
Adesso i pentastellati «si accorgono» che esiste un problema di trasparenza: «La piattaforma è di una società privata».Pur di chiudere l'accordo, la sinistra finge di dimenticare le accuse contro l'azienda.Lo speciale contiene due articoli.Dulcis in fundo, al termine di una trattativa estenuante, Luigi Di Maio ha posto l'ennesima condizione: la proposta di progetto di governo deve passare ai voti sulla piattaforma Rousseau. L'ennesimo schiaffo al Pd che ha sempre condannato la formula della democrazia diretta come strumento di sovversione della prassi parlamentare, ma soprattutto uno «sgarbo» nei confronti del Quirinale. La consultazione degli iscritti si andrebbe a incuneare tra l'incarico dato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Conte bis e il giuramento del nuovo governo. Si avrebbe una sorta di istituzionalizzazione della piattaforma come momento obbligato anche per decisioni che sono di stretta competenza degli organi parlamentari. Di fatto una promozione dello strumento finora utilizzato per questioni interne al Movimento o ai fini puramente consultivi come l'anno scorso sul programma di governo gialloblù o come nel caso della Diciotti.Di Maio cala quello che considera un asso nella manica in un momento di grande difficoltà per la sua leadership con la base che tuona sui social contro le nozze con il nemico storico, Alessandro Di Battista e Roberto Fico che continuano ad essere convinti che la strada seguita porta solo a schiantarsi nel giro di pochi mesi e Beppe Grillo e Davide Casaleggio che non perdono occasione per rimproverargli di aver fatto perdere al M5s oltre la metà dei consensi.Imponendo la consultazione su Rousseau, Di Maio vuol dimostrare che, tra le tante giravolte effettuate (per il bene del Paese, si giustifica) si è mantenuto fedele a quello che è un pilastro dei 5 stelle, la democrazia diretta. Non a caso ha sottolineato che il passaggio sulla piattaforma ha avuto l'avallo dello stesso Giuseppe Conte che «potrebbe accettare l'incarico con riserva». E a chi nel Movimento vorrebbe speronarlo, manda a dire che «è ora di finirla con gli attacchi ed è il momento delle soluzioni». Quindi incita i fedelissimi a fargli da scudo e, dal ministro Riccardo Fraccaro al sottosegretario Stefano Buffagni e alla vicepresidente del Senato Paola Taverna, corrono in suo aiuto e riversano valanghe di note, tweet e dichiarazioni per dire che «gli attacchi a Di Maio sono attacchi al M5s». E il Pd e il Quirinale come hanno preso la votazione informatica? È una domanda che Di Maio non si è posto. Il vicepremier sa di avere due fattori dalla sua parte. Innanzitutto la fretta del Capo dello Stato che vuole dare il via al più presto alla nuova legislatura per rispettare i tempi della legge di bilancio e non rinviare ancora la nomina del commissario europeo. Sergio Mattarella durante le consultazioni si è guardato bene dal sollevare la questione del sondaggio su Rousseau e ha preferito limitarsi a far filtrare che il Colle si atterrà alle decisioni dei gruppi parlamentari. La trattativa è un terreno così minato che aprire altri fronti avrebbe rischiato di far saltare tutto. Nessuna preoccupazione per il Pd che ormai è disposto a chiudere un occhio anche su questo tema pur di arrivare al traguardo. Il capogruppo al Senato Andrea Marcucci ha infatti minimizzato: «Ognuno ha le sue procedure». Non si temono sorprese dalla consultazione informatica che continua ad essere uno strumento nebuloso su cui il Garante della Privacy ha acceso i riflettori comminando un paio di sanzioni pesanti da 32.000 e 50.000 mila euro. Manca inoltre un ente terzo che certifichi la correttezza del voto oltre all'assenza di dati verificabili sul numero degli iscritti. Questi comunque, qualche migliaio secondo dichiarazioni generiche, sono nettamente inferiori ai milioni che hanno portato i 5 stelle a Palazzo Chigi. Una consultazione quindi che è prettamente un'operazione simbolica e di facciata contro cui, peraltro, un drappello di deputati ha alzato gli scudi.Il questore della Camera, Federico D'Incà, nume tutelare dello spirito del Movimento, ha sollevato con perplessità la questione della tempistica mentre la senatrice Elena Fattori su Facebook ha definito la consultazione digitale «la decisione di non decidere». Oltre ad essere inutile perché «Mattarella agisce in base a cosa gli comunica la delegazione 5 stelle». Piuttosto secondo la Fattori è «un richiamo a una democrazia diretta mai attuata e solo sbandierata maldestramente o un modo altrettanto maldestro per riservarsi una via di fuga nel caso in cui non si abbiamo i ruoli desiderati nei ministeri richiesti». La deputata Flora Frate solleva il tema della «trasparenza» di una «piattaforma gestita da una società privata». Anche il deputato Michele Nitti, su Facebook sostiene che è uno «strumento inopportuno a fronte dei passaggi regolamentati dalla Costituzione». Like a pioggia dai colleghi Orietta Vanin, Rina De Lorenzo e Francesca Galizia. Il coro dei no si allarga anche a Luigi Gallo, fedelissimo del presidente della Camera Fico e alla deputata Doriana Sarli. Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti mette il dito nella piaga: «Non sapremo mai se queste votazioni siano fedeli o meno. Sono anni che si chiede un ente certificatore terzo». Posizione originale quella poi espressa da Gianluigi Paragone che ha invitato a «votare non all'accordo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nel-m5s-scoppia-la-bomba-rousseau-ora-votare-online-diventa-un-caso-2640092527.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="prima-era-la-dittatura-dei-clic-adesso-casaleggio-va-bene-ai-dem" data-post-id="2640092527" data-published-at="1758073329" data-use-pagination="False"> Prima era la dittatura dei clic. Adesso Casaleggio va bene ai dem Alla fine il Pd ha dovuto ingoiare il rospo. Se qualcuno avesse detto che il Partito democratico avrebbe acconsentito a sottoporre al verdetto della piattaforma Rousseau un progetto di governo, prima del voto di fiducia, gli avrebbero dato del matto. Eppure tra gli stravolgimenti, le piroette, le mutazioni e le giravolte di questa trattativa per la nuova legislatura M5s-Pd, c'è anche questo. Nel Pd la linea è questa: che nessuno si azzardi ad aprire un fronte polemico anche su questo o possiamo dire addio all'accordo. Poche parole, con l'effetto di un Malox, per lenire l'ennesimo mal di pancia a quei pochi «duri e puri» rimasti nel Pd. Un silenzio assordante al Nazareno che stride con le voci polemiche che pure si sono levate dai 5 stelle. Hanno l'odore della muffa i ragionamenti che Luigi Zanda, stimato nume tutelare del dem pensiero, sciorinava sulle colonne del Foglio, un paio di anni fa, contro la «democrazia del clic che è il contrario della democrazia parlamentare». Concludendo con ironia che «la chiamano diretta, nel senso che è diretta da qualcuno; da Grillo e dalla Casaleggio Associati». Lo stesso Matteo Renzi, ora grande sponsor delle nozze tra Pd e 5 stelle, quando era premier si esercitò in una lezione di democrazia rivolgendosi ai 5 stelle. In occasione del passaggio di consegne della piattaforma Rousseau tra Gianroberto Casaleggio e il figlio Davide, disse lapidario: «Da noi c'è fatica e democrazia. Dai Cinque stelle comodità e dinastia». David Sassoli, nel ruolo di vicepresidente del Parlamento europeo, annunciò addirittura che avrebbe chiesto una verifica sulla società di Casaleggio. «È ora di fare chiarezza sulla piattaforma Rousseau: se parlamentari elargiscono denaro pubblico ad una società i suoi bilanci devono essere pubblici». E poi: «La politica italiana in questo momento è condizionata da una società occulta che vincola parlamentari ad una obbedienza che stravolge il rapporto fra eletti e elettori così come stabilito dalla Costituzione e dalle norme europee sulla trasparenza». Concludeva dicendo che qualora non fossero intervenuti gli organi nazionali, se ne dovrebbero interessare «le istituzioni europee». Che cosa dirà ora il Pd a quei giovani che, assiepati nei gazebo per la chiamata contro i nemici Salvini e Di Maio, scandivano «non cambierei mai il gazebo con la piattaforma Rousseau». E dov'è ora Francesco Boccia che riguardo alla consultazione online sul caso Diciotti disse sdegnato: «Dicono che fanno le consultazioni libere, ma la piattaforma Rousseau non solo è opaca ma ha dimostrato di non essere garante di terzietà. La piattaforma Rousseau gira su un sistema che doveva essere cambiato nel 2013, è un ferro vecchio anche se sembra una macchina moderna perché gli altri hanno solo i carretti. Non credo che abbiano votato in 50.000 e non penso che i risultati fossero quelli lì. Confesso di non credere a chi gestisce la piattaforma Rousseau, quello è un gruppo di potere. Se fossero in buona fede dovrebbero rendere il codice sorgente e gli algoritmi visibili a tutti, oppure fare un audit e nominare un garante terzo della votazione». I dem che ora tacciono sono gli stessi che hanno accolto con una ovazione l'intervento del garante della Privacy quando ha messo in evidenza le falle nella sicurezza e nella gestione dei dati degli utenti da parte della piattaforma Rousseau, al punto da denunciarne l'effettiva pericolosità. Giravolte che sono poca cosa rispetto alla contrasto tra il voto contrario al taglio dei parlamentari perché, si è sempre detto al Nazareno, «indebolirebbe» in maniera eccessiva il Parlamento, e il voto digitale che del Parlamento è la pietra tombale. Ma, mai come in questo momento, la ragion delle poltrone, può accorciare la memoria.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.