2020-08-29
Nei prestiti bancari alle imprese restiamo il fanalino di coda in Europa
La Bce smonta la presunta potenza di fuoco: a luglio sono cresciuti solo del 4,7%, contro il 7,3 di Madrid, il 11,8 di Parigi e il 5,6 di Berlino. Il Mef non diffonde i dati sui soldi effettivamente erogati alle aziende.Ormai da alcune settimane, ogni mercoledì arriva puntuale il comunicato del ministero dell'Economia che snocciola tutti i dettagli sull'avanzamento della ormai famosa «potenza di fuoco da 400 miliardi mai vista» annunciata urbi ed orbi dal presidente Giuseppe Conte e dal ministro Roberto Gualtieri la sera del 6 aprile scorso.Poi, con cadenza mensile, quando arrivano i dati pubblicati da Bce sullo stock dei crediti alle imprese non finanziarie e alle famiglie, prendiamo regolarmente atto che la potenza di fuoco stenta ancora a manifestarsi. Non si è proprio letteralmente mai vista.I dati al 31 luglio pubblicati giovedì non sfuggono a questa regola. L'Italia continua a essere tristemente fanalino di coda nel confronto internazionale con Francia, Germania e Spagna, sia per quanto riguarda la variazione percentuale su base annua sia per quanto riguarda la variazione assoluta.Il primo dato vede l'Italia al +4,7% (da un +3,9% di giugno), contro +11,8%, +7,3% e +5,6% rispettivamente di Francia, Spagna e Germania. Il confronto particolarmente imbarazzante è quello con la Spagna, sottoposta come noi, dalla Bce a una rigida cura dimagrante del credito alle imprese, il cosiddetto «derisking». Ebbene, gli spagnoli, pur provenendo dalla stessa cura, sono stati capaci di reagire e conseguire tassi di crescita fino al +9,5% a maggio, proprio quando la crisi mordeva di più.La Francia rappresenta il caso più significativo di utilizzo della leva del credito, infatti da maggio continua a conseguire variazioni intorno al +11%, ben superiori a quelle registrati prima della pandemia. Estendendo il confronto ai 27 Paesi della Ue, facciamo meglio, ed è tutto dire, di Cipro, Malta e pochi altri.In cifra assoluta la prospettiva non cambia: la crescita dello stock di prestiti alle imprese da marzo a luglio è pari a 37 miliardi per l'Italia, 43 miliardi per la Spagna (il cui Pil è il 65% di quello italiano) e ben 118 miliardi per la Francia. Sull'altro fronte, il Mef sostiene che siano pervenute 2,7 milioni di domande di moratoria su prestiti, riguardante debiti per 300 miliardi di euro. Ma non è noto l'importo delle rate che hanno goduto della dilazione, che è invece l'effettivo beneficio finanziario per i debitori che si riflette poi nell'andamento dello stock di prestiti. L'altro pilastro della «potenza di fuoco» è quello dei prestiti erogati dalle banche con garanzia del Mcc, con garanzia dal 90% al 100% (per i prestiti fino a 30.000 euro). Al 25 agosto, si segnalano poco più di un milione di domande per un importo complessivo di circa 72 miliardi. Di queste circa 845.000 sono relative a finanziamenti fino a 30.000 euro, per un importo finanziato di circa 16,7 miliardi. L'ultimo pilastro è lo strumento Garanzia Italia di Sace, dove si rilevano 450 operazioni con garanzie per 12,7 miliardi (ieri Gualtieri ha firmato il decreto attuativo che rende operativa la garanzia Sace a copertura del 70% del prestito da 1,15 miliardi siglato da Fincantieri con un pool di banche italiane).Allora, se i numeri sono questi, perché non li ritroviamo nei dati Bce, dov'è l'arcano? In verità sono due. Il primo è la differenza tra domande accolte e somme erogate. Il Mef ci fa sapere che le domande accolte sono circa 992.000, quelle per prestiti interamente garantiti fino a 30.000 euro, che però valgono 16,7 miliardi, risultano anche erogate per l'87%. Nulla ci dice delle erogazioni dei prestiti garantiti al 90%, quelli che costituiscono la gran parte dei 72 miliardi sbandierati. Su questo punto viene in soccorso l'audizione dello scorso 11 giugno del capo del dipartimento vigilanza bancaria di Banca d'Italia, Paolo Angelini, davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche. I dati aggiornati al 29 maggio, con un'indagine campionaria, mostravano già un grave ritardo nelle erogazioni: i prestiti interamente garantiti (14,5 miliardi) erano stati erogati al 63%, mentre gli altri arrancavano intorno al 10% delle somme richieste. Un disastro le cui cause furono ben spiegate in quella sede: una sostanziale impreparazione organizzativa del sistema bancario nell'affrontare un simile picco di lavoro, accompagnata da una notevole farraginosità normativa che solo chi non ha messo mai piede in una banca o in un'azienda poteva concepire. La scelta strategica di affidarsi al canale bancario si è rivelata pessima. Negli Usa un'apposita agenzia federale (Sba) ha fatto presto e bene lo stesso lavoro, in cui la tempestività è fondamentale.La seconda spiegazione dell'arcano la si ottiene deducendo che una quota consistente di tali prestiti è andata a rimborsare finanziamenti già in essere. E questo in considerazione del precario profilo di rischio dei prestiti già prima della crisi, documentato da Bankitalia in un'audizione parlamentare del 15 aprile. Le classi di rischio «vulnerabili» e «rischiose» riguardavano a fine 2019 circa metà dell'intero stock di prestiti alle imprese. Con questa premessa, è stato inevitabile che le imprese abbiano trovato più conveniente sostituire vecchi debiti, contratti a condizioni penalizzanti per via del basso rating, con nuovi a tasso più basso grazie alla garanzia statale. Non si può affermare che ci sia stata una volontà delle banche dietro tale fenomeno ma, di fatto, è ragionevole presumere che esse abbiano ben accolto l'abbassamento del profilo di rischio dei loro finanziamenti. Tutto ciò a discapito di quanto avrebbe dovuto tamponare l'emorragia di flussi di cassa sofferta dalle imprese a causa della crisi.L'unico prestito che piace a Gualtieri è quello del Mes, che giovedì ha trovato una sponda nell'intervento dell'economista Mario Baldassarri sul Sole 24 Ore, secondo il quale il Mes conviene «perché i mercati possono togliere la fiducia in pochi giorni e attivare una crisi del debito». Con ciò confermando che il Mes è adatto per Paesi che corrono quel rischio e non per l'Italia che gode della piena fiducia dei mercati. A meno che Baldassarri sappia cose che noi non sappiamo circa l'imminente volontà di qualcuno di precipitarci in una crisi del debito. Ma lo scopriremo presto.