derby». Il club di via Monterosa viene fondato nel 1959, Nel 1960 diviene un punto di riferimento per i jazzisti col nome di Intra's Derby Club (poiché della direzione artistica si occupava Enrico Intra). Nel 1962 nasce il nuovo Derby, e complice Jannacci cominciano ad arrivare i comici uno dopo l'altro. Di Cochi e Renato si è detto, poi ci sono Lino Toffolo, Gianfranco Funari, Paolo Villaggio - che proprio dal palco del Derby legge le prime pagine di Fantozzi. Poi nomi meno noti al grande pubblico come Walter Valdi, avvocato di Cavenago (Brianza), che scrisse Il palo della banda dell'Ortica. Una sera, mentre Valdi cantava un brano milanese, un ubriaco dal pubblico gli urlò: «Parla in italiano!». E Valdi: «Perché, se la faccio in italiano ti cambia qualcosa?». Nanni Svampa e i jazzisti, Massimo Boldi che gestiva una latteria col fratello ed esordì come batterista, Teo Teocoli che si fece notare ballando fra il pubblico e fu tirato sul palco... Dal Derby passarono tutti. Nel 1975 Abatantuono ne prese la direzione artistica, portando nuova linfa. Giorgio Porcaro (l'inventore del terroncello che poi Diego portò al successo), Francesco Salvi, Giorgio Faletti, Paolo Rossi. Quest'ultimo, ricorda Abatantuono, era avviato a diventare un «dariofoide». Come tutti quelli che lavoravano con Dario Fo, tendeva ad assomigliargli: «Gli stavano venendo i denti in fuori e incominciava a muovere le braccia da burattino. Poi per fortuna è guarito». Quella grande stagione del cabaret milanese finì negli anni Ottanta. Poi vennero la tv commerciale, lo Zelig... E, soprattutto, è arrivata la politica. Al Derby magari c'era, ma in sottofondo. Oggi i comici sembrano non poterne fare a meno. E quest'ossessione dell'impegno li ha consumati uno dopo l'altro, mentre il surrealismo di Cochi e Renato dalle venature buzzatiane è ancora lì. E fa ridere e pensare anche senza tanti «bei ragionamenti».
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