2020-04-03
Nella «Casa di carta» tornano guardie e ladri
La quarta stagione della serie spagnola, tra le più viste su Netflix, si rimette in carreggiata perché azzera l'orologio. Non si capisce chi avrà la meglio tra i rapinatori e la polizia. Trovata banale? Sì, però risolleva una storia afflosciatasi per eccesso di narcisismo.Diciamoci la verità. La terza stagione de La Casa di carta, nell'anno passato, non è stata un granché. Pareva quasi che gli sceneggiatori di Netflix avessero perso ogni loro inventiva. Il ritmo era lento, la Banca di Spagna troppo somigliante alla Zecca di Stato, al primo teatro di una rapina costretta a ripetersi identica a com'è stata. Nel guardarli, gli otto episodi di cui, la primavera scorsa, si è composta la terza stagione della serie tv, si è avuta l'impressione di una stasi. Il Professore era fermo, la banda vittima di sé stessa. Gli autori incapaci di rinverdire una saga che sarebbe dovuta morire sul finale della seconda stagione. Sembrava finita, La Casa di carta, cui Netflix, invece, ha saputo dare una svolta.La quarta stagione della serie spagnola, la più vista tra le produzioni girate in lingua non inglese, ha ripreso vigore. E questo, su tutti, è motivo sufficiente a darle un'altra possibilità. La Casa di carta 4, i cui otto episodi, nella consueta modalità «cofanetto», debuttano su Netflix quest'oggi, ha ritrovato il passo di un tempo. E, nella Banca di Spagna, dove la banda con la maschera di Salvador Dalì avrebbe dovuto rubare l'oro e rilasciare gli ostaggi, la tensione è tornata palpabile. Il Professore, che sul finire della terza stagione è stato costretto a lasciare la sua compagna, l'Ispettore Raquel Murillo, ha perso la gran parte del proprio terreno. Il cervello del piano, un cervello che la mancanza di intelligenza emotiva aveva reso forte, impenetrabile, quasi, si è sgretolato. E piangente e confuso, convinto di aver causato la morte dell'Ispettore che amava, il Professore si è dato alla fuga. È un uomo distrutto, l'uomo che si trova all'inizio de La Casa di carta. Tra i campi corre, scappa. Ma non ha meta. La razionalità, con la quale nelle prime due stagioni della serie ha tenuto le fila di un piano perfetto, ha ceduto il passo alla colpa. Alla paura. Al senso di vuoto che l'esecuzione di Raquel Murillo, una Itziar Ituno oggi convalescente dal Coronavirus, ha portato con sé. Il Professore vacilla, e sulle incertezze di questi si fa largo Alicia Sierra (Najwa Nimri). L'Ispettore, responsabile nella terza stagione delle torture inflitte a Rio (Miguel Herrán), è tra i personaggi più complessi, e con ciò riusciti, dell'intera serie. La pancia immensa, e il suo corredo di lecca-lecca e bibitoni, contribuirebbero a disegnare l'immagine idilliaca di una donna dolce, cui la gravidanza ha restituito energia e positività. Ma di buono, di dolce o di positivo, in Alicia Sierra, non c'è alcunché. L'Ispettore è la nemesi, la più vera, del Professore interpretato da Álvaro Morte. È un essere spietato, pronto a sguazzare nelle zone d'ombra della legge. E di zone d'ombra, ne La Casa di carta 4, ce ne sono a bizzeffe.La rapina alla Banca di Spagna, iniziata lo scorso anno, avrebbe dovuto fornire alla banda un'arma di scambio: la salvezza degli ostaggi per Rio, deportato in un luogo senza nome dopo essere stato catturato su un'isoletta tropicale. Ma qualcosa, nell'ingranaggio che il Professore aveva oliato per anni, è andato storto. Rio, redivivo, ha lasciato Tokyo (Úrsula Corberó). Nairobi (Alba Flores) si è beccata una pallottola nel petto. Denver (Jaime Lorente) ha perso il lume della ragione e Palermo (Rodrigo de la Serna) si è ammutinato, certo il piano sia ormai avviato al fallimento. La Casa di carta 4, nei suoi otto episodi, ha rimesso in discussione le certezze che si credevano acquisite. Non ci sono vinti né vincitori, e il confine tra bene e male è tanto labile da impedire ogni ragionevole pronostico. Dire chi avrà la meglio, nella serie Netflix, (il cui debutto, oggi, è accompagnato anche dall'uscita del documentario La Casa di Carta: il fenomeno), è pressoché impossibile. E, quasi, ci si scopre a non sapere di chi prendere le parti, nel caos di un conflitto tornato acceso. Sierra è un mostro, ma il Professore è debole. Palermo si è fatto odioso, ma Gandía, ex berretto verde riciclatosi guardia del corpo del Governatore, s'è rivelato peggio. Vuole uccidere, non negoziare. E, infine, riesce nel suo intento. È la rapida e improvvisa liberazione di Gandía (José Manuel Poga), con la complicità di una polizia omertosa, decisa ad aggirare i limiti che la legge dovrebbe imporle, a dare il via ad una guerra sanguinosa. Una guerra che funziona, perché priva di eroi, priva di santi e di martiri.La Casa di carta deve il proprio successo alla sua natura estremamente ordinaria («Gentista», l'ha definita qualcuno). Noi ci sono grand'uomini. Solo uomini, con le proprie piccolezze e miserie. La forza è mitigata dalla fragilità affettiva, la cattiveria stemperata dal dolore. Convivono, negli stessi personaggi, simpatie e antipatie. E, a colorare quel gran romanzo cui Netflix ha dato vita, c'è la sublimazione del pop: Umberto Tozzi e Franco Battiato, cantati, com'è stato per Bella ciao, dai monaci del monastero fiorentino, dove Berlino (Pedro Alonso), che nei ricordi torna, ha saputo trovare l'amore.