2019-09-14
Nelle alici il segreto degli acuti di Caruso
I grandi tenori come lui e Tito Schipa le usavano come lubrificanti delle corde vocali. Pesce umile, sfama il popolo da tempo immemore I legionari romani adoperavano una pasta di acciughe che rinveniva sul fuoco. Tra i patrizi in auge il garum, una miscela di pescato.Alice Granello l'ha definita l'Audrey Hepburn del mare. Minuta, graziosa, intrigante. Ma non siamo a colazione da Tiffany, potremmo trovarci al mercato del pesce di Catania come tra i bancali del supermercato. Stiamo parlando delle alici. Pesce umile, ma capace di sfamare l'uomo da tempo immemore. Che si chiamino anche acciughe è un'altra storia dai mille risvolti. Varie le interpretazioni. Nella vulgata le acciughe sono quelle intere sotto sale. Alici quando sfilettate e sott'olio. Se poi aggiungiamo le varianti dialettali, la Treccani non basterebbe. Sia come sia le alici sono presenti da sempre sulle tavole dell'uomo, per la loro facile pescabilità e per la possibilità di essere conservate e quindi consumate lungo tutto l'arco dell'anno, anche lontane dalle coste marine. Ne sapevano qualcosa i legionari romani che avevano,tra le provviste, il macheto, una pasta d'acciughe che si faceva rinvenire con acqua e olio sul fuoco, mentre tra le case dei patrizi era in auge il garum, una miscela di pescato (tra cui le alici) che andava ad abbellire le preparazioni più disparate. I luoghi eletti per l'alice nostrana li troviamo a Monterosso, sulla costa ligure; tra costiera amalfitana e Cilento e, infine, all'ombra dell'Etna, dove esercitavano la loro arte i trezzotti, ovvero i pescatori di Aci Trezza, patria di paron 'Ntoni, il decano di quei Malavoglia raccontati da Giovanni Verga. Qua si usa la menaica, una rete dalle maglie larghe circa un centimetro. Risparmia la preda più piccola, ma cattura le più mature. Imprigionate dalla testa, nel vano tentativo di liberarsi, lacerano l'argentea livrea, morendo spesso dissanguate. Procedura sicuramente poco romantica ma tale da permettere che solo così si possano mangiare alla «battitacco», cioè crude con una spruzzatina di limone. Risalendo la penisola altri giacimenti golosi li troviamo in Campania, a Menaica, nel Cilento, come sulla costiera amalfitana, con capitale indiscussa Cetara, resa famosa dalla sua colatura. Nacque tutto un po' per caso nelle cantine della canonica di San Pietro dei monaci cistercensi. Era prassi che i pescatori dell'epoca omaggiassero gli umili canonici con il loro pescato che era messo da parte in piccole botti. Leggenda racconta che uno di questi barilotti venne dimenticato per qualche mese e quando il monaco cuciniere scoperse che in cima si era formato un particolare liquido dal profumo intrigante, assaggiatolo, lo offerse ai suoi compagni quale dono della provvidenza ad arricchire l'umile mensa. La tecnica venne perfezionata tanto che la colatura è stata definita, da qualcuno, una sorta di acciuga platonica. Dopo la scapezzatura (ovvero decapitazione ed eviscerazione) si alternano gli strati di alici con il sale a colmare botti di legno dette terzigni (ovvero un terzo delle vinarie botti normali). Le si pressa con il tompagno, un disco di legno, con in coppa una bella solida pietra. Dopo alcune settimane affiora un primoliquido frutto della macerazione salina delle carni marine. Messo da parte in vasi di vetro, viene lasciato all'aria aperta per alcuni mesi. Dopo di che vi è il rito della spillatura. Si ripone questo liquido entro i terzigni, Se ne fora la base con il vriale, una specie di punteruolo, e si attende pazientemente che il tutto fuoriesca per dare luogo a questo autentico miracolo di Nettuno.Alici in grande spolvero anche sulla costiera ligure, in particolare a Monterosso, una delle Cinque Terre. Qui i pescatori escono all'imbrunire, guidati dalla lampara che illumina le acque attraendo quindi le ingenue alici che vedono, in controluce, il loro cibo preferito, il plancton. A quel punto entrano in gioco gli uomini della banga, la barca che chiude le reti con il loro prezioso bottino. Ecco allora che le madri di famiglia iniziano la paziente lavorazione manuale, ponendo il tutto sotto sale. Dopo due mesi è pronto u pan de ma, il pane del mare, come sono familiarmente chiamate da queste parti fruibili ripiene, fritte, marinate. Non manca l'ambasciata all'estero, ovvero a Santona, sulla costa cantabrica, Spagna del Nord. Sono considerate le migliori acciughe del mondo, ma questo grazie all'abilità dei nostri emigranti. Nell'Ottocento il pescato era abbondante, ma mancava il mercato. I poveri pescatori erano costretti a buttarle a mare o a usarle come esca per pesci più nobili. Ben presto si sparse la voce delle ricchezze di Santona. Emissari delle principali aziende italiane addette alla conservazione del pescato capirono che qui c'era un giacimento. Emigrarono dalla Sicilia, Campania, Liguria. Insegnarono ai residenti la completa alfabetizzazione dell'universo acciugante. Dalla pesca, alla lavorazione e successiva commercializzazione. Molti si fermarono, tra questi il trapanese Giovanni Veglia Scatagliota. Divenne il re dell'acciuga sottolio. Acciughe del Cantabrico molto apprezzate e ricercate, perché essendo le acque di quelle coste molto più fredde delle nostre, rendono le carni particolarmente saporite. Vi è poi un'altra rotta di eccellenza nelle vie delle acciughe, anche se stavolta si addentra nelle valli montane, in particolar modo piemontesi. Nel Piemonte occitano, in particolar modo nella cuneese val Maira, le maestranze agricole, nel riposo invernale, si industriavano per arrotondare gli scarni guadagni e migravano verso le coste liguri o lavicina Provenza. Qui venivano pagate parte in moneta sonante e parte in sale, preziosa materia di scambio. Per evitare di pagare le salate gabelle di frontiera, uno dei modi più usati era quello di ricoprire i barilotti di sale con strati di alici civetta, sì da provare a ingannare i doganieri. Una volta entrati in territorio sabaudo, le alici diventavano il «pane di montagna». Ecco perché, tra le varie espressioni regionali, la cucina piemontese è la più ricca ad annoverare l'acciuga tra i suoi protagonisti. A iniziare dalla bagna cauda, per non parlare del vitello tonnato o anche del semplicissimo pane burro e alici. Una tradizione così consolidata, quella tra acciuga e piemontesi che, a Celle di Macra, è stato creato un museo dove la storia delle acciughe montanare è raccontata nelle sue svariate testimonianze.Rovesciando la bussola navigante un altro museo di straordinario fascino è quello di Michelangelo e Girolamo Balistreri ad Aspra, vicino a Palermo. Anche qui innumeri testimonianze di storie senza tempo, attuali sino a ieri. Curiosando tra i ricettari storici e quelli regionali se ne incontrano delle belle. Già nel Cinquecento il veronese Girolamo Nicastro le raccomandava come pesce che risveglia l'appetito. Alici salutiste, valorizzate da Angelo Dubini nel suo La cucina degli stomachi deboli o dal genovese Gaspare Delle Piane, Superiore dei padri Minimi, nella Cucina di strettissimo magro. Penitenziale sin là, in quanto le vedeva protagoniste nelle minestrine, ma anche come gustosi ripieni di pasta o assieme ad aristocratici branzini. «Pesce povero» per modo di dire. Girovagando per la penisola, oltre alla nota pizza alla romana o alla serenissima mozzarella in carrozza, le troviamo abbinate in vari e intriganti modi. Ad esempio il bagnun ligure o l'acciugata toscana, per non parlare delle campane alici abbuttunate. Presenti nella cucina ebraica, basti ricordare i romani aliciotti con l'indivia o i veneziani bigoi in salsa. Alici dalle mille virtù, dunque, considerato come siano ricche di antiossidanti, vitamine e minerali. Sempre presenti dietro le quinte dei maestri d'ugola, se è vero che erano il portafortuna di tenori quali Tito Schipa ed Enrico Caruso, per la loro capacità di lubrificare al meglio le corde vocali. Ecco allora che il liquidarle come pescato di ripiego merita una riscossa e quindi viva Audrey Hepburn, se ha le fattezze fascinose e discrete delle acciughe regine del mare (e della cucina).