2023-11-11
Nel sistema britannico la vita umana dipende dai (non) valori dei giudici
Il giudice inglese Peter Jackson (Istock)
I casi Evans, Gard e Gregory evidenziano la deriva da Stato etico dell’ordinamento Uk.Ieri i casi dei piccoli Evans e Gard e oggi quello di Indi Gregory pongono alcune questioni che acquistano un significato del tutto particolare all’interno dell’ordinamento giuridico inglese e della sua tradizione di «common law» (sistema giuridico tipico dei Paesi anglo - americani fondato sul precedente giurisprudenziale vincolante, a differenza della codificazione scritta tipica invece dei sistemi di civil law di derivazione dal diritto romano). L’ordinamento britannico, di fronte alla domanda di chi debba assumere decisioni in ipotesi di discordanza tra personale medico e famiglia, proprio come nelle situazioni riportate, ricorre all’istituto del «parens patriae jurisdiction», cioè i giudici sono delegati dal sovrano a esercitare l’attività giurisdizionale a beneficio di coloro che non sono in grado di prendersi cura di se stessi. Nato nel corso del XIII secolo per proteggere i soggetti incapaci adulti, ha finito per includere tutte quelle situazioni in cui i genitori non siano nelle condizioni (ma in base a quali parametri?) di assumere una scelta confacente con il «welfare» (letteralmente il benessere) del minore medesimo. «Benessere» che non tocca solo gli aspetti patrimoniali, ma pure le circostanze da cui dipende la prosecuzione o meno di un trattamento in grado di tenere in vita il bambino. L’ordinamento inglese, in altri termini, ricordando molto il c.d. Stato etico, presume che la decisione migliore dipenda da un organo indipendente e oggettivo, non influenzato da fattori affettivi o da altri elementi estranei. Sul punto due rilievi critici. In primo luogo, si tratta di un sistema di una disumanità gravissima, perché tende ad atomizzare il minore come se il contesto familiare costituisse un fatto del tutto irrilevante. In questo modo, lo Stato si arroga il diritto di intervenire rispondendo alla stessa finalità teleologica che, per natura esclusiva, caratterizza unicamente il rapporto genitori/figli. In secondo luogo, è problematico il criterio del «best interest of the child» che sorregge il giudice nell’esercizio del «parens patriae jurisdiction». Questo, infatti, è un concetto sul cui contenuto vi è ampio dissenso. Bisogna avere il coraggio di affermare che, al pari del principio dignitario assunto in prospettiva prevalentemente giurisprudenziale come quella inglese, ci troviamo di fronte ad una «scatola vuota», a un «pass/partout interpretativo», ad una «icona linguistica»: ogniqualvolta il «best interest» è stato calato in fattispecie identiche o analoghe, ha portato spesso a soluzioni antitetiche. Tutto ciò, purtroppo, è perfettamente coerente con il sistema di «common law» inglese ove il problema giuridico, ma anche etico che la questione pone, al di là dei labili appigli al diritto positivo, risente inevitabilmente dell’influenza valoriale propria non della persona sui cui cade la scelta, bensì del giudice (in spregio alla pretesa di oggettività). E i risultati di morte si vedono... Noi siamo per la vita senza se e senza ma e ci piace ricordare la frase del grande Papa e Santo Pio X, pontefice dal 1903 al 1914, «Dove è assente Dio, la Giustizia è esiliata».Costituzionalista Avvocato
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